Lo Stato maggiore: se in sede giudiziaria emergeranno responsabilità definitive dei singoli, interverremo con fermezza. Ma non vanno delegittimati i militari che si sono prodigati nel salvataggio di centinaia di migliaia di persone
La Marina militare risponde all'inchiesta de "L'Espresso" e al
videoracconto "La legge del mare" sul naufragio dell'11 ottobre 2013: «Qualora dovessero emergere, in sede giudiziaria, responsabilità definitive dei singoli, saranno adottati con tempestività, fermezza e decisione i provvedimenti del caso», è scritto in un comunicato dello Stato maggiore.
Il videoracconto,
pubblicato martedì 6 giugno, dimostra che nave Libra, il famoso pattugliatore militare, è ad appena 15 miglia da un peschereccio con 480 profughi siriani, tra i quali cento bambini. Ma invece di farla avvicinare immediatamente, come dispone la richiesta di soccorso diramata dalla Guardia costiera italiana, il Comando in capo della squadra navale ordina a nave Libra di allontanarsi e non farsi vedere da una motovedetta che dovrebbe arrivare da Malta, lontana 120 miglia.
Il rovesciamento del barcone, dopo cinque ore di inutile attesa, provoca 268 morti tra i quali sessanta bambini. La motovedetta maltese arriverà sul punto a recuperare i sopravvissuti soltanto alle 17.51, quarantaquattro minuti dopo il rovesciamento. Nave Libra apparirà addirittura verso le 18, cinquantatré minuti dopo il naufragio e quasi sei ore dopo la prima chiamata di soccorso. La prima telefonata dal peschereccio alla sala operativa della Guardia costiera viene infatti registrata alle 12.26. La richiesta a tutte le navi in transito di dare assistenza alle persone in difficoltà è delle 13.34. Il pattugliatore militare italiano è l'unità più vicina e potrebbe raggiungere i profughi in appena un'ora di navigazione. Ma nemmeno l'elicottero a bordo, che permetterebbe di valutare la situazione in pochi minuti, viene mandato in volo.
«La vicenda umana, quella giuridica, le iniziative mediatiche, legittime e comprensibili, nonché le ricostruzioni giornalistiche quando ancora le attività giudiziarie sono in corso», aggiunge il comunicato della Marina, «non possono scalfire, delegittimare o sminuire l'evidenza del servizio reso dagli uomini e le donne della Marina militare che si sono prodigati nel salvataggio negli ultimi anni di centinaia di migliaia di persone in mare e in difficoltà».
Il 12 maggio scorso il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano, ha ordinato l'iscrizione coatta sul registro degli indagati per il reato di omicidio con dolo eventuale dell'allora comandante di nave Libra, Catia Pellegrino, 41 anni, dei due tenenti di vascello in servizio alla sala operativa della Guardia costiera, Clarissa Torturo, 40 anni, e Antonio Miniero, 42, e del comandante in capo del Cincnav, il comando di squadra navale della Marina in servizio quel pomeriggio, un ufficiale superiore non ancora identificato. Il Tribunale di Agrigento ha anche disposto il trasferimento dell'inchiesta alla Procura di Roma, città che ospita sia le centrali operative, sia i comandi militari.
In un procedimento penale parallelo, la Procura di Roma in aprile ha invece chiesto l'archiviazione per la comandante della Libra Pellegrino, gli ufficiali del Cincnav Luca Licciardi, 47 anni, e Nicola Giannotta, 43, e il responsabile della centrale operativa di Roma della Guardia Costiera, Leopoldo Manna, 56 anni, accusati di omissione di soccorso. I genitori sopravvissuti al naufragio, assistiti dagli avvocati Gaetano Pasqualino, Arturo Salerni e Alessandra Ballerini, hanno presentato opposizione. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Giovanni Giorgianni, ha convocato l'udienza in camera di consiglio per il 13 settembre.
Dopo la pubblicazione sul sito de "L'Espresso" del primo documentario "Il naufragio dei bambini", il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il 17 maggio ha risposto a un question-time di Giulio Marcon, di Sinistra italiana. E davanti alla Camera ha dichiarato che «la Marina riferisce che, appena informata delle attività di ricerca e soccorso in atto, ha disposto di propria iniziativa che nave Libra, distante circa quindici miglia nautiche dal natante in difficoltà, si dirigesse verso il punto segnalato. È stato impiegato anche un elicottero di nave Libra, che è giunto sul luogo e ha avviato le operazioni di soccorso con lancio di salvagenti e zattere». Anche l'11 ottobre 2013, poche ore dopo il naufragio, la Marina aveva dato la stessa versione all'allora ministro della Difesa, Mario Mauro: «Le navi della nostra Marina militare sono intervenute in acque di competenza maltese non appena arrivata la segnalazione del barcone in difficoltà», dichiara in tv quella sera il ministro Mauro: «Questa è la legge del mare che dice che bisogna muoversi quando qualcuno è in pericolo».
Il videoracconto "La legge del mare" dimostra invece che non solo il comando della Marina, non appena informata, non invia nave Libra, ma addirittura tenta di nascondere il pattugliatore allontanandolo dal barcone che sta affondando. E, anche dopo le ripetute richieste di assistenza dell'autorità di soccorso maltese, nega il suo impiego. Non è vero nemmeno il lancio immediato dell'elicottero imbarcato: all'equipaggio viene dato l'ordine di decollare soltanto quando il Cincnav comunica alla Libra con il sistema di messaggistica di bordo "J-chat" che il peschereccio carico di profughi si è rovesciato. Sono le 17.14: sono trascorse quasi cinque ore dalla prima telefonata di emergenza ricevuta dalla Guardia costiera alle 12.26 e quasi quattro ore dalla prima informazione sul barcone in difficoltà inviata alla Libra alle 13.22.
La forza armata però non accetta l'accusa di aver fornito una versione non vera al ministro Pinotti e al Parlamento: «La Marina militare», continua il comunicato, ribadendo anche il cordoglio per le vittime, «respinge fermamente le accuse di aver mentito o di aver fatto asserire cose inesatte o di aver fornito informazioni incomplete. Preso atto di quanto riportato dal settimanale, sarà valutata ogni iniziativa utile a salvaguardare la forza armata e l'onore, la professionalità, l'attaccamento al servizio e alle istituzioni delle donne e degli uomini della Marina militare, che conferma la propria grande fiducia nell'operato della magistratura a cui è stato fornito, sin da subito, tutto il materiale disponibile presso il Comando in capo della squadra navale e presso il Comando generale delle capitanerie di porto».
È proprio la Procura di Roma, pur chiedendone l'archiviazione, a sottolineare le frasi dei due ufficiali del Cincnav quel pomeriggio, che i magistrati hanno identificato nei capitani di fregata Nicola Giannotta, comandante della centrale operativa aeronavale, e Luca Licciardi, capo sezione attività correnti del comando della Marina. «Al Libra che cosa gli diciamo?», chiede Giannotta. «Che non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette», risponde Licciardi. «E quindi che gli diciamo, di mantenersi... a una distanza dal contatto tale da?», insiste Giannotta. «Tale da poter vedere se sta pisciando in un cestino di frutta o sta lanciando missili balistici», gli dice Licciardi. Sono le 15.37. Subito dopo il comandante Giannotta telefona alla Libra e ordina a Catia Pellegrino di allontanarsi: «Scendete un po' verso Sud». E non c'è solo la Libra. Lampedusa, la costa più vicina, è a 61 miglia. E in porto a quell'ora sono ormeggiati due potenti pattugliatori di classe Zara della Guardia di finanza che con la loro velocità di 40 nodi, 74 chilometri orari, potrebbero raggiungere i profughi in un'ora e mezzo. Ma anche ai loro equipaggi arriverà l'ordine di partire soltanto dopo il rovesciamento del barcone.