Il sito sta modificando il volto dei centri storici: sempre meno residenti, sempre più turisti mordi-e-fuggi con i loro trolley. E se per tante famiglie è un piccolo reddito in più, per diversi “multihosting” è un modo per guadagnare milioni esentasse

Nel vocabolario di Airbnb, Toni è un sitter. È l’incaricato di consegnare le chiavi al guest, il turista che ha affittato la casa, e di spiegargli come funziona l’appartamento nell’undicesimo arrondissement di Parigi, non lontano da piazza della Bastiglia. L’host, il proprietario, è la moglie di Toni che vive a Marsiglia dove la coppia ha un altro bilocale nelle liste di Airbnb.

Toni ha 65 anni ed è di Lerici. A metà degli anni Settanta si è trasferito a Parigi, dove ha seguito la trafila di molti emigrati. Cameriere in un ristorante italiano del Marais, poi gestore. Ha comprato casa quando l’undicesimo era ancora in larga parte un ghetto per stranieri e non si era trasformato in meta per i bobo, i borghesi-bohémien della gentrification.

Qualche anno fa Toni e la moglie hanno lasciato la capitale e sono tornati verso il Sud e il Mediterraneo. Basta ristoranti. Lui fa la spola fra Marsiglia e Parigi per consegnare le chiavi ai turisti e si dedica alla pittura. Con i due appartamenti a un minimo di 100 euro a notte c’è di che vivere tranquilli. A Parigi poi l’indice di riempimento delle oltre 70 mila case in lista su Airbnb si aggira sull’80 per cento che equivale al primo posto nel listing Airbnb. Dopo vengono Londra, New York, Rio e Los Angeles.

A fronte di 20 milioni di notti all’anno, il Comune incassa poco più di 7 milioni di euro in tasse di soggiorno. Nessuna meraviglia quindi se la sindaca Anne Hidalgo non è fra gli amici della piattaforma.
Ada Colau, sindaca di Barcellona

Ancora meno amica è la collega barcellonese di Hidalgo, Ada Colau, arrivata in politica dopo anni di attivismo a difesa degli ipotecati travolti dalla durissima crisi immobiliare spagnola del 2008-2010. Colau è stata la prima amministratrice locale a multare Airbnb (600 mila euro) per obbligarla a ritirare gli annunci illegali dei proprietari che non pagano le tasse.

Fra gli antagonisti ci sono anche Bill De Blasio, rieletto primo cittadino di New York a novembre, e gli economisti di Ucla che hanno appena pubblicato una ricerca, contestata da Airbnb, dove si dimostra che la piattaforma per affitti brevi fa aumentare sia le locazioni non turistiche a lungo termine, sia i valori di compravendita degli immobili con vantaggio di chi possiede e danno di chi non ha.

Se non contrari, sono in genere preoccupati gli urbanisti, soprattutto in relazione alle piccole città d’arte come Venezia o Firenze, investite da masse crescenti di visitatori su spazi molto più limitati di Parigi o Los Angeles. Nell’area della laguna veneta gli appartame nti in lista con Airbnb sono raddoppiati in due anni a Venezia centro e decuplicati in terraferma. «L’espulsione dei residenti», ha dichiarato il docente d el Worcester Polytechnic institute Fabio Carrera, animatore di VeneziaProject, «si sta allargando a Marghera e a Mestre».

Ovviamente, fra gli avversari di Airbnb si schierano gli albergatori. Per chi gestisce un hotel il turismo in versione deregulation è il Maligno. L’italiana Federalberghi spara a zero: «Estendere l’aliquota del 10 per cento ad Airbnb promuoverà l’espulsione delle famiglie dai centri storici».

In effetti, il successo della piattaforma ha del soprannaturale anche per le progressioni esponenziali della new economy. Airbnb viene fondata nell’ottobre 2007 a San Francisco da due ventiseienni, Joe Gebbia e Brian Chesky con il nome airbedandbreakfast.com. Quattro mesi dopo si unisce a loro il genio dell’algoritmo Nathan Blecharczyk, di due anni più giovane ma già milionario grazie ai programmi di email marketing, come si chiama lo spam quando non lo si vuole offendere.

Il marchio deriva dalla circostanza che Gebbia e Chesky, ancora non associati al benestante Blecharczyk, non riuscivano a pagarsi l’affitto a San Francisco. Visto che era in programma una fiera del design e che gli hotel esponevano il tutto esaurito, i ragazzi pensarono di piazzare qualche materassino gonfiabile sul pavimento di casa e riscuotere il pedaggio, come facevano i locandieri della Francigena con i pellegrini negli anni giubilari.

Oggi i tre giovani imprenditori hanno 3,8 miliardi di dollari di patrimonio a testa. L’impresa è valutata 31 miliardi di dollari, all’incirca pari a quello di Marriott International ma con la differenza che Airbnb non ha quasi beni materiali. Il fatturato 2016 è stato di 1,7 miliardi di dollari con prenotazioni in 191 paesi. Per la prima volta l’anno scorso il bilancio ha chiuso con un utile netto di 100 milioni. Nel 2017 la società prevede di ricavare 2,8 miliardi di dollari, nel 2018 potrebbe quotarsi a Wall street e nel 2020 conta di arrivare a 8,5 miliardi di giro d’affari, nonostante una concorrenza feroce da parte di gruppi come Priceline-Booking, Expedia-Homeaway, 9flats.

In Italia il giro d’affari 2016 dichiarato dal country manager di Airbnb, il trentunenne Matteo Stifanelli, è stato di 621 milioni di euro incassati dagli host per una media di 2200 euro annuali a testa e 5,6 milioni di ospiti. Secondo l’Istat, ci sono 103 mila appartamenti a disposizione per chi viaggia in Italia. Un terzo sono in Toscana. Roma ne ha 26 mila, seguita da Milano (15 mila), Firenze e Venezia con 10 mila per una, e Napoli a quota 5 mila.
Proteste contro Airbnb a New York

A differenza di Parigi, Barcellona, New York, Berlino, i sindaci italiani vedono per lo più con favore l’espansione di Airbnb perché sperano di rimpinguare i magri bilanci con gli incassi delle tasse di soggiorno, le stesse che vengono applicate ai turisti che si fermano negli alberghi. A Venezia Luigi Brugnaro punta a raddoppiare gli introiti a 2 milioni di euro nel 2018. A Firenze Dario Nardella ha messo in preventivo 4 milioni di euro per l’anno prossimo.

Viaggio nella giungla fiscale
Sono briciole. La sharing economy socialisteggiante che Airbnb ama prendere a riferimento è una giungla fiscale. Oltre alla tassa di soggiorno, c’è la cedolare secca al 21 per cento che il governo ha introdotto nella manovra bis e che l’Antitrust ha bocciato in quanto «potenzialmente idonea ad alterare le dinamiche concorrenziali fra i diversi operatori con possibili ricadute negative sui consumatori finali dei servizi di locazione breve». La multinazionale ha perso un primo ricorso al Tar del Lazio e si è rivolta in appello al Consiglio di Stato.

L’aliquota al 10 per cento verrebbe incontro ai proprietari che affittano per arrotondare il budget familiare in tempi di crisi ma la realtà di Airbnb è così complessa che per il legislatore è difficile centrare il punto di equilibrio.

Secondo un host romano che ha affittato in zona Esquilino, il gioco non vale la candela. «La tassa comunale dovremmo riscuoterla noi», dice, «ma è impossibile chiedere 7 euro a una coppia quando si parla di affitti da 30 euro a notte e di turismo low-cost. Su questi livelli non si rientra neanche dalle spese se non si accetta di incassare una parte in nero. E questo non tiene conto dei possibili, e frequenti, danni. I risarcimenti sono così bassi che non conviene perderci tempo. Tanti host preferiscono scrivere una recensione ipocrita che loda la signorilità dell’ospite in modo da non ricevere in cambio recensioni negative. È il regno dell’ipocrisia e dei ricatti incrociati. Il modello hater ha preso piede anche su Airbnb».

La società si difende mettendo al bando i disturbatori professionali ma le sue capacità di controllo, come quelle delle altre piattaforme di tipo social, sono limitate. In compenso, è difficile battere Airbnb sul lobbying. Il direttore della global policy e public affairs è Chris Lehane, ex consigliere di Bill Clinton e del partito democratico, che insiste su temi progressisti: «Il 60 per cento dei viaggiatori nel mondo su Airbnb è composto da millennial», ha detto in una conferenza all’Ocse, «e il 55 per cento delle strutture ospitanti è gestito da donne. È una forma di compensazione rispetto alle disparità retributive e di genere».

Anche in Italia è stato selezionato un democrat di prestigio, Francesco Rutelli. L’ex sindaco di Roma è ancora molto influente sull’apparato del ministero dei Beni culturali (Mibact) da lui guidato fra il 2006 e il 2008 (governo Prodi) e oggi in mano a Dario Franceschini.

Il Mibact, insieme all’associazione dei comuni italiani (Anci) e ad Airbnb, ha appena lanciato un programma di valorizzazione e promozione internazionale di venti borghi storici italiani (Italian villages), uno per regione. In alcuni di questi borghi saranno recuperati spazi pubblici con l’aiuto di artisti e architetti, com’è già accaduto a Civita di Bagnoregio.

L’iniziativa è stata presentata il 9 ottobre a Palermo dal paisà Gebbia alla presenza del sindaco Leoluca Orlando, del sottosegretario Dorina Bianchi e dello stesso Rutelli.

Su Airbnb come paladina del restauro conservativo non tutti sembrano d’accordo. Per fare un esempio, domenica 26 novembre gli host della piattaforma e l’associazione Retake Roma hanno animato un repulisti intensivo del Pigneto, riqualificato (o dequalificato, secondo i gusti) da borgata pasoliniana in quartiere della movida. L’intervento, condotto in collaborazione con il personale e i mezzi dell’Ama, è stato duramente contestato da una parte dei residenti.

La libreria TubaBazar ha postato su Facebook: «Nel retake di oggi al Pigneto hanno ripulito la nostra serranda e qualcosa del nostro muro senza chiederci il permesso». I gestori della libreria hanno scritto una lettera in cui dichiarano: «Ci piacciono i muri pieni di manifesti. Ci piace il rumore. La retorica del degrado viene spesso utilizzata nel discorso pubblico di questa città per marginalizzare chi è diverso o, peggio, contro chi è povero».
Se è vero che ogni retorica ha la sua retorica uguale e contraria, Airbnb non fa eccezione.

L’altra faccia dell’hosting
Sul rovescio della medaglia che mostra Airbnb intenta a rianimare i borghi storici, i quartieri degradati e il commercio di prossimità, c’è come sempre il lato oscuro della forza.

Airdna, un sito statunitense che fornisce statistiche su Airbnb, puntualmente contestate dalla società interessata, ha pubblicato una classifica dei multihost, i gestori professionali con molti appartamenti.

A Londra c’è chi nel 2016 ha guadagnato 15,6 milioni di dollari con 881 unità immobiliari, seguito a breve distanza da un affittacamere di Bali (15,5 milioni), da uno di Cape Town e - davvero sbalorditivo - dai 6,9 milioni di dollari annui incassati da un multiproprietario dell’Havana, contro l’idea comune che il castrismo non paga.

Un altro caso che contrasta con la presunzione di socialismo attribuita ad Airbnb è quello di Paul Manafort. Il direttore della campagna presidenziale di Donald Trump è stato rinviato a giudizio per il Russiagate. Nell’elenco dei capi di imputazione figura l’acquisto, attraverso una shell company cipriota, di un immobile prestigioso nel quartiere newyorkese di Soho. Il loft, quotato oltre 3 milioni di dollari, è stato messo in lista su Airbnb e affittato tramite un ex attore, James De Bello (American Pie, Scary movie 2), che sostiene di avere fatto semplicemente da sitter senza sapere nulla sul proprietario.

«Manafort», si legge nella richiesta di rinvio a giudizio per riciclaggio di 21 milioni di dollari, «ha usato la proprietà almeno dal gennaio 2015 fino a tutto il 2016 come una fonte di reddito da locazione incassando migliaia di dollari a settimana su Airbnb e altre piattaforme».

I legali di Manafort hanno contestato l’accusa ma il Daily beast ha rilanciato la questione della sicurezza e della permeabilità di Airbnb con un’inchiesta che ha individuato gruppi di hacker russi capaci di usare carte di credito rubate o clonate per effettuare pagamenti. In Francia è da poco scoppiato lo scandalo degli affitti pagati tramite una carta ricaricabile chiamata Payoneer ed emessa a Gibilterra al di fuori dal radar dei controllori francesi.

Airbnb sostiene di verificare la provenienza dei soldi. Ma è virtualmente impossibile bloccare chi vuole riciclare denaro o chi effettua pagamenti a scopo corruttivo attraverso le cosiddette piattaforme peer-to-peer. Ed è altrettanto improbabile verificare se un accredito è stato fatto a fronte di una prestazione reale, in questo caso la vacanza, o se l’appartamento è rimasto vuoto e funziona soltanto come schermo per incanalare denaro.
Di sicuro, con l’avvento dei multihost che propongono gli immobili di lusso c’è l’opportunità di riciclare decine di milioni ogni anno. Se le più agguerrite autorità di vigilanza non riescono a vincere la guerra ai soldi sporchi, è impensabile che lo faccia Airbnb.

Vacanze in Kansas
Il processo sul Russiagate, con l’ammissione di colpevolezza del generale Michael Flynn, ex consigliere di Trump, potrà dire di più sui fiumi di denaro partiti da Mosca per influenzare la politica negli Stati Uniti con altri mezzi rispetto a quelli della guerra fredda fra i due blocchi.

Oggi che si combatte con il coding e che l’atomica piace solo a Kim Jong Un, ad approfittare degli spazi del disarmo c’è sempre Airbnb. La società ha messo in lista un appartamento annunciato in modo evocativo. È il Subterra castle, un bilocale sotterraneo definito «the first nuclear missile base on Airbnb» e si trova a 15 chilometri da Topeka, nel centro degli Usa. Dove c’è il caminetto, una volta c’era una testata balistica intercontinentale di tipo Atlas.

Chi sentisse l’urgenza di trascorrere una vacanza nel sottosuolo del Kansas dovrà aspettare. Al momento la struttura è «soggetta a transazione immobiliare» e non si può prenotare. Ma tutte le recensioni danno cinque stelle su cinque e il prezzo, 121 euro a notte per quattro ospiti, è irresistibile.