Consip, quella guerra di correnti tra Alfredo Romeo e Denis Verdini
Gli appalti di Stato facevano gola alle imprese legate all'imprenditore o al politico toscano. ?Così sono iniziate a girare tangenti. Ecco cosa rivelano gli ultimi documenti sull'inchiesta che sta sconvolgendo la politica italiana
Il pomeriggio del 19 ottobre 2016 il giovane e ambizioso faccendiere Carlo Russo entra nello studio romano di Alfredo Romeo. Nemmeno il tempo di prendere un caffè e specificare che la sua consulenza deve essere di «centomila euro annui netti, e non lordi», che l’imprenditore campano comincia a sfogarsi. «Marroni è un traditore! Mi fa fuori da due lotti per irregolarità da poche centinaia di euro! Qua in Consip ci stanno conflitti di interessi, turbative d’asta, cazzi pesanti che lui porta avanti e tutela... Io non sono interessato a dare fastidio agli altri, come Manutencoop e Cns eccetera, perché questo è un mercato e dobbiamo andare avanti. Ma non dovete rompere o’ cazz’ a me!».
Carlo Russo prova a calmarlo. A spiegare che con Luigi Marroni ci ha parlato, e che l’amministratore delegato della spa pubblica gli avrebbe promesso che avrebbe vigilato «affinché nessuno faccia marchette e porcate». Romeo, però, tira dritto. «Io poi non voglio il male di Bigotti. Facesse quello che cazzo vuole! Ma non rumpete o’ cazz a me!». Respiro. «Va bene dottore, dobbiamo fare un accordo quadro. Santificato in qualche modo...».
Le 986 pagine dell’informativa firmata dai Carabinieri e dalla Guardia di finanza per l’indagine Consip nascondono stralci di conversazioni intercettate e dettagli investigativi che, uniti ad altri documenti riservati, mostrano con evidenza come Romeo (oggi in carcere per la presunta corruzione di Marco Gasparri, dirigente apicale della centrale acquisti dello Stato) si sentisse davvero “accerchiato”. Vittima di un «complotto» dei vertici della società di Stato che, a suo parere, favorivano sistematicamente le cooperative rosse e, soprattutto, le imprese di quello che l’imprenditore di Cesa considera il suo vero, acerrimo nemico: Ezio Bigotti. Un immobiliarista vicinissimo a Denis Verdini e diventato presunto dominus, ripete Romeo in lunghi monologhi davanti ai fedelissimi, di un sistema di potere che in Consip fa il bello e il cattivo tempo. Tanto da essere riuscito a mettere in un angolo il “sistema” contrapposto. Quello, appunto, che secondo i pm fa capo a Romeo.
«Alfredo è uno che chiagne e fotte: il lotto più grosso dell’appalto FM4 l’ha vinto proprio lui», sorride un investigatore della procura di Napoli che ha seguito l’inchiesta fin dalle prime battute. Che al cronista ammette, però, come a torto o ragione sia stata un’improvvisa «sindrome da assedio» a spingere Romeo a cercare sponde politiche «di altissimo livello» per intervenire su Marroni. E proponendo, come accusano gli investigatori, un accordo economico al duo Carlo Russo-Tiziano Renzi, affinché curassero i suoi interessi direttamente con il manager renziano, che Romeo definisce a volte «il Traditore» altre «Colore» o «il Colorato».
Un intervento costoso (secondo i magistrati Romeo avrebbe dovuto dare 100 mila euro netti l’anno a Russo, e 30 mila al mese al babbo dell’ex premier) ma improcrastinabile, perché nella testa dell’imprenditore si è annidata come un tarlo la certezza che le sue aziende rischiano di essere penalizzate, «come già in passato», pure nel maxi appalto da 2,7 miliardi per i servizi nei palazzi della pubblica amministrazione. A favore di Bigotti, ça va sans dire, e dei suoi alleati, i francesi di Cofely.
«Qui si tratta di una corruzione, se mai c’è stata, non dico da quattro soldi ma quasi», affermano gli avvocati di Romeo. «Lui non era un privilegiato, ma in Consip era un emarginato. Altro che corruttore, lui è stato fregato più volte». Se è un fatto che Romeo è stato incastrato dalle dichiarazioni del reo confesso Gasparri («mi ha dato 100 mila euro in tre anni, in più di un’occasione mi ha chiesto di intervenire sulla commissione per incidere e sovvertire i punteggi e la graduatoria», ha ammesso il funzionario) e che ha vinto e ha continuato a vincere con la Consip appalti da centinaia di milioni di euro, il sistema degli appalti di Stato sembra davvero marcio fino al midollo, con gare miliardarie a cui, da lustri, partecipano sempre gli stessi gruppi industriali che si spartiscono la torta attraverso modus operandi sorprendenti.
Non è un caso che gli avvocati di Romeo abbiano inserito nella memoria difensiva presentata al giudice per le indagini preliminari un esposto della Romeo Gestioni spedito un anno fa (dunque in tempi non sospetti) a Marroni, al presidente dell’Anac Raffaele Cantone e a quello dell’Antitrust. Un documento che è un atto d’accusa durissimo alla Consip, e che - risulta all’Espresso - Antitrust e Anac stanno studiando da mesi, per capire se gli strali lanciati da Romeo contro i suoi concorrenti abbiano un fondo di verità o siano solo i piagnistei di un imprenditore (e presunto corruttore) che non sa perdere.
L’esposto è stato scritto in seguito all’esclusione della Romeo Gestioni dalla gara per il “Servizio Luce” per la pubblica amministrazione. Una commessa da ben 967 milioni divisa in otto lotti, due dei quali inizialmente assegnati allo stesso Romeo, ma poi eliminato dalla tenzone per tre irregolarità di alcune piccole società a lui consorziate (tra queste, si legge nella sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2016 che dà ragione alla Consip, la mancata segnalazione di un debito pregresso di 600 euro e alcuni mancati pagamenti all’Inail per 23 mila euro).
Quando Romeo viene a sapere che uno dei due lotti è stato assegnato alla Conversion&Lighting di Bigotti, non ci vede più dalla rabbia. Prende carta e penna e detta al suo avvocato parole di fuoco. Il destinatario è Marroni. «Ben 5 lotti di gara su 8 del “Servizio Luce” risultano di fatto aggiudicati a istanze imprenditoriali che vedono la partecipazione sostanziale di aziende del gruppo Sti, presieduto da Ezio Bigotti». Romeo segnala come i lotti 5 e 7 siano stati aggiudicati alla Conversion&Lighting srl, solo perché a novembre 2015 Manutencoop ha venduto alla srl di Bigotti proprio l’azienda che era arrivata seconda dietro Romeo, la Smail spa.
La Conversion è al 51 per cento controllata dalla Exitone (altra società di Bigotti) e al 49 per cento dal Consorzio Stabile energie locali, «già aggiudicatario del lotto 2 e che vede tra i propri consorziati la Gestione Integrata srl, anche questa partecipata per l’85 per cento» dall’imprenditore di Pinerolo. Romeo è una furia: anche nei lotti 1 e 3 ci sono, in qualità di mandanti del raggruppamento delle imprese vincitori, «la stessa Exitone e la Siram, anche lei socia della Gestione integrata. Con tale aggiudicazione» chiude Alfredo «un unico centro imprenditoriale si assicura oltre il 76 per cento del complesso delle attività poste in gara a livello nazionale, 740 milioni su un totale di 967. Un risultato “incredibile”».
Antitrust e Anac stanno ora valutando se sia stato rispettato il disciplinare della gara, che prevede non solo che ogni concorrente non possa aggiudicarsi più di due lotti, ma che i partecipanti si presentino «sempre nella medesima forma individuale o associata e, in caso di Rti o consorzi, sempre con la medesima composizione, pena l’esclusione del soggetto stesso e del concorrente». Per Romeo, Consip protegge «un cartello permanente, composto da un ristrettissimo numero di soggetti imprenditoriali (mondo cooperativo, Bigotti e pochi altri) capace di condizionare in modo determinante in proprio favore le aggiudicazioni dei più grandi appalti pubblici grazie a una accurata e ben pianificata e coordinata regia di partecipazioni alle gare, di strumentali desistenze e di gestione del contenzioso».
L’esposto segnala come perfino la vendita della Smail a favore di Bigotti da parte di Manutencoop avvenuta a fine 2015 (le cooperative hanno dato via una società che si stava per aggiudicare due lotti da centinaia di milioni per appena 2,7 milioni di euro, tanto ha pagato l’imprenditore piemontese) sia stata in realtà un’operazione «strumentale», nata per «eludere» eventuali interventi dell’Antitrust contro il colosso delle cooperative. Un mese dopo la vendita, in effetti, Manutencoop, Cns e altre due società sono state sanzionate all’Autorità di Giovanni Pitruzzella con una multa da 110 milioni di euro, per aver messo in piedi un cartello che ha consentito al gruppo di spartirsi un’altra gara, quella per la pulizia delle scuole italiane, da 1,6 miliardi. Per la cronaca, il Tar (che ha confermato l’esistenza del cartello) ha ordinato di rivedere al ribasso le multe.
Nell’esposto Romeo mette anche le mani avanti, spiegando che i suoi concorrenti e le «partecipazioni “dubbie” già riscontrate in passato» rischiano di turbare gare importantissime non ancora assegnate da Consip: individua nella FM4 una sorta di «desistenza competitiva» tra Bigotti e Cofely («le due candidature coprono ben 12 lotti senza mai sovrapporsi se non nell’unico marginale caso del lotto 8), e indica presunti accordi tra Manutencoop, Cns e altre cooperative rosse per spartirsi business miliardari in altre competizioni.
«Per evitare che la cultura del sospetto possa travolgere la sostanziale credibilità delle gare della Consip, la stessa deve assicurare in futuro la massima trasparenza della propria azione», conclude Romeo. La risposta di Marroni arriva dopo un mese: senza entrare nel merito delle accuse, l’ad della stazione appaltante controbatte affermando che quelle di Romeo sono solo «illazioni e insinuazioni, affermazioni di particolare gravità che giungono a delineare una condotta deliberatamente contraria alla mission aziendale (Romeo aveva anche ipotizzato danni erariali causati dalle scelte della spa pubblica, ndr) e di favore per interessi privati, che impongono una reazione a tutela dell’immagine aziendale». Una querela che non sappiamo se sia mai partita.
L’ossessione principale dell’imprenditore nato a Cesa, in provincia di Salerno, resta soprattutto Bigotti. L’immobiliarista di Pinerolo è spesso al centro delle discussioni con Italo Bocchino, ex parlamentare di An, amico di vecchia data e suo consulente personale. Ma Romeo ne parla anche con il «prototipatore» Gasparri, da lui pagato per dargli informazioni riservate e consigli sulle gare Consip, e con il presunto faccendiere toscano Russo. «Bigotti è un uomo di Verdini. Socio numero uno di Paolo Berlusconi», ripete preoccupatissimo Romeo durante gli incontri con i suoi uomini, ipotizzando persino - si legge nelle intercettazioni dei carabinieri del Noe - che la moglie di un presidente di una commissione di gara della stazione appaltante sia stata assunta da Bigotti «per la realizzazione di qualche progetto».
Soprattutto, Romeo temeva che nella gara Fm4 l’avversario riuscisse ad allearsi con Cofely per strappargli il famoso lotto 10, quello più pregiato, per la gestione dei servizi dei palazzi del potere del centro di Roma. «Marroni l’ha fatto apposta. L’esclusione dalla gara luce, l’ha fatto apposta» s’arrabbia Alfredo sbraitando su Russo durante un altro incontro riservato. «Io ti ho parlato con il cuore in mano... io sto fuori da tutto, quindi devo trovare un’assicurazione, una polizza assicurativa». Una polizza che avrebbe, secondo gli inquirenti, le fattezze dello stesso Russo e del padre dell’ex premier Matteo Renzi, oggi entrambi indagati per traffico illecito di influenze.
Bigotti è un nome semisconosciuto all’opinione pubblica. Diploma di geometra, classe 1964, a 29 anni fonda il Gruppo Sti che ha il suo core business nell’immobiliare. Nel 2004 il salto di qualità, con la decisione di fondare Exitone e lanciarsi nei servizi del facility management. Bigotti comincia a finanziare la destra come la sinistra (nel 2004 le dichiarazioni presentate dai partiti in Parlamento segnalano una donazione di 50 mila euro ad An, 10 mila alla Margherita, 105 mila ai Ds), a partecipare a gare pubbliche anche all’estero (per la realizzazione del catasto in Bulgaria), a frequentare i palazzi del potere. Nei corridoi della Regione Piemonte conosce e si fidanza con l’ex assessore ai trasporti di An Barbara Bonino, diventa console onorario della Repubblica del Kazakistan a Torino, e si fa notare pure in Sicilia, dove nel 2007 diventa membro di un Comitato promotore per portare l’America’s Cup a Trapani. È in quel periodo che conosce l’ex ministro dell’Udc Saverio Romano (oggi in Ala, il partito fondato da Verdini), e che viene scelto dalla Regione Sicilia guidata al tempo da Totò Cuffaro come partner privato in una società regionale, la Spi, per fare un maxi censimento di tutti gli immobili pubblici dell’isola.
La società finanziaria di Bigotti, controllata dalla lussemburghese Lady Mary II e schermata, come scrisse L’Espresso nel 2012, da altre due fiduciarie del Granducato, ha già incassato per quel lavoro un compenso di oltre 80 milioni di euro. A oggi è però ancora aperto un arbitrato, perché Bigotti ne pretende altri 60: nel 2014 un collegio arbitrale, in prima istanza, ne ha accordati quasi 12, ma la Regione ha fatto opposizione. Una curiosità: l’ex assessore all’Economia che ha bloccato i pagamenti ma aperto la strada alla conciliazione è Gaetano Armao, console onorario del Belize ed ex consulente di Bigotti negli anni ’90.
All’uomo di Pinerolo, però, la Sicilia sta stretta. Così comincia a estendere i suoi business in tutta Italia e a frequentare le gare miliardarie della Consip. «È riservato e abilissimo, negli ultimi anni ha vinto lotti di bandi pubblici di grande rilievo. È uno schiacciasassi», sostiene un industriale che lo conosce bene. Secondo Romeo, però, il successo di Bigotti non è frutto solo delle sue capacità personali. Ma anche della sua rete di amicizie, e delle sue entrature politiche. In primis quella di Verdini. Gran ciambellano del patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi, amico personale di Marroni e di pezzi importanti del Giglio magico.
Quando a fine 2016 Romeo teme di perdere il lotto 10 del mega appalto FM4, a Bocchino (che gli ricorda che «c’è il problema di uno straniero che in un lotto così delicato istituzionalmente non va bene, ma poi c’è il problema Bigotti che entra su Roma con Cofely e su Milano con Cns») risponde secco: «Questa notizia è quella che mi ha sconcertato totalmente. Secondo me questa cosa significa che Verdini è tutt’altro... a Bigotti. E Bigotti è uomo di Verdini... perché Bigotti è socio... numero uno di Bigotti è Paolo Berlusconi». Durante la conversazione i due parlano anche di Ignazio Abrignani, fedelissimo di Denis e, sarà un caso, consulente legale del Consorzio energie nuove, partecipato anche da Bigotti e alleato di Cofely nella gara miliardaria.
Nell’informativa c’è un passaggio inedito e interessante: il 29 settembre 2016 Bocchino dice a Romeo che il giorno prima, alla Camera, è stato fermato proprio da Abrignani, che gli avrebbe confidato di star lavorando, anche per conto di Verdini, per «ricomporre il dissidio» tra le aziende di Romeo e i suoi avversari. «Una conversazione che ha tratti di assoluta valenza investigativa», scrivono gli investigatori, «in quanto delinea forti interessi da parte di Abrignani e del Verdini stesso in favore della multinazionale francese Cofely che si è aggiudicata alcune commesse in Consip anche in Ati con Bigotti, grazie all’interessamento di Verdini che sarebbe collegato a quest’ultima società». Non solo. L’esposto di Romeo contro Bigotti forse ha avuto i suoi effetti, tanto che Bocchino sostiene che «il messaggio loro, sia di Denis, è quasi a dire: chiudete, che poi in futuro si può lavorare assieme...».
È un fatto che i sospetti di Romeo sulle mosse di Bigotti e Verdini su Marroni non siano del tutto infondati: non solo il manager renziano ha spiegato ai pm di aver avuto pressioni sia da Abrignani sia da Verdini per favorire Cofely, ma ha ammesso di aver incontrato più volte Bigotti, e proprio su richiesta esplicita di Verdini. «Ci siamo visti tutti e tre “Al Moro”, Bigotti ha parlato della Consip, del modo di fare le gare... Bigotti mi diede molto fastidio, dissi che io ero presente per cortesia di un amico comune, ovvero Verdini, e che le considerazioni del Bigotti circa il nostro atteggiamento aggressivo nei confronti della sua società erano inopportune».
Se Romeo è in galera, Verdini e Bigotti a oggi non risultano nemmeno indagati nell’inchiesta sulla Consip. L’imprenditore di Pinerolo qualche giorno fa è stato assolto dall’accusa di millantato credito in un vecchio processo sull’appalto di un tunnel a Torino: il pm aveva chiesto un anno e sei mesi, ma per i giudici il fatto non sussiste. Chissà se adesso il motore di ricerca di Google sarà più benevolo nei confronti di Bigotti: nel 2012 Ezio ha infatti fatto causa al colosso americano perché infastidito di come, digitando il suo nome, sulla stringa del sito comparissero subito i termini “indagato” e “arrestato”. Bigotti perse il contenzioso e fu costretto a pagare le spese legali, e Google non ha dovuto modificare l’algoritmo che accosta, al nome e il cognome, le parole più usate da chi ha compiuto in precedenza una ricerca sulla stessa persona.