I Covid-ottimisti, convinti che il virus servirà almeno a migliorare le condizioni dei lavoratori e a diminuire la pressione gerarchica, si dovranno ricredere. L'atmosfera intorno a chi denuncia i rischi delle pratiche aziendali non sembra affatto migliorata. Casomai vale il contrario. I segnalatori o, nel termine inglese, whistleblowers continuano a passare per traditori come il primo denunciatore della pandemia, l'oftalmologo di Wuhan Li Wenliang, trattato da allarmista prima di diventare un eroe nazionale da morto. Diffide, processi disciplinari e licenziamenti stanno accompagnando la pandemia nella sua versione italiana. Le vittime di questi provvedimenti seguono un percorso comune. Vengono accusate di slealtà verso l'azienda e di violazione del rapporto fiduciario.
L'imputazione più grave è la diffusione ai media delle segrete cose di ospedali, Rsa e cliniche, anche quando i morti e i contagiati si sono contati a centinaia per mancanza di dispositivi e per omissioni gravi nel rispetto delle linee guida dettate dalle autorità sanitarie. La legge nazionale sui segnalatori approvata il 30 novembre 2017 (numero 179) è stata spesso contraddetta al momento dell'emergenza da ordini di tono ben diverso e da sanzioni a chi ha lanciato l'allarme. Fra le vittime del Cov-Sars-2 c'è anche la direttiva Ue 1937 che imponeva agli stati membri di adottare una normativa sui segnalatori. La direttiva ha la data del 26 novembre 2019. Il racconto dell'Espresso inizia tre mesi dopo, il 26 febbraio 2020. Un infermiere con tredici anni di anzianità aziendale al San Carlo di Nancy di Roma, una struttura di sanità privata con una vita societaria recente movimentata e una cessione da congregazioni religiose al gruppo Sansavini-Gvm, sta ascoltando una diretta su Radio Globo.
L'argomento è il virus che a fine gennaio ha portato al ricovero di due turisti cinesi allo Spallanzani. Il 19 febbraio è stato ricoverato a Codogno Mattia, il cosiddetto paziente uno. Quel 26 febbraio l'infermiere decide di intervenire con una telefonata in diretta e, senza dichiarare il suo nome, avverte che al San Carlo c'è un andirivieni di pazienti possibilmente contagiati dal Corona in assenza di dispositivi di protezione per il personale. Riferisce inoltre che un paziente con sintomi sospetti, che era stato di recente a Codogno, è riuscito grazie a un'amicizia a ricoverarsi al San Carlo, e non allo Spallanzani dove temeva di rimanere isolato nell'epicentro romano del virus. Il 4 marzo il dipendente viene rintracciato dall'azienda e riceve una lettera di contestazione per la sua telefonata in radio. Secondo l'ufficio legale di Gvm, l'infermiere ha dichiarato il falso e in ogni caso ha leso la reputazione del datore di lavoro. Il 12 marzo, con un minimo di tempo per le controdeduzioni, gli viene comunicato il licenziamento.
L'infermiere presenta ricorso attraverso lo studio dell'avvocato Romolo Reboa, noto per avere assistito i familiari delle vittime dell'hotel di Rigopiano. «La legge», dice Reboa, «autorizza il segnalatore a lanciare un allarme se esistono fondati motivi di pericolo imminente o condizioni palesi di pubblico interesse o ancora il rischio di occultare le prove di comportamenti illeciti. Mi pare che il caso del mio cliente ricada in questo contesto». La parola adesso spetta al giudice. Lo studio legale Reboa è coinvolto in altri casi di segnalatori che hanno avuto problemi di lavoro gravi a causa del Covid-19, spesso in strutture che fanno capo alla sanità privata con controllo di ordini religiosi. Nell'area di Milano il caso più importante è la Fondazione don Gnocchi che è stata fra l'organizzazione di sanità privata più duramente investite dall'ondata del virus, con 140 decessi soprattutto nei suoi centri dell'area metropolitana, insieme al Pio Albergo Trivulzio (Pat) che però sotto il controllo della Regione e del Comune.
La fondazione don Gnocchi ha licenziato, trasferito o censurato i dipendenti che hanno denunciato le condizioni di lavoro a rischio dopo essersi ammalati e dovrà affrontare anche le cause di risarcimento danni dei familiari dei pazienti.
Il caso più clamoroso è quello dell'operatore sanitario Hamala Diop che raccontiamo qui. Non è dato sapere quante altre segnalazioni arriveranno a valle dell'epidemia come quella presentata ai carabinieri di Sorbolo Mezzani (Parma) il 21 maggio da una dipendente del Centro Santa Maria ai Servi che chiede l'anonimato. All'opposto dei dipendenti che segnalano mancanze da parte dei datori di lavoro c'è il caso della Domus Aurea di Chiaravalle centrale (Catanzaro) che da sola è responsabile di 28 decessi pari al 30 per cento dei morti totali da Covid-19 in Calabria con oltre ottanta positivi a partire dal 22 marzo e un indice di letalità senza uguali al mondo.
A Chiaravalle è stato il proprietario della struttura, Domenico De Santis, a denunciare il personale uscito dalla struttura dopo che la Rsa e l'intero paese era stato dichiarato zona rossa a fine marzo. De Santis ha anche contestato il mancato intervento della governatrice Jole Santelli che ha ribaltato le responsabilità sul proprietario della residenza. La settimana scorsa sono state diffuse le conversazioni telefoniche fra De Santis e Francesco Conca, responsabile del 118 che accusa pesantemente il personale sanitario mandato a sostituire gli operatori messi in quarantena. «Si sono messi in malattia, che ci posso fare? Se sono dei codardi, dei disertori ancora meglio», dice Conca, «che ci possiamo fare io e lei?»
Chiaravalle è stata l'ultima zona rossa della Calabria a essere normalizzata l'11 maggio e a decidere chi ha ragione fra proprietà, Regione e dipendenti sarà l'inchiesta per strage della Procura della Repubblica di Catanzaro. Per capire come mai la segnalazione di illeciti in azienda sia così difficile basta leggere il pdf, messo online dalle strutture sanitarie più serie, da inviare all'Organismo di vigilanza (odv). È un modulo standard dove bisogna leggere bene la parte scritta in piccolo. Chi sceglie l'anonimato è avvertito che non potrà essere tutelato dalla legge sul whistleblowing. E per chi ci mette la faccia i rischi sono ancora più elevati. “Resta impregiudicata la responsabilità penale e disciplinare del segnalante nell’ipotesi di segnalazione calunniosa o diffamatoria ai sensi del codice penale e dell’art. 2043 del codice civile. Sono altresì fonte di responsabilità, in sede disciplinare e nelle altre sedi competenti, eventuali forme di abuso della procedura di segnalazione, quali le segnalazioni manifestamente opportunistiche e/o effettuate al solo scopo di danneggiare il denunciato o altri soggetti, e ogni altra ipotesi di utilizzo improprio o di intenzionale strumentalizzazione dell’istituto oggetto della presente procedura”. Di fronte agli ostacoli in azienda e ai paletti fissati dalla norma rischia di cadere nel vuoto l'appello di Transparency international, con il sostegno di cinquanta organizzazioni mondiali, a tutelare i segnalatori durante l'emergenza Covid-19. E anche la direttiva Ue sul whistleblowing rischia di restare lettera morta in molti paesi.
PRECISO CHE
La lettera del don Gnocchi e la nostra risposta