Senza più l’accusa di mafia il "cecato" probabilmente uscirà presto dal carcere, forse in meno di due anni. Perché alla fine ?in Italia quelli come lui ?non pagano mai pegno
«Ma come la vogliono a Roma la mafia? La vogliono che parli in siciliano? Oppure vogliono rendersi conto che sulla capitale c’è una mafia nata qui, con politici e gente che ha la laurea? Perché a Roma c’è sempre una questione politica. Non è più come in passato quando veniva coinvolta solo la Democrazia cristiana, oggi ci stanno dentro tutti».
Parla Antonio
Mancini, ex della Banda della Magliana, oggi collaboratore di giustizia. È uno dei pochi che davanti ai magistrati di Roma e Perugia ha avuto il coraggio di fare i nomi di criminali e assassini che negli anni Settanta e Ottanta hanno insanguinato le strade di Roma.
Mancini è stato fra i testimoni che hanno accusato Massimo Carminati anche di omicidio. Fra gli altri, quello del giornalista Mino Pecorelli, da cui “il re di Roma” è stato assolto. «Assoluzioni? Vuole che io racconti delle mie assoluzioni nonostante fossi colpevole?» chiede provocatoriamente Mancini. «Nei processi si può andare assolti o si può essere condannati. Te ponno condanna’ innocentemente e puoi essere assolto da colpevole. Quindi che lui (Carminati ndr) può essere stato assolto io non mi meraviglio. Assolto non significa innocente, assolto significa che il giudice non ha raggiunto le prove, oppure c’è qualche tarantella in mezzo, e io questo non lo so...».
Mancini conosce bene Carminati, per averlo avuto accanto ai tempi della Banda della Magliana. Oggi il collaboratore di giustizia è un
osservatore esterno dell’inchiesta del cosiddetto Mondo di mezzo, perché non è stato fra i testimoni del processo che ha portato alla condanna di Carminati a vent’anni per associazione criminale semplice. Un “delinquente abituale” è stato definito Carminati dai giudici della decima sezione del tribunale di Roma.
[[ge:rep-locali:espresso:285286092]]«In una intervista del 2012 ho detto che a Roma comandava Massimo Carminati. E ho parlato anche di
contatti con i servizi segreti e di altre complicità, cose che avevo già messo a verbale», ricorda l’ex boss della Magliana. Che poi aggiunge: «Dopo l’arresto di Carminati mi sono scompisciato dalle risate quando ho saputo dai giornali che Matteo Orfini, allora commissario del Pd a Roma, aveva detto che avrebbe fatto un’interrogazione parlamentare per sapere se Carminati aveva contatti con i servizi. Ma dico, siete impazziti?».
I collegamenti di Carminati con i servizi non sono stati però dimostrati durante l’inchiesta: la difesa ha chiamato a testimoniare in aula l’allora sottosegretario Marco Minniti, che aveva la delega ai servizi segreti, il quale ha detto ai giudici che Carminati «non ha avuto e non ha rapporti con i servizi segreti italiani». E poi ha aggiunto che «
fatte le opportune verifiche presso le agenzie operanti, non risulta che Carminati sia o sia stato alle dipendenze dei servizi né che fosse una loro fonte». Secondo Minniti inoltre «non risulta che dipendenti dei servizi segreti abbiano avuto rapporti con Carminati». Ribatte Mancini: «E
infatti glielo vanno a di’ a loro i servizi, quelli deviati, che Carminati ha contatti...». Aggiunge Mancini: «E poi un sottosegretario ai servizi che va davanti ai giudici che pò di’: sì lo sapevamo, ma non ve l’avemo detto prima?».
La memoria dell’ex boss della Magliana vola alle immagini che mostrano l’incontro fra Massimo Carminati e il camorrista Michele Senese. È stato ripreso dalle telecamere degli investigatori e inserito agli atti del processo. «Quello è stato uno scontro che Carminati ha avuto con Senese, che era un mio caro amico. Le immagini mi hanno lasciato sbalordito: Senese se ne sta muto davanti all’atteggiamento prevaricatore di Carminati. Così mi hanno dato la conferma che Carminati veramente se la comanda, a Roma. Michele se ne sta zitto e se ne va con la coda fra le gambe, e questo è un segno di come “quello” conta veramente nella Capitale. Chi non conosce bene Senese potrebbe dire che è il solito camorrista, e invece lui se magnava la gente viva».
Con
l’esclusione dell’accusa di mafia decisa dal tribunale, a Carminati è stato tolto il duro regime carcerario previsto dal 41 bis. In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza che dovrebbero arrivare in autunno. In carcere, dei 46 imputati, ne sono rimasti solo cinque, compreso Carminati.
Dopo la sentenza i termini della custodia cautelare sono ripresi e scadranno ad aprile 2019. Se il processo d’appello non dovesse avere inizio entro quella data, allora gli imputati torneranno liberi. Gli avvocati difensori, però, potrebbero sempre rivolgere istanze di scarcerazione al tribunale di Sorveglianza in qualunque momento, anche prima di quella data.
La sentenza del tribunale sorprende anche un altro ex della Banda della Magliana,
Maurizio Abbatino, collaboratore di giustizia, che conosce bene lo spessore criminale del cecato. «Non ho parole», dice l’ex boss. «Però, in fondo, se l’accusa di mafia non è stata riconosciuta in passato per la Banda della Magliana, dove era tutto più evidente, ed evidenti erano le intimidazioni, il controllo del territorio, gli attentati e le armi, beh dico che se non lo hanno riconosciuto, allora..». E poi: «La verità è che
a Roma non si riesce a far riconoscere dai giudici l’associazione mafiosa», conclude Abbatino.
L’ex della Magliana che ha contribuito a svelare importanti retroscena criminali, adesso è stato messo fuori dal programma di protezione con la possibilità che gli venga anche revocata l’identità di copertura di cui ha usufruito per oltre un decennio, esponendolo al rischio di vendette. Abbatino ricorda il processo alla Banda della Magliana che si concluse con una decisione dei giudici della Cassazione : «Non c’è stato a Roma quel clima tipico di assoggettamento e di omertà e di paura diffusa derivante dalla forza intimidatrice che si riscontra nelle società in cui domina la mafia», ha scritto la Suprema corte. E in quel caso la condanna per Carminati fissata in appello a dieci anni di reclusione è stata ridotta a sei anni e mezzo e dopo qualche tempo gli è stata concessa la libertà vigilata.
Il potere a Roma di Carminati è anche nelle parole di un altro collaboratore di giustizia,
Roberto Stolfa. Pure lui ex della Banda, ha svelato ai giudici di Roma e Perugia molti affari del Cecato e parecchi aspetti del suo profilo criminale. Ai giudici di Perugia ha raccontato quando nel 1998 Carminati era socio di Manlio Vitale, “er gnappa”, in affari illegali come i videopoker da imporre ai commercianti romani. Stolfa racconta: «Inizialmente ha cominciato Carminati, io avrei… premetto che io ero latitante, in tutto questo contesto io ero ricercato e quindi non potevo espormi più di tanto e avrei dovuto girare con Carminati per Roma a cercare di piazzare questi famosi videopoker, cosa che a me era impossibile, per cui all’inizio dissi che la cosa poteva andare, poi, pensandoci bene, mi sarei dovuto esporre troppo». All’epoca quello dei videopoker truccati è un business assai redditizio, ma solo se riesci a sistemare nei bar un numero sostanzioso di postazioni, sbaragliando la concorrenza. Con le buone o con le cattive. «Siccome ci sta un grosso giro di soldi intorno alle macchinette dei videopoker», spiega Stolfa, «se tu, sto dicendo in senso lato, se tu metti delle macchinette in una sala giochi e stai al cinquanta per cento con il titolare, più ne metti e più guadagni […] per cui noi cercavamo di mettere, di prendere più, di prendere Roma in mano, praticamente, il succo è questo, cercando varie sale e anche chi non era d’accordo doveva accettare».
Perché? Semplice, risponde Stolfa: «Perché noi eravamo molto conosciuti. Sapevano che eravamo legati, e per cui se uno di noi andava in un posto era come se avesse, diciamo, un biglietto da visita, era conosciuto». «In che vesti?», gli chiede il giudice. «Presidente, in che vesti?
Vesti che sapevano che eravamo personaggi della malavita», risponde il pentito. E continua: «Perché negli anni passati intorno al gioco d’azzardo, al gioco dei videopoker, ci sono state molte vicissitudini che poi sono sfociate con vari morti, eccetera eccetera». Storie, chiarisce, riconducibili alla Banda della Magliana. È questa fama diffusa che Carminati e compari sfruttano per costringere i gestori dei locali ad accettare le loro macchinette e a togliere quelle della concorrenza, col rischio di ritorsioni. Perché nell’ambiente c’è gente pericolosa. «Intorno a questo giro di business non è che ci stavamo soltanto noi [...] ci stava gente potente anche di Primavalle che se andavi in posti in cui loro ci avevano messo i videopoker ti potevi trovare in situazioni sgradevoli per quello della sala, perché lui doveva levare le macchinette di altra gente e mettere le tue».
Il potere di Carminati viene da lontano, e a Roma lo sanno tutti.