Nel nostro paese pochi hanno completato l'Università ma, paradossalmente, anche questi non trovano impiego, soprattutto al Sud. Ma rispetto agli anni passati c'è qualche piccolo segnale di miglioramento
In Italia ci sono pochissimi laureati e questo – concordano tutti – è un problema. Ma come mai? Alcune analisi, uscite pochi giorni fa insieme all’ultima edizione del rapporto Ocse
Education at a Glance, si sono
concentrate su cosa studiano i ragazzi: possibile che sia perché tanti, troppi, si iscrivono a facoltà che non insegnano cose
utili per l'ingresso nel mondo del lavoro.
La stessa organizzazione parigina, d’altra parte, ha mostrato che certo: in Italia investire in una laurea tende a dare un vantaggio rispetto al solo diploma. Ma in qualche modo si tratta sempre di un investimento, i cui frutti nel nostro paese tendono a essere
minori che in molti altri – soprattutto per le donne.
Difficile giustificare la scelta di spendere tanto tempo e denaro se comunque circa il 40 percento delle 25-34enni laureate oggi
non ha un lavoro. È pur sempre vero che per i titolati lo stipendio tende a crescere ma, di nuovo, questa differenza risulta
minore che altrove. E anche questi fattori, quando si tratta di decidere se laurearsi o meno, a volte possono fare la differenza: soprattutto nelle famiglie meno abbienti.
Di problemi, insomma, ce ne sono diversi. Ma le difficoltà a tenere insieme studio e lavoro arrivano anche dal lato delle imprese – che per prime non sembrano comprendere il valore dell’istruzione, né paiono avere particolare intenzione di assumere persone altamente qualificato.
Per esempio, come ha
raccontato Gianni Balduzzi su
Linkiesta, secondo Istat soltanto una parte minima delle assunzioni previste dalle aziende nel 2015
riguarda laureati – con una fetta quasi doppia che invece non richiede nessuno studio in particolare. Difficile, oggi, immaginare lavori per i quali non serva aver studiato nulla. Eppure spesso le imprese cercano proprio questo profilo di lavoratore.
Certo poi ci sono
ripercussioni sia sulla stessa azienda, che non è in grado di mettere a frutto quello che i laureati hanno da offrire, oltre che su chi lavora – naturale poi che il lavoro non qualificato venga pagato meno. Per vederla dall’altro lato: difficile che un’impresa composta in larga parte da personale non specializzato possa essere competitiva a lungo.
La richiesta di lavoratori competenti diventa ancora minore distinguendo fra Nord e Sud. Nel meridione le assunzioni previste di laureati superano di poco il 10 percento, mentre è nel nord-ovest che le imprese sembrano averne maggior bisogno.
Nel sud, al contrario, per circa un terzo dei nuovi assunti non è richiesto aver studiato nulla di particolare.
Qualche buona notizia arriva però se guardiamo al passato. Rispetto al 2011, primo per cui Istat mette a disposizioni i propri numeri, la richiesta di laureati è aumentata – cala invece quella di diplomati – anche se proprio nell’ultimo periodo troviamo una leggera flessione.
Anche la domanda di lavoratori senza alcuna competenza particolare appare minore che cinque anni prima, ma resta ancora ampiamente il secondo tipo di personale più ricercato dalle aziende.
Scartabellando un po’ fra i numeri dell’Istat, emerge anche che la richiesta di lavoratori competenti è perlopiù limitata ad alcuni settori particolari. Diversi altri campi – che però
impiegano un numero molto maggiore di persone – invece prevedono di assumere in larga parte, quando va bene, diplomati.
In generale è l
’istruzione il settore in cui la richiesta di laureati appare maggiore, seguito subito dopo dai servizi finanziari, assicurativi e informatici. Dall’altro lato turismo, ristorazione, trasporto.
Questo, va notato, è anche uno dei motivi per cui forse non è così saggio – come alcuni sostengono – spingere proprio sul turismo. Si tratta infatti di un settore "povero", in cui le imprese tendono ad assumere persone senza competenze specifiche – e, s’intende, a pagarle di conseguenza.
Qualcosa di simile vale anche per il commercio, attività in cui c’è gran richiesta di diplomati, e che però proprio per questo è difficile che porti a stipendio elevati.
Un altro elemento che spiega come mai chi controlla le aziende non sente il bisogno di assumere personale qualificato è, con tutta probabilità, la
loro dimensione. Il tessuto economico dell’Italia è composto in buona parte di piccole imprese, magari a gestione familiare, ma secondo Istat sono proprie queste ultime le meno interessate ai laureati.
Quando invece discutiamo di aziende di almeno cinquanta dipendenti le cose cambiano, e molto: si tratta dell’unico caso in cui la domanda di laureati supera la media italiana e arriva anzi a oltre a un quinto di tutte le assunzioni previste.
Poiché però le grandi imprese sono meno diffuse, nel tessuto produttivo italiano, la realtà più comune resta quella di micro-aziende non particolarmente interessate alla competenza – con tutti gli effetti negativi che questo può avere su loro stesse e quanto producono, oltre che su chi ha studiato e non sa dove applicare ciò che ha appreso.