
Il decreto-legge «sblocca-cantieri», varato il 18 aprile scorso, contiene una sequela di disposizioni che il capo dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, dice di considerare «oggettivamente pericolose per le ricadute in termini di concorrenza, trasparenza e soprattutto legalità»: norme che «rischiano di avere un’incidenza molto negativa anche sulla qualità dei lavori, che dovrebbe essere l’obiettivo prioritario degli appalti pubblici».
La novità più contestata dai pm antimafia è la legalizzazione dei subappalti fino al 50 per cento del valore dell’opera, quasi il doppio del limite precedente (30). Il procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani, è «molto preoccupato per l’aumento dei rischi di infiltrazioni nei cantieri delle zone terremotate: i subappalti e i cosiddetti noli a freddo sono da anni la via maestra per l’ingresso di imprese mafiose». L’alto magistrato, in carica dall’autunno 2017, ha siglato vari accordi con Anac, prefetture e direzione nazionale antimafia, proprio per evitare che i lavori nelle Marche (e nelle altre regioni colpite) possano risolversi nell’ennesimo scandalo di corruzione, criminalità e malgoverno del territorio.
«Le imprese mafiose non hanno i requisiti per aggiudicarsi direttamente le gare d’appalto», avverte il procuratore: «L’esperienza ci insegna che subentrano dopo, in corso d’opera, con minacce, intimidazioni, collusioni o corruzioni. La licenza di subappaltare metà dell’opera rischia di essere un volano che incentiva l’inserimento di aziende criminali in una ricostruzione che nell’insieme è descritta come il più grande cantiere d’Europa, con miliardi in arrivo anche dalla Ue».
La norma simbolo dello sblocca-cantieri è la resurrezione dei commissari, con poteri di gestire i cantieri più ricchi «in deroga a tutte le norme extra-penali». Significa che un nominato dalla politica può dare appalti a chi vuole, come un sultano. Il banco di prova è la demolizione e ricostruzione del ponte di Genova. Il decreto originario aboliva perfino i controlli antimafia, reintrodotti dopo le proteste di Cantone. Così la prefettura ha potuto scoprire e annullare un subappalto a un’impresa di camorra. Intanto Cantone è uscito da Genova sbattendo la porta: il commissario Marco Bucci, sindaco del capoluogo ligure, non gli faceva controllare niente. L’Anac riceveva gli atti a cose fatte.
Nei più civili paesi europei le regole sugli appalti vengono studiate e migliorate per favorire la massima concorrenza e trasparenza: si organizza una vera gara, tra più aziende possibile, per realizzare i progetti migliori ai prezzi più convenienti. Lo sblocca-cantieri invece legalizza le eccezioni, come la “procedura ultra-ristretta”: per assegnare lavori pubblici fino a 200 mila euro, basta invitare «tre imprese, ove esistenti». Quindi ogni stazione appaltante, ad esempio un Comune, può creare il suo club di ditte privilegiate e mettersi in regola con tre soli preventivi. «Ove esistenti» è la furbata nella furbata: basta certificare che un contratto è particolare, ad esempio perché un ospedale o azienda pubblica vuole proprio un certo macchinario, per azzerare la concorrenza e versare i soldi all’unico fortunato fornitore.
Prima del decreto, le regole erano molto più severe: fino a 150 mila euro, era obbligatorio invitare almeno dieci imprese concorrenti; fino a un milione, almeno 15. Il professor Alberto Vannucci, che insegna lotta alla corruzione, conferma l’allarme di Cantone e Sottani spiegando così la nuova procedura: «Per gli imprenditori disonesti diventa molto più facile spartirsi gli appalti: basta mettersi d’accordo in tre anziché in 10 o 15. La logica conseguenza è l’aumento dei costi, cioè della spesa pubblica, e il peggioramento della qualità delle opere».
Le inchieste per corruzione che da settimane stanno scuotendo la Lombardia hanno come reati-base proprio le cosiddette turbative d’asta: oggi, tra Milano e Varese, sono gli imprenditori privati a fare cartello, cioè a decidere come spartirsi i soldi degli appalti. Le tangenti a politici e funzionari servono prima di tutto a sapere i nomi dei concorrenti, per reclutarli.
L’indagine milanese documenta che una sola impresa onesta ha fatto saltare una spartizione milionaria: tutte le altre stavano al gioco. E a tenere il banco erano le ditte della ’ndrangheta. Con il nuovo decreto, ora bastano tre aziende a giocarsi le turbative. E con la corruzione si può spingere gli amministratori pubblici anche a spezzettare l’appalto, per dividersi lavori ricchissimi, frazionati in tante procedure ultra-ristrette. Con rischi catastrofici per la spesa pubblica: in migliaia di piccoli e medi comuni quasi tutti gli appalti rientrano nel limite dei 200 mila euro.
A completare il quadro «criminogeno» è un’altra novità, così descritta dal professor Vannucci: «Lo sblocca-cantieri ha abolito anche il divieto di dare subappalti a un’impresa che ha partecipato alla stessa gara. Il che rappresenta un ulteriore potente incentivo alla turbativa: è il solito film del finto concorrente che presenta un’offerta suicida al ribasso, perché è già d’accordo con il vincitore prefissato. E in questo modo vengono facilitate anche le manovre o i ricatti successivi, per evitare ricorsi in caso di appalti palesemente illegittimi».
Il governo ha giustificato le nuove norme con la volontà di sbloccare migliaia di piccoli appalti e rimettere in moto l’economia. Secondo gli esperti, però, è un falso alibi. Per gli appalti veramente piccoli, sotto la soglia dei 40 mila euro, era previsto già prima l’affidamento diretto, anche a una sola impresa. Mentre a essere ferme da anni sono le grandi opere miliardarie, ma per motivi diversi: fallimento o arresto di imprenditori e funzionari; mancanza di finanziamenti, prosciugati da sprechi passati; ricorsi e processi amministrativi rallentati e complicati dai continui cambi di norme. Cantone sottolinea che il nuovo decreto «ha riscritto un terzo del codice degli appalti». «Modificare ben 32 articoli significa aumentare l’incertezza del diritto», rincara Vannucci.
Secondo il docente universitario, la norma più scandalosa è «il ritorno dell’appalto integrato: la stessa impresa privata gestisce sia il progetto sia l’esecuzione dei lavori. È un conflitto d’interessi legalizzato: chi gioca tiene anche il banco, nessuno controlla più nulla. Tutte le leggi per uscire da Tangentopoli sono fallite perché in Italia la pubblica amministrazione ha perso la capacità di fare progetti esecutivi. Per questo ogni appalto diventa una lunga agonia di varianti, ricorsi, integrazioni ed extra-costi. Bisognerebbe andare a gara con un progetto definitivo, controllato da un’autorità pubblica con tecnici capaci. Invece abbiamo più di trentamila stazioni appaltanti senza competenze tecniche, che ora vengono autorizzate a spendere soldi pubblici con progetti di massima, cioè farlocchi. Così le imprese private dettano legge. Il codice degli appalti, che stava finalmente entrando a regime, era una riforma nella giusta direzione. Questa invece è una controriforma. È il ritorno alla norma chiave della famigerata legge-obiettivo di Berlusconi e Lunardi: il “general contractor” fa quello che vuole». Le indagini che in questi anni hanno portato in carcere tanti nomi dell’imprenditoria italiana hanno mostrato anche i costi umani di quelle norme ammazza-controlli: cemento scadente, progetti sbagliati, viadotti che crollano, morti, feriti e altri disastri.
In questa cornice, gli esperti bocciano anche la regola che assegna la vittoria a chi offre il «minor prezzo». Una riedizione del «massimo ribasso», che in mancanza di contrappesi determina due rischi alternativi: se lo sconto sui prezzi è effettivo, l’azienda viene spinta a strangolare i fornitori e sottopagare gli operai. Mentre se l’impresa ha buone coperture, il ribasso sparisce alla prima variante.
Il procuratore generale Sottani è allarmato anche per le nuove norme anti-sismiche. Il decreto sblocca-cantieri ha riscritto anche le regole fondamentali del testo unico dell’edilizia: autorizzazioni, controlli e collaudi. Spiega il magistrato: «Viene introdotta una distinzione fra tre categorie di interventi edilizi, in base a criteri di maggiore o minore rilevanza, che però non sono chiari e tassativi: c’è una formulazione discrezionale, da interpretare. Ma il dato di fondo è che ora sembra possibile costruire nuovi fabbricati anche in zone ad alto rischio sismico con una semplice asseverazione del progettista».
Come dire che basta un’auto-certificazione di un tecnico privato, scelto e pagato da chi vuole costruire? «Il testo di legge fa pensare proprio a questo. Inoltre l’autorizzazione anti-sismica riguarda solo “cosa” e “come”, non “dove” si costruisce». Quindi un costruttore scriteriato potrebbe fabbricare un palazzo sulla faglia dell’ultimo terremoto? «Dipende dalla tipologia dell’intervento: un grattacielo no, ma altri edifici sì. Le norme sono poco chiare, ma sicuramente molto rischiose».
In tutto questo il professor Vannucci sente odore di tangenti: «Spero di sbagliarmi, ma norme così gravi non sembrano un incidente di percorso: mi fanno pensare a una risposta di lungo periodo alla crisi dei partiti. Nell’attuale fase tutti i movimenti politici hanno una difficoltà manifesta a raccogliere quanto serve alla loro struttura organizzativa, che resta costosa. Ma il finanziamento pubblico è quasi scomparso, mentre fondazioni e associazioni sono diventate un utile schermo per raccogliere fondi individuali.
In questa situazione, la gigantesca torta degli appalti può servire a guadagnarsi la gratitudine di alcuni imprenditori, che poi possono ripagare, con finanziamenti leciti o meno. Tangentopoli era proprio questo: le imprese pagavano una decima su tutti gli appalti per far funzionare le macchine dei partiti. Ora si ricomincia, temo. Con lo sblocca-tangenti».