L'Espresso ha visto alcuni dei compiti, scoprendo anomalie come voti inventati o punteggi attribuiti anche di fronte a errori. E ora sei procure indagano, mentre la ministra Azzolina (che questo concorso lo ha vinto), si sfila con messaggi su WhatsApp

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Punteggi inventati alle prove scritte. Sei procure della Repubblica che indagano. Otto sentenze del Tar, di cui due di annullamento. Richieste di accesso agli atti negati dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. E l’attuale ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, vincitrice di concorso e arroccata nella sua posizione: appellarsi al Consiglio di Stato per bloccare ogni richiesta di trasparenza.

È questo il resoconto del corso-concorso per dirigenti scolastici indetto nel 2017, iniziato nel 2018 con la prima prova, che si è trasformato, come denunciato un anno fa dall’Espresso in una serie di inchieste, in una slavina di ricorsi al Tar per chiederne l’annullamento immediato. Un caso politico, perché se il 15 ottobre il Consiglio di Stato dovesse decidere di mandare tutto all’aria con sentenza definitiva, la scuola si ritroverebbe senza tremila presidi in uno dei momenti più delicati dell’istruzione pubblica, alle prese con la ripartenza e la nuova riorganizzazione imposta dal Covid-19.

È il 18 ottobre 2018, quando 9.376 aspiranti presidi si siedono al banco per portare a termine la prova scritta. Sono 2.416 i posti a disposizione, a passare la prima selezione saranno in 3.795. Trascorrono neanche due mesi e mentre si attende l’elenco degli ammessi all’orale, le prime irregolarità emergono con una strana fuga di notizie: c’è chi sa l’esatto numero degli ammessi e lo diffonde in rete tramite un post Facebook, nonostante tutto debba essere mantenuto nel più stretto riserbo dal Miur.

Questa è solo la prima di una lunghissima lista di strani eventi, perché in un solo anno e mezzo il Tar del Lazio ha chiesto due volte l’annullamento del concorso, per adesso bloccato dal Consiglio di Stato, dopo che l’avvocatura, su richiesta del Miur, ha deciso di intervenire bloccando le richieste di accesso agli atti degli aspiranti presidi. I documenti fino ad ora raccolti aumentano le perplessità: L’Espresso ha potuto visionare in anteprima decine di prove, scoprendo che alcuni presidi, ormai assegnati a capo delle scuole, hanno ricevuto il massimo del punteggio ad alcuni quesiti, nonostante le risposte date non fossero corrette. Si scopre che alcuni di loro non conoscono neanche le proprie responsabilità amministrative, altri nemmeno il semplice funzionamento del “meccanismo scuola”. Ci sono poi i voti dati dalle sottocommissioni, a volte totalmente inventati, come quei “1.75” o “1.25”, nonostante il bando non prevedesse simili punteggi. Peccato che la somma esatta dei bizzarri decimali abbia portato in alcuni casi alla promozione.

Anticipazione
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Alla lista delle anomalie si inserisce anche il software utilizzato per la prova scritta, fornito dall’azienda Cineca. Nel 2016 il Tar del Lazio con una sentenza netta lo considerò inidoneo, ma evidentemente il Miur ha deciso di sfidare il destino e utilizzarlo ugualmente. Per capire se il programma di Cineca abbia avuto un reale malfunzionamento, gli aspiranti presidi hanno deciso di chiedere il codice sorgente del software, e cioè l’algoritmo che permette di testare la funzionalità o meno del programma. Dopo che il Tar del Lazio ha concesso loro di accedere all’informazione, il Miur ha deciso di dare ai ricorrenti solo un pezzettino del codice che permette di risalire a malfunzionamenti, ma non di sapere se ci stata o meno la violazione dell’anonimato. C’è poi da aggiungere alla lista delle irregolarità chi ha deciso di fare il commissario nonostante abbia tenuto corsi di formazione per preparare i futuri presidi al concorso, sebbene sia espressamente vietato dalla legge per evitare favoritismi. Tra questi, il sindaco di Alvignano Angelo Francesco Marcucci, e le professoresse Elisabetta Davoli e Francesca Busceti.

Su quanto accaduto indagano sei procure della Repubblica: Roma, Catania, Santa Maria Capua Vetere, Bologna, Ravenna e Napoli. Tutte hanno aperto un fascicolo contro ignoti per capire cosa realmente sia successo durante la selezione dei tremila presidi adesso alla guida di altrettante scuole. Mai nella storia della Repubblica sei procure hanno indagato contemporaneamente su un concorso pubblico.
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Quando tutto è partito a capo di viale Trastevere c’era ancora Marco Bussetti, il ministro della Lega fortemente voluto da Matteo Salvini e amico d’infanzia di Giancarlo Giorgetti. Ai primi dubbi di fronte alle irregolarità rispose con un secco comunicato: «Al ministro spetta l’indirizzo politico del dicastero, non organizzare le prove di un concorso e giudicarne i candidati». Cade il governo giallo-verde e nel nuovo governo giallo-rosso entra come ministro Lorenzo Fioramonti dei 5 Stelle. Preoccupato di un possibile annullamento del concorso per dirigenti scolastici da parte del Consiglio di Stato decide di non opporre resistenza, convoca i ricorsisti in viale Trastevere e il 12 dicembre 2019 consegna loro i primi 300 compiti della prova scritta, al grido di: «l’amministrazione pubblica ha l’obbligo morale di essere trasparente». C’è la promessa di recapitarli tutti in tempi brevi per permettere una loro analisi e verificare se effettivamente ci siano state palesi irregolarità.
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Ma due settimane dopo Fioramonti si dimette e al suo posto arriva Lucia Azzolina, proprio la deputata M5S che quel concorso lo ha vinto e grazie al quale è stata nominata preside. Proprio lei si ritrova alla guida della scuola pubblica. I ricorsisti, convinti di trovare la stessa apertura di Fioramonti, bussano alla porta di Viale Trastevere, ma si sentono rispondere con un messaggio whatsapp: «Buongiorno deve contattare il vice ministro Ascani. Lei ha la delega ai Ds (dirigenti scolastici, ndr). Io non me ne occupo. Buona giornata». E così la ministra si sfila, preferendo nominare la Ascani responsabile del problema. Alle richieste di accesso agli atti, il Miur ha preferito, però, rispondere con l’Avvocatura di Stato: così è stato per le rimanenti prove scritte, sigillate ancora nei cassetti del ministero, e per il codice sorgente del software Cineca, concesso solo dopo sentenza del Tar del Lazio.

Inchiesta
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Anna Ascani, deputata del Partito Democratico e ora vice-ministra del Miur dello scandalo del corso-concorso per dirigenti scolastici, quando c’era il ministro leghista Marco Bussetti fece una battaglia politica, con un’interpellanza parlamentare. Ma dopo l’incarico più niente, se non qualche incontro e la promessa da parte del governo di impegnarsi «ad aprire un tavolo tecnico per trovare una soluzione». La possibilità che il concorso venga però annullato smuove gli animi e così in una staffetta last minute è stato approvato un emendamento, a firma M5S, il partito della ministra Azzolina. «Volto a prevenire - si legge nel testo - ripercussioni sul sistema scolastico a seguito di possibili contenziosi». La soluzione sarebbe quella svolgere un corso intensivo con una prova finale «idoneo a contemperare le posizioni lese». Da una parte le Camere, dall’altra il Miur. E ora di tutto questo caos all’italiana, a decidere la sorte della scuola italiana sarà, come sempre, la magistratura.