L’inchiesta
Giglio nero, le rivelazioni dell’ad di Consip svelano il sistema
Non solo Tiziano Renzi, papà dell’ex premier, e il fedele Luca Lotti. C’è anche Denis Verdini nel sodalizio di pressioni e ricatti che puntava agli appalti di Stato
Lo scorso Natale, davanti ai cappelletti in brodo e all’arista di maiale imposti dalla tradizione fiorentina, Matteo Renzi, il suo babbo Tiziano e il ministro Luca Lotti non potevano immaginare che il loro vecchio amico Luigi Marroni, premiato nel 2015 con la poltrona di amministratore delegato della Consip, qualche giorno prima aveva fatto saltare dalla sedia i magistrati napoletani.
È un martedì sera, Marroni deve ancora finire di comprare i regali per la Vigilia. I pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano lo stanno interrogando sul grande appalto da 2,7 miliardi di euro chiamato Facility Management 4, sul presunto sistema corruttivo messo in piedi dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo (arrestato qualche giorno fa) per aggiudicarsi i lotti e sulle eventuali sollecitazioni ricevute da politici e faccendieri. Marroni a un certo punto fa un grande sospiro e comincia a raccontare. Parla di un vero e proprio «ricatto» subito da un sodale di Tiziano Renzi, l’imprenditore Carlo Russo. Riferisce di pressanti «richieste di intervento» sulle Commissioni di gara per favorire una specifica società; di «incontri» riservati con il papà di Renzi a Firenze; e di «aspettative ben precise» da parte di «Denis Verdini e Tiziano Renzi» in merito all’assegnazione di gare d’appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro.
Avessero potuto ascoltare Marroni, ai componenti dell’inner circle di Matteo sarebbe certamente andato di traverso l’intero pranzo natalizio, compresi gli immancabili crostini di fegatini e ricciarelli ricoperti di zucchero. Il Fatto Quotidiano ha già svelato che durante il suo interrogatorio il dirigente di fede renziana aveva ammesso di essere venuto a conoscenza di un’indagine sugli appalti della Consip grazie a una doppia “soffiata” del ministro Lotti e del generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia. Ma ora L’Espresso è in grado di fare nuova luce su uno scandalo politico che rischia di travolgere la famiglia dell’ex boy scout di Rignano sull’Arno e forse di condizionare le imminenti primarie del Partito democratico.
Marroni, infatti, agli investigatori ha rivelato molte altre cose. Ha affermato, per esempio, che Carlo Russo, l’imprenditore indagato dalla procura insieme a Tiziano Renzi per traffico di influenze illecite, in occasione di un incontro a due negli uffici romani della Consip gli avrebbe chiesto in modo pressante di favorire una società nel cuore di Denis Verdini, ricordandogli che la sua promozione in Consip era avvenuta proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi e di Verdini. Di più: Russo avrebbe sottolineato a Marroni - dice ancora il numero uno della Consip agli inquirenti - come Tiziano e Denis fossero ancora «arbitri del mio destino professionale», potendo la coppia «revocare» il suo incarico di amministratore delegato della stazione appaltante: una spa controllata al 100 per cento dal ministero dell’Economia.
Le dichiarazioni dell’ex direttore dell’Asl di Firenze voluto dal governo Renzi a capo di una delle società pubbliche più importanti d’Italia sono sorprendenti. Perché - al di là delle implicazioni giudiziarie della vicenda - aprono diversi interrogativi politici. Marroni si è inventato tutto o davvero Carlo Russo lo ha intimidito tirando in ballo il suo futuro lavorativo nel caso non avesse fatto quello che gli si chiedeva? Poteva davvero il babbo dell’allora presidente del Consiglio (insieme a un parlamentare di un partito associato alla maggioranza, Verdini) influire sulla nomina del numero uno dell’azienda pubblica Consip? Tiziano Renzi e Denis Verdini si muovono davvero da gruppo di pressione, come sembra emergere dalle dichiarazioni di Marroni?
Se Russo fosse un millantatore solitario, sembra strano che il capo di Consip abbia deciso di incontrarlo e ascoltarlo tre volte nei suoi uffici a Roma, parlando degli appalti FM4. E sembra improbabile che il giovane e vivace imprenditore del settore farmaceutico si sia lanciato in una lobby solitaria: qualche giorno fa il governatore della Puglia Michele Emiliano ha detto che perfino Lotti si raccomandò con lui affinché incontrasse Russo.
Abbiamo tentato di parlare con Marroni, ma non ha voluto risponderci né richiamarci. Abbiamo mandato un messaggio su Whatsapp che di certo qualcuno ha letto (è apparsa la doppia spunta blu) nel quale abbiamo domandato cosa intendesse definendo Tiziano Renzi e Russo «arbitri» della sua permanenza in Consip. Ma l’amministratore delegato ha scelto di non rispondere.
È un fatto, però, che lo scorso 20 dicembre Marroni abbia raccontato ai magistrati altri dettagli rilevanti, spiegando come nel marzo del 2016 Tiziano Renzi in persona gli chiese un incontro riservato, effettivamente avvenuto - a suo dire - in piazza Santo Spirito a Firenze. Il numero uno della Consip ammette con gli inquirenti che il papà dell’allora premier gli avrebbe chiesto in quel frangente di «accontentare» le richieste di Russo, perché persona di sua fiducia. Tiziano stesso avrebbe presentato l’amico imprenditore all’ad di Consip durante un primo incontro avvenuto qualche tempo prima. Marroni aggiunge pure che, di fronte alle sollecitazioni, lui non si è mai piegato. Avrebbe ascoltato con pazienza gli interlocutori, senza però dare seguito a nessuna delle richieste.
Istanze e suppliche arrivavano, ipotizzano gli investigatori, da diversi gruppi di pressione interessati ai bandi milionari. I magistrati napoletani e quelli romani (la parte dell’indagine che tocca il Giglio Magico è stata trasferita per competenza a Roma ed è seguita dal pm Mario Palazzi e dal procuratore aggiunto Paolo Ielo), insieme ai carabinieri del Noe e alla squadra mobile di Roma stanno cercando di capire se i presunti facilitatori lavorassero l’un contro l’altro armati per favorire aziende in lotta tra loro o se al contrario fossero un’unica banda.
I pm si stanno concentrando su due fronti: da un lato l’indagine capillare sul cosiddetto “sistema Romeo”, attraverso cui uno dei big del settore dei servizi avrebbe tentato - mediante presunti atti corruttivi con il dirigente Consip Marco Gasparri - di aggiudicarsi alcuni lotti del bando FM4. Secondo i magistrati napoletani da cui è partita l’inchiesta, Romeo avrebbe tentato di agganciare la Consip anche attraverso i buoni uffici di Russo e Tiziano Renzi.
Dall’altro lato, gli inquirenti hanno acceso un faro anche sui principali competitor di Romeo, ossia il gigante francese Cofely, capofila di un raggruppamento di imprese che avrebbe vinto (in via provvisoria) un numero di lotti assai maggiore rispetto a quelli ottenuti da Romeo.
È ancora Marroni che nomina Cofely Italia, oggi ramo di Engie Italia, nuovo brand del colosso dell’energia Gdf-Suez. Cercando di specificare il ruolo di Verdini in merito alle pressioni ricevute sugli appalti FM4, il dirigente ha chiarito a Woodcock e a Carrano che alla fine del 2015 venne nei suoi uffici Consip il parlamentare di Ala Ignazio Abrignani, uomo vicinissimo a Verdini. Che gli avrebbe chiesto senza tanti fronzoli di «intervenire» per favorire il raggruppamento dei francesi nella gara. Secondo Marroni, Abrignani parlava proprio per conto di Verdini. Il senatore avrebbe voluto che Marroni si adoperasse affinché Cofely si aggiudicasse un lotto in particolare: quello, strategico, di Roma Centro, che comprende i servizi di Palazzo Madama, Palazzo Chigi, ministeri importanti come il Viminale e la Giustizia e il Quirinale. Una gara periodica che nel 2011 era stata aggiudicati a Romeo, mentre il nuovo bando, anche se solo in via provvisoria, è stato assegnato proprio a Cofely. Marroni sostiene che dopo la visita di Abrignani non fece assolutamente nulla, limitandosi a informarsi dai commissari di gara su come stava procedendo il bando. Risposta della commissione: «Cofely sta andando bene».
L’Espresso ha contattato Abrignani, che conferma l’incontro con Marroni (spostandolo però di qualche mese in avanti), ma dando una versione diversa del contenuto. «Io sono un deputato di Ala, è vero, ma sono anche avvocato del Consorzio stabile energie locali, che ha partecipato alla gara FM4 insieme alla capofila Cofely», ammette Abrignani. L’ipotesi di un conflitto d’interessi sul suo doppio ruolo di legale e parlamentare non sembra nemmeno venirgli in mente: «Abbiamo partecipato a cinque lotti. Nell’incontro che chiesi a Marroni cercai soltanto di capire quanto tempo ci avrebbero messo a decidere in via definitiva. Marroni mi disse che ci stavano ancora lavorando, perché l’attribuzione era molto complessa. E che i risultati non sarebbero mai usciti prima della primavera del 2017. Infatti a oggi non c’è stata nemmeno l’aggiudicazione provvisoria. L’incontro? È avvenuto subito prima o subito dopo l’estate del 2016». In merito alle presunte pressioni di Verdini per far vincere Cofely, Abrignani dice che si è tratta di un «equivoco». «Verdini», spiega, «ha questo rapporto di vecchia amicizia con Marroni, anche i figli... Ma sono andato io a informarmi con il capo di Consip, quindi non so davvero come sia uscito che sia stato Verdini a informarsi su Cofely».
Abrignani ci dà un nuovo elemento che finora non conoscevamo: i due toscani Verdini e Marroni si conoscono. Da tempo. Sono addirittura due «vecchi amici». In più, la sua ricostruzione cozza con un’altra dichiarazione che Marroni, quel venti dicembre, fa ai pm. Oltre alla conversazione con Abrignani, il dirigente racconta infatti anche di un faccia a faccia con Verdini avvenuto a luglio del 2016. Durante il quale Verdini avrebbe detto al «vecchio amico» diventato numero uno della Consip che conosceva il contenuto dei suoi colloqui con Abrignani, che era «soddisfatto» e che avrebbe provato a far promuovere Marroni a «incarichi» ancora «più prestigiosi».
Il quadro disegnato da Marroni prospetta dunque un intreccio di interessi privati intorno ad appalti pubblici da centinaia di milioni. Mostrando che intorno alla torta Consip hanno cercato di sedersi parlamentari, familiari e presunti mediatori legati, o ragionevolmente vicini, all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Attraverso pressioni, minacce, promesse che nulla hanno a che fare con il nor male svolgimento di un bando di gara. Una ricostruzione, ricordiamolo, ancora tutta da provare. Ma che getta un’ombra sul sistema di potere renziano negli ultimi tre anni. E che colpisce alle radici il Giglio magico, per l’ennesima volta investito dal sospetto di conflitti d’interessi, di pulsioni affaristiche, di commistioni tra politica e affari, di contiguità con politici (come Verdini.
Già. La vicenda Consip fa tornare prepotentemente alla ribalta anche l’antico rapporto tra la famiglia Renzi e l’amico Denis, l’ex macellaio diventato un big di Forza Italia e un astuto affarista, oggi imputato in vari processi per truffa allo Stato, bancarotta, associazione a delinquere e altri reati assortiti, qualche settimana fa per la vicenda della “sua” banca, il Credito cooperativo fiorentino, il pm ha chiesto per il senatore di Ala una condanna ad 11 anni di prigione. Verdini per Matteo ha sempre avuto un debole politico. Conosce i Renzi più di dieci anni fa, quando - da editore del Il Giornale della Toscana, il Cittadino di Siena e Metropoli - si affida anche a una società distributrice, la Chil Post , al tempo di proprietà di Tiziano Renzi.
È in quel periodo che Denis e Tiziano si conoscono cominciano a stimarsi. Nel 2008 i rapporti sono già strettissimi: qu ando Verdini festeggia i 10 anni del suo quotidiano, nonostante sia un pasdaran di Forza Italia chiama come ospite d’onore il figlio di Tiziano, il giovane Matteo, promessa della politica toscana diventato giovanissimo presidente della provincia per la Margherita. Nel 2009, alla sfida per il comune, a Firenze si dice che Verdini e il Pdl, invece di appoggiare il candidato azzurro ed ex portiere della Nazionale Giovanni Galli, decidano al secondo turno di non nuocere alla cavalcata di Matteo, che alla fine trionfa. «Al ballottaggio per sostenermi non venne nessuno», ha detto Galli qualche anno dopo. «Avrei perso lo stesso, ma negli anni mi sono fatto molte domande».
È certo che da quel momento in poi Verdini si è spesso prodigato per Matteo. Durante la scalata al partito e al governo culminata con la cacciata di Enrico Letta, nel gennaio 2014 Verdini è stato tra i promotori e i garanti del “patto del Nazareno” tra Renzi e il Cavaliere, un accordo che l’allora direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli definì compromesso da «uno stantio odore di massoneria».
«Verdini è a tutti gli effetti uno dei componenti del Giglio Magico», si sussurrava prima ancora dello scoppio del caso Consip. Ora, dopo le rivelazioni di Marroni, quel legame sembra più forte di quanto si immaginava. Così come restano fortissimi i sospetti di conflitto di interessi di altri pezzi grossi del Giglio: come Alberto Bianchi, avvocato di Pistoia con studio a Firenze, amico personale dell’ex premier e presidente della Fondazione Open, la cassaforte di Renzi che lui stesso ha fondato qualche anno fa. Bianchi è infatti consulente legale della Consip, che gli ha girato negli ultimi tre anni - ha scoperto L’Espresso - incarichi per circa 400 mila euro. Se Marroni è «vecchio amico» di Verdini e di Tiziano Renzi, è sicuro che conosce bene anche l’avvocato che elargisce da sempre preziosi consigli a Renzi, Lotti e Marco Carrai: qualcuno ricorda ancora quando Marroni e Bianchi - nel lontano 28 febbraio 2004 - erano seduti insieme al tavolo d’onore di un convegno della Margherita. Una riunione organizzata proprio per lanciare la candidatura di Renzi alla presidenza della provincia di Firenze.
Nel consiglio della Fondazione Open ci sono, oltre a Bianchi, anche Maria Elena Boschi, Carrai e Lotti. Anche quest’ultimo, braccio destro politico di Renzi e ministro nel nuovo governo Gentiloni, è implicato nel caso Consip: è lui, secondo lo stesso Marroni, ad averlo avvertito nel luglio del 2016 dell’esistenza di un’indagine giudiziaria su Romeo e su alcuni dirigenti della Consip. All’Espresso risulta che ai pm Marroni disse che Lotti gli avrebbe ipotizzato anche l’esistenza di indagini su ex dirigenti apicali della società, e dell’uso da parte degli investigatori sia di intercettazioni telefoniche sia di “cimici”. Una presunta soffiata (Lotti ha smentito con forza davanti ai pm, che lo hanno iscritto sul registro degli indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto) che ha convinto Marroni a effettuare una bonifica degli uffici della Consip. Le microspie piazzate dalla procura per indagare sugli appalti sono state effettivamente trovate e l’indagine è stata irrimediabilmente danneggiata.
Insieme a Lotti è stato indagato con la stessa ipotesi di reato anche il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette (è stato tirato in ballo dal presidente della Consip Luigi Ferrara, ma la sua posizione sembra andare verso un’archiviazione) e il generale della legione Toscana Emanuele Saltalamacchia. Anche lui - dice Marroni, che lo definisce suo «amico» - lo avrebbe messo in guardia prima dell’estate 2016 sul lavoro della procura di Napoli.
Possibile che Marroni abbia deciso di fare il nome di Lotti come presunto suo informatore e quello di Saltalamacchia solo per far loro un dispetto? In attesa dell’esito delle indagini giudiziarie, sono tante le domande a cui Renzi e i suoi fedelissimi dovrebbero dare qualche risposta. Innanzitutto politica: perché al di là degli eventuali reati penali ancora da dimostrare, il coinvolgimento di pezzi da novanta dell’entourage dell’ex premier e le zone d’ombra dello scandalo Consip sono troppe e troppo gravi perché si possa scegliere - a poche settimane dalle primarie del Pd - la strada del silenzio.