Salvataggi

Il piano della nuova Alitalia: meno aerei, meno dipendenti e cda lottizzato

di Antonio Fraschilla e Carlo Tecce   11 dicembre 2020

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Con tre miliardi di euro di soldi pubblici lo Stato riprova a salvare la compagnia di bandiera. Intanto non si è ancora riusciti a trovare una sede per la nuova società. Fiumicino sarà hub intercontinentale, Malpensa tagliata fuori.

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Non c’è il pericolo di assistere all’ennesimo fallimento di Alitalia. Con mirabile saggezza, stavolta il governo l’ha chiamata Ita, che sta per Italia, ma pure per Italia trasporto aereo. Per la politica si tratta di discontinuità. Per adesso è scaramanzia. In epoca di vezzeggiativi e diminutivi, Ita è davvero, e di nuovo, una compagnia di bandiera: controllo totale del ministero dell’Economia, rinomata e rinnovata livrea tricolore, 3 miliardi di euro pubblici da spendere, circa 4.000 dipendenti da licenziare, un piano industriale quinquennale, in stile cinese, da approvare entro la fine di questo disgraziato 2020. Ita ancora non vola, ma la politica ha già dato prova di interesse, cioè di appetiti di potere, nei confronti della società appena costituita in cui sarà travasato quel che resta di buono, o almeno di non dannoso, di Alitalia.

Gli ultimi governi hanno impiegato tre anni per reperire una soluzione alternativa a scaricare sui cittadini il costo di un’altra rovina di Alitalia e non ci è riuscito neanche l’esecutivo giallorosso di Giuseppe Conte che col decreto rilancio di maggio ha rimesso in pista 3 miliardi di euro per Ita, mentre la vecchia azienda, per colpa della pandemia, langue fra tanta cassa integrazione, pochi viaggiatori e i soliti debiti.

A CHI TOCCA IL MIRACOLO
Il 29 giugno, sulle sue pagine Facebook, la Gazzetta ufficiale della politica, il premier Conte ha designato i vertici di Ita: Francesco Caio presidente e Fabio Lazzerini amministratore delegato. L’ha fatto anche per stroncare la baruffa fra i partiti con i Cinque Stelle - soprattutto la senatrice Giulia Lupo, ex assistente di volo e sindacalista Usb - che spingevano per Giancarlo Zeni, attuale direttore generale di Alitalia. Ex ad di Avio e poi di Poste Italiane, dove fu rimosso da Matteo Renzi, Caio è presidente di Snam, la società statale del gas, e consulente del governo per l’Ilva. Ex di Emirates, Lazzerini entrò nel 2017 in Alitalia ai tempi dei commissari Gubitosi, Paleari e Laghi: l’ottimo rapporto con il ministro Dario Franceschini gli ha permesso di sbaragliare la concorrenza di Zeni. Il Pd non voleva cedere la guida di Ita ai 5S.

La scelta del Cda, invece, ha scatenato gli antichi vizi della politica. Le trattative fra i partiti della maggioranza sono durate più di tre mesi con Lazzerini e Caio, da semplici designati senza una sede, costretti a vedersi per cominciare a riflettere come e su cosa investire i 3 miliardi di euro. C’era la volontà di nominare soltanto tre membri del Cda per sobrietà, poi il desiderio di fermarsi a cinque per dignità, infine ha prevalso lo sconforto di arrivare a sette. I posti in Cda se li sono contesi scopritori di talento del calibro di Ignazio Vacca per il ministro Roberto Gualtieri, Maria Elena Boschi per Italia Viva, Antonio Rizzo per il sottosegretario Riccardo Fraccaro e poi i ministri più coinvolti, Stefano Patuanelli (Sviluppo Economico) e Paola De Micheli (Infrastrutture e Trasporti). Il Cda ha accolto Simonetta Giordani in quota Italia Viva, ex sottosegretaria nel governo di Enrico Letta nonché ex Autostrade e Atlantia della famiglia Benetton; Angelo Piazza in quota Pd dialogante con i 5S, ministro nel governo di Massimo D’Alema, ex magistrato del Tar, adesso avvocato con molti incarichi in carriera; Frances Vyvyen Ouseley in quota 5S, uscita due anni fa da Easyjet Italia; Silvio Martucelli in quota Conte, professore ordinario all’università Luiss; il commercialista Lelio Fornabaio in quota Patuanelli; l’avvocata Alessandra Fratini e Cristina Girelli, esperta di aziende da ristrutturare, entrambe gradite al Pd.

COME E QUANDO SI DECOLLA
Lazzerini e colleghi di Cda sono domiciliati a Roma in via XX Settembre al civico 97, dunque al ministero dell’Economia, ma lo Stato per Ita non aveva a disposizione un ufficio, così sono andati in affitto, e ci rimarranno per qualche mese, in un palazzo al quartiere Eur di una multinazionale che offre scrivanie e connessioni già pronte. A parte i dettagli, i ritardi della politica hanno riversato un’inutile fretta addosso a Lazzerini per il piano industriale e Lazzerini, al contrario, ha bisogno di calma per non ripetere gli orrori del passato.

Ha il vantaggio di partire con una società pulita che ha 20 milioni di euro di capitale versato dal ministero dell’Economia e al momento una trentina di dipendenti con l’assunto numero 1 che ha trent’anni e viene da Londra e da Emirates. Per organizzare una compagnia competitiva, Lazzerini sa che deve evitare due cose: le tratte nazionali assai brevi e altrettanto costose, aerei di tecnologia superata che consumano sul lungo raggio e non consentono di fissare prezzi competitivi (secondo Lazzerini con l’ultima generazione si risparmia il 30 per cento sul carburante per un Roma-New York). Dunque in Italia si volerà per le isole, ovvio, per i collegamenti Roma-Milano e non per viaggi come Roma-Bologna o altre città vicine a Linate per il nord e Roma per il centro-sud. Alitalia ha più di 100 aerei, Ita ne avrà più o meno gli stessi, però nel 2025, se funziona, e li avrà di proprietà (60 per cento) e non tutti a noleggio. All’inizio Ita avrà aerei perlopiù freschi di fabbrica e una manciata, per il lancio, saranno ereditati da Alitalia. Fiumicino sarà l’unico aeroporto per i voli intercontinentali verso l’Africa, le Americhe, l’Asia con Giappone e Cina, ma niente Paesi del Golfo. Ridimensionata Malpensa. Il decollo è previsto da aprile. Il dubbio più lancinante, però, riguarda il capitale umano: gli 11.000 dipendenti di Alitalia che aspettano di sapere chi continuerà a lavorare, chi rimarrà in cassa integrazione o, peggio, chi verrà licenziato.

APPESI A UNA TELEFONATA
I numeri, ripetono i sindacati, sono severi e non più taciuti: si parla di almeno 4.000 esuberi. E la grande domanda è solo una: con quali criteri saranno reclutati i “salvati” che passeranno a Ita? Il rimedio della raccomandazione politica, lo ammettono anche i sindacati, è più che abusato: «Io sono in cassa integrazione da marzo, non mi chiamano per nessun volo, invece ad altri li hanno richiamati senza alcuna trasparenza - racconta una assistente di volo da venti anni in Alitalia - abbiamo chiesto ai sindacati di fare un monitoraggio per capire come vengono richiamate in servizio le persone. Ma nulla, tutto rimane nel silenzio. Il mio timore è che questo sia il preludio a quello che accadrà nella nuova compagnia». La maggior parte dei dipendenti di Alitalia è in cassa integrazione da marzo, oggi c’è la corsa a riprendere il servizio per farsi trovare “attivi” dai vertici di Ita che dovranno attingere dal bacino di Alitalia.

Le dimensioni di Alitalia sono ponderose: solo il personale navigante è di 4.755 unità, poi ci sono 5.476 addetti di terra, la metà negli uffici, e 500 precari. Dimensione che non potrà essere replicata dalla nuova società: «Per noi l’investimento pubblico deve essere occasione di sviluppo e crescita anche occupazionale, il personale Alitalia deve transitare tutto nella nuova compagnia - dice Fabrizio Cuscito della Filt Cgil - e poi occorre trovare strumenti, temporanei, per aiutare l’avvio della società con ammortizzatori sociali. Anzi nell’ambito dell’operazione vanno incluse soluzioni anche per il personale attualmente in cassa integrazione delle altre compagnie italiane come ad esempio Air Italy. Il prezzo della crisi e delle vecchie gestioni fallimentari non dovranno essere scaricati sui lavoratori come avvenuto in passato Già adesso ci sono 6.838 persone in cassa integrazione a rotazione, i sacrifici i lavoratori li stanno facendo da tempo». Il potente sindacato dei piloti difficilmente accetterà una riduzione del gruppo. E anche qui il rischio è che i soldi li metta sempre lo Stato: nel 2020 si stima un costo della cassa integrazione Alitalia intorno ai 100 milioni di euro.