Gli affari del San Raffaele: tra Alfano, Maroni e la Libia ecco i segreti dell'ospedale dei vip
Non solo Briatore e Berlusconi. Decine di miliziani feriti nella guerra civile sono stati curati nella struttura di proprietà della famiglia Rotelli. Che ha finanziato in Svizzera un mediatore già in affari con il regime di Gheddafi. E intanto nei consigli di amministrazione delle società del gruppo sono entrati i due ex ministri, la moglie di Bruno Vespa e il fratello della presidente del Senato Casellati
Decine di voli segreti tra Tripoli e Milano. La mediazione della Santa Sede. Un grande ospedale privato italiano che accoglie i reduci della guerra civile libica. E poi le manovre della diplomazia parallela che unisce gli apparati di sicurezza italiani e i governi del Nordafrica, tra mediatori d’alto bordo come il finanziere tunisino Kamel Ghribi, banchieri, uomini d’affari e l’ex ministro degli Esteri Angelino Alfano.
Ci sono tutti gli ingredienti dell’intrigo internazionale in questa storia che ruota attorno a un centro d’eccellenza della sanità italiana come il San Raffaele, controllato dal gruppo San Donato della famiglia Rotelli.
Il primo capitolo risale a gennaio di quest’anno, quando alcuni articoli di giornale raccontano che decine di miliziani libici, reduci dai campi di battaglia, vengono curati a Milano. Nessuno, però, è approdato in Italia via mare, come i disperati in fuga dalla fame che ogni giorno sbarcano in Sicilia e a Lampedusa. Per loro, per i combattenti feriti, è stato organizzato un servizio di aerei ambulanza direttamente da Tripoli fino al San Raffaele.
La notizia rimane a lungo sospesa tra dubbi e sospetti. Fino a quando, in luglio, si viene a sapere che gli ospiti libici erano stati ricoverati nei reparti destinati al servizio pubblico, quelli in convezione con la regione Lombardia. Una volta accertata la violazione è arrivata anche la multa: poche decine di migliaia di euro, come ha spiegato in consiglio regionale un paio di mesi fa l’assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera.
Questa almeno è la versione ufficiale, che però va corretta alla luce del bilancio 2019 del Policlinico San Donato, appena pubblicato. Nel documento firmato da Alfano in qualità di presidente della società, alla voce “evoluzione prevedibile della gestione” si legge che «a seguito di sopralluogo effettuato nel mese di gennaio 2020 da parte di funzionari di Ats (Azienda tutela della salute, ndr) della Città Metropolitana di Milano» sono stati sospesi i ricoveri in regime di solvenza a eccezione di tre letti del reparto cardiochirurgia.
La sanzione nei confronti del San Donato, che al pari del San Raffaele aveva accolto i miliziani libici, appare quindi ben più pesante rispetto ai 43 mila euro menzionati da Gallera nella sua comunicazione. L’anno scorso, infatti, i ricoveri dei cosiddetti solventi, cioè i malati che pagano le cure di tasca propria, hanno portato nelle casse del policlinico milanese oltre 8 milioni di euro, il 45 per cento (2,5 milioni) in più rispetto al 2018. Con ogni probabilità l’aumento si spiega in buona parte con le parcelle dei feriti di guerra provenienti da Tripoli.
Questo è quanto emerge dai documenti ufficiali, che però non aiutano a illuminare altri punti oscuri della vicenda. Come si è giunti all’intesa tra il gruppo San Donato dei Rotelli e le autorità libiche? E chi si è fatto carico dei costi di un’operazione complessa e rischiosa anche sotto il profilo della sicurezza pubblica? A gennaio, infatti, un miliziano ospite del San Raffaele è stato accoltellato da due suoi connazionali, subito prelevati da funzionari dell’ambasciata libica e riportati in patria senza che la polizia italiana riuscisse a interrogarli. «I pazienti sono stati ricoverati su esplicita richiesta di volta in volta formulata dall’ambasciata libica presso la Santa Sede», hanno spiegato i portavoce del gruppo ospedaliero milanese. La regia dell’accordo sarebbe quindi da attribuire alla curia papale, una soluzione che sembra studiata apposta per evitare imbarazzi al governo di Giuseppe Conte, già in difficoltà per via dei finanziamenti milionari elargiti a Tripoli, soldi che finiscono per sostenere le milizie accusate di abusi e torture sui migranti. D’altra parte riesce difficile credere che dall’Italia non sia arrivata luce verde per lo sbarco sul territorio nazionale dei combattenti feriti.
In passato, per esempio nel 2011, era già successo che reduci della guerra civile libica venissero ricoverati al Gemelli, il policlinico di Roma che fa capo al Vaticano. Questa volta invece è sceso direttamente in campo un ospedale privato italiano. Il dichiarato impegno umanitario del San Donato corre parallelo alle ambizioni degli eredi di Giuseppe Rotelli, l’imprenditore lombardo che poco prima di morire nel 2013 riuscì a raddoppiare le dimensioni dell’azienda di famiglia grazie all’acquisto del San Raffaele. A tirare le fila del gruppo è la holding Velca controllata dalla vedova Gilda Gastaldi, insieme ai tre figli Paolo, 31 anni, vicepresidente del Policlinico San Donato, Marco, 27 anni e Giulia, 26. Con 10 mila dipendenti, 1,6 miliardi di giro d’affari e 19 strutture convenzionate con il servizio pubblico, il colosso con base a Milano è già di gran lunga il principale operatore privato in Italia, con una posizione di assoluto predominio in Lombardia.
Che fare per crescere ancora? La partita, com’è naturale per un settore come quello sanitario che dipende dai finanziamenti di Stato, si gioca in primo luogo sul fronte politico. E qui i Rotelli hanno messo insieme un pacchetto di mischia di grande impatto, distribuendo incarichi a personaggi di prima fila del potere nostrano. C’è Alfano, che siede ormai da un anno alla presidenza del gruppo, mentre risale a due mesi fa l’ingresso in squadra di Roberto Maroni, già segretario della Lega, più volte ministro e da ultimo, fino al 2018, presidente della Lombardia, da cui dipende gran parte dei ricavi della galassia ospedaliera targata San Donato. Maroni è entrato nel consiglio d’amministrazione di una società controllata, la Clinica Zucchi. Angelo Capelli invece, ex consigliere regionale lombardo con l’Ncd (il partitino di Alfano) nonché relatore della legge di riforma sanitaria, ha trovato posto nel board degli Istituti clinici bergamaschi, anche questi dei Rotelli.
Alla presidenza del San Raffaele troviamo un manager di lungo corso come Tommaso Cucchiani, amministratore delegato di Banca Intesa tra il 2011 e il 2013. Il suo collega Federico Ghizzoni, al vertice di Unicredit fino al 2016, è consigliere del Policlinico San Donato insieme al magistrato Augusta Iannini, a lungo tra i massimi dirigenti del ministero della Giustizia, meglio nota come consorte del giornalista televisivo Bruno Vespa. Dalle porte girevoli del gruppo è passato anche un superburocrate di Stato come Ernesto Maria Ruffini, ingaggiato a luglio del 2019 come amministratore della controllata Gsd Sistemi e Servizi. Una toccata e fuga, per lui, che nel gennaio scorso è tornato all’Agenzia delle Entrate di cui era già stato direttore generale tra il 2017 e il 2018. L’uscita di Ruffini ha coinciso con un’altra assunzione di peso. Alla corte dei Rotelli è arrivato anche un manager di grande esperienza nella sanità pubblica come Valerio Alberti, fratello della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. L’elenco continua con banchieri d’affari come Alessandro Daffina (Rothschild) e Flavio Valeri (Deutsche bank), l’ex presidente Fininvest Roberto Poli, da sempre vicino a Silvio Berlusconi, l’avvocato Daniele Discepolo, fino a pochi mesi fa commissario straordinario di Alitalia. Anche loro hanno trovato posto tra gli amministratori delle società del gruppo.
C’è una sorpresa, però. In una squadra tanto affollata di nomi famosi, il consulente più ascoltato dai Rotelli è Kamel Ghribi, uomo d’affari tunisino con residenza svizzera pressoché sconosciuto dalle nostre parti. Non è solo questione di consigli. Come L’Espresso ha potuto accertare, la famiglia proprietaria del San Raffaele ha investito 10 milioni di euro nella Gk investment holding, una società elvetica che fa capo a Ghribi, nel frattempo nominato vicepresidente del policlinico San Donato. Da almeno un anno il fiduciario con base a Lugano fa la spola con il Nord Africa e il Medio Oriente con l’obiettivo di trovare nuovi clienti per gli ospedali dei Rotelli. Clienti ricchi o ricchissimi che certo non mancano tra gli sceicchi dei Paesi del Golfo Persico. È questa la nuova frontiera del gruppo, che ha già aperto una filiale a Dubai per gestire il business del turismo sanitario verso Milano. Anche l’accordo con la Libia per curare i miliziani feriti può servire a promuovere l’immagine del San Donato nel mondo arabo.
A guidare l’offensiva diplomatica è proprio Ghribi, 58 anni, che ama raccontarsi come un manager dalla grande esperienza internazionale, con una carriera alle spalle in campo petrolifero. In rete, l’uomo d’affari tunisino si presenta con una lunga biografia che però, tra tante informazioni, omette proprio il capitolo che riguarda i suoi vecchi rapporti con la Libia. Nell’aprile del 1999, il futuro consulente dei Rotelli rivelò al Corriere della Sera di aver organizzato un incontro tra Gheddafi e l’ex ambasciatore statunitense Herman Coehn. Un incontro segreto che, almeno nelle intenzioni, doveva servire ad aprire un canale diplomatico tra due Paesi che all’epoca si trovavano in uno stato di guerra non dichiarata. In quel periodo, Ghribi era anche vicepresidente del Cotonificio Olcese, società quotata in Borsa di cui il governo libico possedeva una quota del 20 per cento. Nel consiglio d’amministrazione dell’Olcese aveva trovato posto anche Mohamed El Huwej, che in qualità di direttore della holding Lafico gestiva gli investimenti esteri del regime di Gheddafi. A più di vent’anni di distanza il filo che lega Ghribi alla Libia non si è ancora spezzato. Questione di soldi. E di ospedali.