L'inchiesta

Tangenti Mose, sequestrato il tesoro di Giancarlo Galan

di Paolo Biondani e Giovanni Tizian   10 aprile 2019

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Maxi inchiesta della guardia di finanza: i soldi della corruzione nascosti nei paradisi fiscali insieme al nero di grandi imprenditori veneti. Il blitz all'alba di oggi

Cercavano le tangenti del Mose di Venezia, nascoste nei paradisi fiscali. E le hanno trovate insieme a un fiume di denaro nero, in mezzo ai conti esteri di piccoli, medi e grandi imprenditori veneti.

Dalla laguna di Venezia alla Croazia, da Panama a Dubai, i soldi dei corrotti del Mose sono stati dispersi in mille rivoli. Ma ora un'indagine della Guardia di Finanza è riuscita a far riemergere, per la prima volta, una parte di quel flusso enorme di mazzette. È in corso dalle prime luci dell'alba, infatti, un maxi sequestro di conti e soldi riconducibili in particolare a Giancarlo Galan, il potente politico del Nordest, ex governatore veneto e poi sottosegretario nell'ultimo governo Berlusconi: l’indagato numero uno per le tangenti del Mose, che ha patteggiato una condanna 2 anni e 10 mesi per corruzione continuata.

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Galan è il beneficiario finale del primo tesoretto sequestrato dai giudici di Venezia. Ad essere indagati per il riciclaggio di circa un milione e mezzo di euro sono i professionisti che hanno architettato la fuga dei capitali all'estero, tra cui spicca la moglie del commercialista di fiducia di Galan, Paolo Venuti, che nella maxi inchiesta sul Mose ha patteggiato a sua volta una pena di due anni. In totale, sono stati bloccati più di 12 milioni di euro, appartenenti a diversi presunti evasori fiscali che hanno utilizzato gli stessi canali di riciclaggio.

La richiesta della procura di Venezia era molto più alta. L’accusa aveva chiesto al gip di congelare oltre 35 milioni di euro. Il giudice però ha convalidato il sequestro solo per le accuse pienamente provate. Soldi che non riguardano solo la vicenda Galan, ma un più ampio giro di evasione e riciclaggio in cui sono coinvolti commercialisti, imprenditori e grovigli di società offshore che arrivano fino a Panama. Scavando alla ricerca del tesoro nascosto di Galan, infatti, gli investigatori della Guardia di Finanza, guidati dal colonnello Amos Bolis - lo stesso ufficiale cha ha firmato la maxi-inchiesta sul Mose con il pm Stefano Ancillotto - hanno portato alla luce un mondo sommerso, popolato di piccoli, medi e grandi imprenditori che da vent'anni usavano lo studio di due commercialisti, Guido e Christian Penso, per occultare sistematicamente il “nero” nei paradisi fiscali. I Penso, da quanto emerge dall'ordinanza di sequestro, sono due esperti della materia. Il nome del loro studio spunta anche nei Panama Papers, l'inchiesta del consorzio giornalistico internazionale Icij, rappresentato in Italia da L'Espresso.

L'inchiesta sul tesoro di Galan ha mosso i primi passi già all'indomani dei 35 arresti del 2014. Il sistema di paratie mobili progettato per salvare Venezia dall'acqua alta - costato finora più di cinque miliardi, ma non ancora in funzione - è stato al centro di uno dei casi di corruzione più eclatanti degli ultimi anni. I meccanismi svelati dalla procura di Venezia insieme al nucleo di polizia tributaria ricordavano molto il malaffare di Tangentopoli. E non solo per le cricche e per le bustarelle, ma anche per alcuni nomi di imprenditori già finiti nel mirino del pool di Mani Pulite.

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Gli indagati per il reato di riciclaggio del milione e mezzo di Galan sono Paolo e Christian Penso insieme alla moglie di Paolo Venuti, Alessandra Farina. I primi due indagati, secondo l’accusa, «nell'esercizio della professione di commercialisti compivano, in relazione ai proventi illeciti della corruzione consumata da Giancarlo Galan, operazioni dirette ad ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa ed in particolare acconsentivano ad acquistare le quote dell’azienda Adria Infrastrutture, tramite la società PVP, di cui Guido e Christian Penso detenevano la maggioranza, consapevoli dell'effettiva titolarità in capo a Galan». In pratica, è l'ipotesi degli inquirenti, i professionisti erano dei prestanome dell'ex sottosegretario di Forza Italia. Inoltre, i due commercialisti «consentivano di utilizzare conti correnti esteri nella disponibilità dello studio PVP, gestiti da loro fiduciari, per il trasferimento estero su estero della somma di oltre 1,5 milioni di euro riconducibile a Galan». Tesoretto che veniva poi trasferito su un conto corrente croato, intestato ad Alessandra Farina, moglie dell'amico e commercialista di fiducia del politico, Paolo Venuti. Il conto croato era stato aperto nella filiale di Zagabria della Veneto Banka.

Anche Alessandra Farina è sotto inchiesta per riciclaggio: anche lei avrebbe infatti manovrato per nascondere i soldi della corruzione di Galan. Come? Aprendo, appunto, un conto corrente presso la Veneto Banka di Zagabria, sul quale sono stati versati, dopo vari trasferimenti da conti svizzeri (intestati anche alla società Unione fiduciaria di Milano), 1,5 milioni di euro, appunto.

Il tesoretto del governatore veneto del Mose. Difficile credere che quel malloppo fosse della signora Farina. Perché, come riporta il gip nell'ordinanza di sequestro, «Farina, di professione insegnante, aveva percepito, negli ultimi dieci anni, stipendi per circa 250.000 euro lordi complessivi, effettuando, al contempo, investimenti finanziari per somme dieci volte superiori, perciò se ne deve ragionevolmente dedurre, nel rispetto dei criteri che presiedono alla valutazione da operare in sede cautelare reale, che trattasi di capitali provento proprio dell'attività delittuosa di Galan». Somme, si legge nell'ordinanza, accumulate a partire dal 2009. E cioè in un'epoca che coincide con «il periodo durante il quale Galan è stato accusato di avere ricevuto ingenti importi relativi alle attività corruttive poste in essere».

Le indagini sul tesoro del Mose hanno portato a scoprire una centrale più grande del riciclaggio di fondi neri. In questo filone è di nuovo indagato anche Paolo Venuti, l'amico e commercialista di Galan. Un'inchiesta complessa, con decine di rogatorie chieste in paesi come Svizzera, Principato di Monaco e Indonesia. Paolo e Christian Penso, insieme a Venuti, sono accusati, in particolare, di aver permesso all'imprenditore della Pipinato Calzature, una grande azienda attiva dal 1950 a Padova, di occultare all'estero 33 milioni di euro. Damiano Pipinato, secondo l’accusa, «ha consegnato sistematicamente ingenti somme di denaro a Penso nel suo studio ubicato a Padova», come si legge nell'ordinanza. «Tali somme, che venivano poi impiegate per investimenti in Medio Oriente dalla metà degli anni 2000, originavano dalla reiterata evasione posta in essere dall'imprenditore». Prosegue il gip: «Guido e Christian Penso e Paolo Venuti costituivano una serie di sofisticati strumenti economico finanziari all'estero, e prevalentemente in paesi off-share, al fine di impedire l'identificazione dell'origine delittuosa delle somme trasferite». I 33 milioni, secondo le indagini della Finanza, sono stati usati anche per un investimento immobiliare a Dubai.

I Penso hanno usato collaboratori di estrema fiducia per nascondere i profitti di altre decine di aziende venete. Collaboratori di un certo peso. Si tratta di due professionisti residenti in Svizzera: Filippo San Martino e Bruno De Boccard. L'indagine, si legge nell'ordinanza dei giudici di Venezia, «ha consentito di ricondurre all'operato degli indagati la gestione di capitali per un ammontare di circa 250 milioni di euro, ma, ragionevolmente, l'ammontare complessivo degli investimenti è stato di gran lunga superiore». Su questo front internazionale le indagini continuano. Dal Mose di Venezia, ai grattacieli di Dubai, passando per gli uffici di Panama. Una grande rete di riciclatori al servizio dei corrotti del Mose e degli evasori padani.


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MARCO DAMILANO

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