La criminalità organizzata (non solo italiana) e misteriosi investitori esteri approfittano della crisi nella regione. Esercenti e albergatori raccontano: «Ricevo ogni giorno telefonate di chi vuole comprare. Finora ho risposto di no»

Soldi in contanti e prestiti da usurai: mafie e fondi stranieri provano a comprarsi la Toscana

La spiaggia di Forte dei Marmi
I telefoni di bar, ristoranti, hotel a Firenze squillano. Sono amici intermediari, commercialisti, noti studi legali, agenzie immobiliari. Offerta diretta, senza trattative. «Sono stato contattato per vendere i locali da parte di persone che non conosco. Non hanno detto subito 100, 500, hanno detto che erano interessati e disposti a pagare in contanti. Sono stato contattato anche tramite amici, mediatori del luogo. E io ho risposto a tutti che non mi interessa».

Aldo Cursano è il presidente toscano e vice presidente nazionale di Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio, ma soprattutto è il proprietario di tre locali nel centro di Firenze, tra cui il noto Caffè le Rose in piazza dell’Unità Italiana, dietro Santa Maria Novella. Qualcuno ha chiamato anche una delle antiche botteghe orafe su Ponte Vecchio. «È stata una proposta di acquisto diretta», fanno sapere.

La Toscana post emergenza Covid-19 è nel mirino di operazioni di acquisto selvagge e speculazioni specie su immobili e attività in angoli di pregio: sono decine le segnalazioni di proposte di acquisto per conto di fondi con capitali italiani e stranieri, russi e in qualche caso cinesi. «Mi volevano incontrare, volevano fare, non mi presto», spiega Cursano. «Lo so che c’è marmaglia che cerca di ripulire o fare affari, c’è anche roba da fuori, non è solo marmaglia nostrana, anche fondi strani che vengono da altri ambiti, perché stanno dicendo loro che è il modo migliore di investire soldi. Agganci la ripartenza e metti le mani su una città e una regione».

È il rischio di riciclaggio di denaro e di infiltrazioni di organizzazioni criminali a fare paura: è nata una rete a maglie fittissime, senza precedenti, tra Prefettura, banche, professionisti, la Direzione distrettuale antimafia. Obiettivo: sostenere le imprese, moltiplicare gli occhi sul territorio, individuare anomalie. La città dei 15,5 milioni di turisti all’anno è vuota per i suoi standard, e secondo l’Osservatorio sui bilanci delle srl della Fondazione nazionale dei commercialisti, il fatturato 2020 di alberghi e ristoranti in Toscana perde 1,3 miliardi di euro: -743.482 milioni per pernottamenti e -638.249 milioni la ristorazione.

Secondo Fipe l’83% di bar e ristoranti ha riaperto dal 18 maggio. Il 5,6 non riaprirà: mille euro di incassi non ripagano affitti che in centro raggiungono anche 54 mila euro. Chi compra invece, acquisisce realtà imprenditoriali che frutteranno bene sul piano immobiliare o della produttività al momento della vera ripartenza, senza l’urgenza di bilanci da far quadrare. Si tratta di colossi che approfittano dei ribassi indotti dal bisogno di liquidità, ma anche di chi dispone di enormi quantità di denaro da reinvestire. O direttamente da ripulire, come le mafie.

LA “ZONA GRIGIA”
Il capo centro della Direzione investigativa antimafia di Firenze, Francesco Nannucci, spiega che in queste settimane le riunioni con tutti gli ispettori della Toscana e le associazioni di categoria sono servite a incrociare dati e individuare le situazioni opache. «Monitoriamo non solo appalti pubblici, un problema relativo, ma tutte le cessioni di aziende, società, i cambi di nome e di gestione. Sono i campanelli di allarme per farci capire se c’è dietro qualcosa di atipico», spiega. «Dedichiamo molta attenzione a tutto quello che passa di mano dopo difficoltà di accesso al credito e difficoltà economiche. Queste spesso possono portare a soluzioni “disinvolte”».

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Gli usurai sono in campo, ad esempio, anche se la crisi Covid-19 ha indotto a comprare subito un’attività in difficoltà, più che a prestarle denaro. «Può essere un vicino scaltro, un concorrente che ha accumulato denaro, spiega Nannucci. «Ma il più delle volte è la criminalità organizzata, che offre un aiuto economico interessato per la ripartenza o sopperisce a certe spese. E poi si prende il controllo dell’impresa». L’usura apre le porte all’estorsione e si lega al riciclaggio. Per gli investigatori si tratta di aggredire il bene frutto di un’attività illecita e ricostruire la filiera. «La Dia valuta il riciclaggio anche in base alle segnalazioni di operazioni sospette. In sé non è sintomatica la segnalazione che ci sia un reato, ma le anomalie su flussi finanziari. Il dato del riciclaggio è una delle cose più difficili da valutare e capire. Perché siamo ancora molto legati alle “modalità operative” della criminalità organizzata e all’idea che la mafia ancora “non esiste” in certe regioni».

A febbraio i magistrati della Dda hanno coordinato l’operazione “Golden Wood” eseguita dalla Guardia di Finanza di Prato: 12 arresti per un sodalizio che riciclava i soldi dagli affari della famiglia di Corso dei Mille di Palermo, guidata da Pietro Tagliavia, già condannato per associazione mafiosa e figlio di Francesco, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio e via dei Georgofili. Un flusso di 150 milioni di euro di cui 39 provenienti da Palermo e riciclati nell’economia toscana. A maggio sempre la Guardia di Finanza ha indagato dieci persone tra professionisti, imprenditori, e dipendenti di società italiane e inglesi per riciclaggio internazionale e danni nei confronti di 53 persone in difficoltà economiche. È stata sequestrata anche una villa a Livorno dopo perquisizioni a Firenze e sulla costa, da Follonica a Portoferraio. «Attraverso le delazioni di direttori di banca o soggetti che hanno ruoli e informazioni sulla tenuta della società, sulla liquidità, le organizzazioni mafiose riescono a individuare il soggetto che ha bisogno di capitali», ha spiegato Cesare Sirignano, ex sostituto della procura nazionale antimafia, a proposito di infiltrazioni mafiose in Toscana.

Nei primi anni 2000, nel corso delle indagini sui clan casalesi, il pm Sirignano scoprì un giro di affari con propaggini toscane molto forti: «C’erano i Saetta e i Terracciano ma anche Francesco Martino, il fratello di Giuliano Martino, uno dei referenti del clan dei Casalesi, che aveva il compito di acquisire denaro dagli imprenditori casertani operanti in territorio toscano e riportarli giù, per alimentare le casse del clan. Uno spaccato che fa riflettere: non si prestano soldi in un’altra località senza che vi sia una rete. Qui non c’è una struttura come quella che caratterizza il territorio campano, ma una rete sicuramente sì».

PARLA CON ME
Durante la “Fase 2” a Siena è nato un fondo speciale di 15 milioni di euro per piccole, micro e nano imprese sostenuto da tre istituti bancari locali con le garanzie della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. «Abbiamo registrato le difficoltà delle piccole imprese che non riescono ad ottenere importi in prestito superiori ai 25 mila euro», spiega Lelio Grossi, presidente della Fondazione Toscana per la prevenzione dell’usura Onlus, garante del fondo con MPS.

Sotto il cappello dell’articolo 15 della legge 108/96, combatte la “piccola usura” e offre il 50% di garanzie alle banche per la concessione di prestiti, mutui ipotecari e microcrediti di solidarietà. Secondo il Fabi, il sindaco dei bancari, al 21 maggio e in base alle domande presentate, il Fondo centrale di garanzia previsto dal Decreto Liquidità ha fatto registrare solo il 7,5% delle operazioni in Toscana. Al primo posto, con il 21% c’è la Lombardia. «Si sta cercando di contenere la crisi, ma bisogna fare presto. C’è il pericolo che speculatori e criminalità organizzata si presentino come sostegno e “welfare” per il mondo della piccola impresa e delle famiglie, con un rischio enorme per tutto il territorio», chiarisce il prefetto di Firenze Laura Lega, illustrando l’istituzione di due accordi. Il primo impegna tra gli altri Regione, prefetture, Abi, Banca d’Italia e associazioni di categoria alla “sburocratizzazione” delle richieste di accesso a nuove linee di credito. Il secondo è un tavolo tecnico per rinegoziare i canoni di affitto degli esercizi commerciali secondo parametri condivisi. «Durante il lockdown è stata adottata la prima interdittiva antimafia dalla Prefettura di Firenze dopo 8 anni», dice Laura Lega. Vogliamo evitare che l’entrata a gamba tesa dell’economia illegale su quella legale possa cambiare anche l’assetto proprietario di questo territorio». Adesso le interdittive sono già cinque.

“SAPORE DI MARE”
«Quasi ogni mattina mi chiama un agente immobiliare per conto di fondi misteriosi anche italiani per alberghi a Forte dei Marmi, più che in Versilia. È il momento in cui ogni giorno qualcuno ti chiama sperando che la situazione Covid-19 comporti offerte al ribasso», dice Paolo Corchia, a capo degli albergatori di Forte dei Marmi e già vicepresidente nazionale di Federalberghi.

Gli hotel storici e le cinquanta famiglie associate si conoscono tutte e Corchia parla di «compattezza: la situazione è sotto controllo, siamo molto vigili». Se c’è il rischio criminalità, potrebbe essere rivolto alle ville, che valgono 15, 20 milioni e alle ristrutturazioni: chi conosce il settore dice che lì il controllo “è meno forte”.

La cittadina che fu ribattezzata qualche anno fa dal New York Times “il parco giochi russo”, mostra qualche crepa: «Alcuni hotel acquistati dagli oligarchi funzionano bene, altri sono chiusi da 5, 6 anni. So che alcuni dei proprietari hanno passato traversie, sono stati anche agli arresti domiciliari nel loro Paese», spiega Corchia, che aggiunge: «O sono fermi per questo, o ci hanno ripensato o hanno un grande progetto: chiedere svincoli per realizzare appartamenti di lusso. Ma il nostro comune non li concederà».

Settemila abitanti per nove chilometri di spiaggia larga dieci metri. Nel quartiere centrale di Roma Imperiale un metro quadro vale 12 mila euro. Una stagione balneare più lunga di quella sarda: da Pasqua ad ottobre, e famiglie storiche che gestiscono direttamente le strutture. Nessuna catena, tranne UnaHotels e la Blu Hotels che adesso gestisce lo storico Bagno Marechiaro. Uno dei due hotel di proprietà di Corchia è a due passi dalla Capannina: «Anche a me hanno chiesto se volevo vendere». Il mercato per gli strozzini è aperto.

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