L’ideologo dell’aliquota unica ?al 15 per cento ha patteggiato una condanna a un anno e 8 mesi per un crac. Due società in cui ?il guru del leader leghista ha avuto ruoli di spicco ?hanno trasferito ?la sede legale in ?un paradiso fiscale. E uno dei suoi soci è indagato dall'antimafia di Reggio Calabria
Mettereste un condannato per bancarotta fraudolenta a gestire il vostro conto corrente? Fatte le debite proporzioni, è proprio quello che ha fatto Matteo Salvini. L’uomo scelto dal leader felpato come responsabile economico del suo partito (Noi con Salvini, fondato per creare proseliti leghisti nel centro e sud Italia) è infatti Armando Siri, condannato tre anni e mezzo fa dal tribunale di Milano in sede di patteggiamento per il crac della MediaItalia, società che ha lasciato debiti per oltre un milione di euro. È a questo 46enne di Genova, giornalista che vanta un passato nella gioventù socialista e un’amicizia personale con Bettino Craxi, che il capo del Carroccio ha affidato il compito di ridisegnare il sistema fiscale italiano: Siri è infatti l’ideologo della flat tax, l’aliquota unica al 15 per cento, la tassa piatta che nelle speranze dei leghisti riuscirà a rivitalizzare l’economia italiana senza mandare a picco i conti pubblici.
Responsabile della “Scuola di formazione politica” della Lega, autore di parecchi saggi politico-economici come “La Beffa” e “Il Sacco all’Italia”, in pochi anni Siri è diventato uno dei fedelissimi di Salvini. Che infatti gli ha garantito un posto da senatore piazzandolo in cima alla lista dei candidati nell’Emilia appena conquistata dal Carroccio. Un’elezione ottenuta grazie all’idea della flat tax che tanto piace ai piccoli imprenditori seguaci di Matteo. Ma non è solo questo il merito di Siri. Salvini gli ha affidato anche il compito di stringere relazioni con aziende, banche e governi stranieri. È l’ex giornalista di Mediaset che ha organizzato nel gennaio scorso un viaggio a New York in cui “il capitano” avrebbe dovuto incontrare esponenti dell’amministrazione Trump. Ed è sempre Mister flat tax ad aver tenuto conferenze finanziarie come quella organizzata a Londra da Mediobanca nel dicembre di due anni fa, o ad aver pianificato riunioni tra il segretario leghista e i rappresentanti diplomatici della Russia in Italia. Una ricerca di agganci a Oriente che interessa molti imprenditori nostrani alle prese con le sanzioni imposte a Mosca. Tanto che sempre Siri, come risulta all’Espresso, sarebbe riuscito a organizzare un incontro con Luigi Cremonini, proprietario dell’omonima azienda che in Russia ha realizzato investimenti milionari.
Siri angelo custode di Matteo, dunque: suo consigliere economico, finanziario e diplomatico. Con qualche scheletro nell’armadio, primo fra tutti il fallimento della sua MediaItalia e la condanna patteggiata a 1 anno e 8 mesi per bancarotta fraudolenta. Una macchia finora rimasta segreta, che L’Espresso è in grado di raccontare basandosi sulla sentenza e una serie di documenti societari. La MediaItalia nasce a Milano nel 2002 per iniziativa di Siri e di due soci di minoranza, Ciro Pesce e Fabrizio Milan. Si occupa di produrre contenuti editoriali per media e aziende, tanto da diventare poco dopo responsabile della produzione del giornale di bordo della Airone, la compagnia aerea creata dall’imprenditore Carlo Toto. Gli affari vanno bene, il fatturato cresce di continuo. Ma a salire vertiginosamente sono anche i debiti, che nel 2005 superano il milione di euro. È a quel punto che le cose cambiano. Siri e soci trasferiscono tutto il patrimonio della MediaItalia a un’altra azienda, la Mafea Comunication, che in cambio non paga nemmeno un euro. Meno di un anno dopo Siri decide di chiudere la MediaItalia e nomina come liquidatrice Maria Nancy Marte Miniel, immigrata in Italia da Santo Domingo e oggi ufficialmente titolare di un negozio di parrucche e toupet a Perugia. «Una vera e propria testa di legno», la definiranno i giudici nella sentenza di condanna.
Già, perché la donna non ha le competenze per gestire un’azienda né i mezzi per pagare i debiti. E così a rimanere con il cerino in mano sono i creditori della MediaItalia: fornitori, banche e lo Stato italiano. Lo stesso che adesso Siri vuole rappresentare in qualità di uomo di governo. La sentenza del tribunale di Milano parla chiaro: l’ideologo della flat tax e i suoi soci, Fabrizio Milan e Andrea Iannuzzi, hanno provocato il fallimento della società con operazioni dolose, svuotando l’azienda e omettendo di pagare alle amministrazioni dello Stato 162 mila euro tra tasse e contributi previdenziali. Avevano pure tentato di rendere la vita difficile agli inquirenti spostando nel Delaware, paradiso fiscale statunitense, la sede legale e i libri contabili della Mafea Comunication, l’azienda a cui erano stati trasferiti gli asset della MediaItalia. Una strategia - hanno ricostruito le indagini giudiziarie - architettata insieme al gruppo di commercialisti a cui si erano rivolti Siri e compagni.
Fra questi spicca il nome di Antonio Carlomagno, professionista milanese già coinvolto nell’indagine giudiziaria sulla Perego Strade, la società di Lecco scalata e spolpata dalla ’ndrangheta lombarda tra il 2008 e il 2010. Carlomagno è uno dei commercialisti finiti sotto accusa - e poi assolto - per il fallimento delle aziende del gruppo Perego. Ed è lo stesso arrestato nel 2011 dalla guardia di finanza di Como perché considerato la mente di un vorticoso giro di società cartiere usate per frodare l’Iva. Scatole piene di debiti fiscali, spesso basate proprio nel Delaware, dove le tasse sono basse e la trasparenza societaria è praticamente nulla. Per questo colpisce ritrovare più volte il piccolo Stato affacciato sull’Oceano Atlantico nella parabola imprenditoriale di Siri. Non solo nella vicenda MediaItalia.
Altre due società italiane in cui il guru economico di Salvini ha avuto ruoli di spicco (socio di maggioranza e amministratore unico) hanno infatti trasferito la sede legale nella piazza offshore a stelle e strisce. È successo negli stessi anni in cui la MediaItalia andava a picco. Le aziende in questione si chiamano Top Fly Edizioni e Metropolitan Coffee and Food. Due imprese simili, almeno così pare guardando i bilanci. Nate nei primi anni 2000, iniziano a fatturare sempre di più, ma contemporaneamente aumentano a dismisura i debiti. Finché Siri e gli altri soci italiani escono, al loro posto entrano azionisti e amministratori stranieri (tra cui la stessa dominicana Maria Nancy Marte Miniel) e la sede legale viene spostata nel Delaware. Un caso, forse. Di certo colpisce un particolare. Top Fly Edizioni, Metropolitan Coffee and Food e Mafea Comunication hanno sede allo stesso indirizzo: Barksdale Road, civico 113, comune di Newark.
C’è poi un’altra questione che potrebbe imbarazzare il consigliere economico di Salvini. Uno degli uomini che ha fondato insieme a lui la Top Fly Edizioni - presente insieme a Siri nell’azionariato dell’impresa fino alla cessione di tutte le quote alla testa di legno dominicana Marte Miniel - è Luigi Patimo, responsabile del mercato italiano per il gruppo Acciona, colosso spagnolo delle infrastrutture che in Italia porta l’acqua nelle case di 2,5 milioni di famiglie. Ebbene, un anno e mezzo fa Patimo è stato indagato dall’antimafia di Reggio Calabria insieme a Marcello Cammera, responsabile dei lavori pubblici nel municipio dello Stretto, oggi imputato per concorso esterno alla ’ndrangheta nel processo Gotha.
Nel dibattimento che vede alla sbarra la zona grigia della mafia calabrese, impastata di massoneria e colletti bianchi, Patimo non è imputato, ma il filone che lo riguarda resta ancora aperto. Secondo i pubblici ministeri, che si sono avvalsi della collaborazione del nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio, il manager della multinazionale iberica è coinvolto in un caso di corruzione: avrebbe promesso al dirigente comunale in odore di clan (Cammera) assunzioni e consulenze. Storiaccia intricata, nella Calabria di oggi in cui la Lega ha collezionato un risultato che nessun padano avrebbe mai immaginato.
Se gli affari comuni di Siri e Patimo nella Top Fly Edizioni sono ormai ufficialmente acqua passata, c’è una società in cui i due compaiono ancora come azionisti e amministratori. Si chiama Profilo ed è attiva ufficialmente nel commercio di abbigliamento per adulti e bambini. Di bilanci depositati alla Camera di commercio non c’è nemmeno l’ombra, nonostante l’impresa sia stata fondata quattordici anni fa.
D’altronde Mr flat tax lo ripete di continuo: garantiremo agli italiani meno tasse e meno burocrazia. Lui, evidentemente, si è già portato avanti.