Traffico di migranti in barca a vela, caccia al capo dei capi in Turchia
Dopo una indagine durata due anni è stata scoperta la rete che gestisce l'arrivo dalle coste turche garantendo passaporti, permessi di soggiorno e trasferimento in Francia e Germania. Ecco chi sono i vertici in Italia dell'organizzazione. Ma il vero boss è ad Ankara
Arrivano in barche a vela battenti bandiera americana o maltese e approdano in Sicilia, Puglia e Calabria. Sbarcano in fretta, portati a riva con dei tender. Pagano 6 mila euro a testa. Ma non sono ricchi afgani, iracheni, curdi o siriani che decidono di arrivare in comodi velieri. Sono sempre disperati, tenuti nelle stive senza luce, acqua e spesso cibo per giorni e giorni, e che spendono i risparmi di una vita, o più vite, in cambio di un pacchetto sicuro che possa garantire il permesso di soggiorno o l’asilo politico e il passaggio verso la Francia e la Germania. E questo pacchetto “sicuro” lo garantisce una rete criminale internazionale composta da turchi, ucraini, afgani e iracheni. Un’associazione che opera in Italia dalla Sicilia alla Liguria con cellule autonome che fanno riferimento però a un capo dei capi in Turchia: un insospettabile faccendiere con base ad Ankara adesso nel mirino dell’Europol e che sarebbe la mente di una organizzazione criminale che ha gestito un traffico di migranti di non poco conto fuori dai circuiti principali del mar Mediterraneo che passano dal Canale di Sicilia.
La rete è stata scoperta grazie a una operazione coordinata dalla procura di Catania e, in particolare, dal sostituto procuratore Andrea Bonomo. Un’operazione che ha portato all’identificazione dei “manovratori” della rotta del mar Egeo attraverso la quale sono stati trasportati almeno 4 mila migranti dalle coste della Turchia a quelle di Siracusa, Bari e del crotonese. Sempre in barche a vela, rubate o noleggiate, guidate da skipper moldavi e ucraini assoldati per un compenso di mille euro. Un giro di affari garantito all’associazione criminale pari ad almeno 10 milioni di euro dal 2018 al 2020, secondo una stima al ribasso.
L’Espresso è in grado di raccontare la rete scoperta dagli inquirenti dopo due anni di indagini che hanno coinvolto le procure di Catania, Bari e Genova. Pur operando i territori ad alta densità mafiosa, Sicilia, Calabria e Puglia, a tenere le fila dell’organizzazione in Europa erano due immigrati regolari: Taib Rekawat Taifoor, 30 anni, nato in Iraq, e Malak Noorzai, 31 anni, nato in Afghanistan. Taib era il vertice della “cellula” che lavorava tra Siracusa e Bari, Malak invece era il riferimento in Liguria e in Piemonte. «Ma entrambi facevano capo al vertice, alla mente dell’organizzazione, in Turchia - dice un investigatore dello Sco di Roma – a loro siamo arrivati seguendo un filo di Arianna partito da cinque sbarchi avvenuti tra l’aprile e l’agosto del 2018 in barche a vela con 580 migranti a bordo e 20 scafisti ucraini e moldavi arrestati».
Nel 2018 cresce in maniera esponenziale lo strano fenomeno di barche a vela con migranti a bordo che arrivavano sulle coste siciliane, calabresi e pugliesi: si tratta in grandissima parte di migranti provenienti da Iran, Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan e in qualche caso anche di gruppi di origine vietnamita. Seguendo i racconti delle famiglie appena sbarcate i poliziotti della squadra mobile di Siracusa hanno avviato le prime indagini. E subito è venuta fuori una utenza telefonica, intestata a un curdo, Obaid Mohamed Najat. Intercettando questa utenza gli investigatori arrivano quindi a Taib, il tuttofare della cellula con base a Bari. Per gli inquirenti era lui che gestiva tutte le operazioni “a terra”, garantendo vitto, alloggio e l’ottenimento di documenti falsi per chiedere permesso di soggiorno o per presentare poi la domanda di asilo politico.
E sempre grazie alle intercettazioni telefoniche si scopre il coinvolgimento di alcuni italiani corrotti per garantire i documenti necessari all’organizzazione: sotto indagine sono finiti alcuni titolari di Caf in Puglia e un impiegato della prefettura di Bari che assicuravano alla rete i documenti necessari per ottenere il permesso di soggiorno, come contratti fasulli di affitto e di lavoro, ad esempio. «I componenti dell’organizzazione - scrivono i magistrati nell’ordinanza che ha portato ai primi tredici fermi - erano in grado di fornire documenti ottenuti illegalmente con la complicità di pubblici funzionari, imprenditori e dipendenti di Caf che garantivano certificati e contratto per ottenere permessi di soggiorno di lunga durata o per anticipare la data prevista per l’ottenimento delle impronte e richiedere poi asilo».
L’immigrato veniva trasportato, attraverso autisti italiani e perfino con pullman in alcuni casi verso Ventimiglia, se era diretto in Francia, oppure a Torino se voleva poi passare dal Brennero verso la Germania. Tra Torino e Ventimiglia gli immigrati venivano presi in carico dalla “cellula” guidata da Malak, che garantiva loro vitto e alloggio in case affittate in nero e poi, sempre con autisti italiani, il trasferimento in Francia in gruppi «di non più di 8 persone» e con auto di scorta che facevano da vedette per segnalare eventuali posti di blocco. Interessante anche il metodo di pagamento: i migranti versavano 6 mila euro ciascuno a dei cassieri con base in Turchia, che poi trasferivano il denaro ai facilitatori in Europa attraverso sistemi di pagamento con fiduciari, il cosiddetto sistema Hawala: una sorta di banca umana internazionale, con transazioni che avvengono in contanti di mano in mano, in cambio di piccole percentuali che restano ai facilitatori stessi. Un sistema che rende impossibile tracciare l’enorme flusso di denaro in ballo.
Questa la rete scoperta dalla procura di Catania e dalle squadre mobili di Bari e Siracusa coordinate dal Servizio centrale operativo della polizia: 13 gli arresti nei giorni scorsi avvenuti senza molto clamore, anche perché alcuni sono da adesso ricercati perché sfuggiti al fermo. A partire proprio da uno dei vertici, Malak, tornato in Afghanistan con un volo di linea da Malpensa. E proprio sulla figura di Malak gli inquirenti stanno facendo ulteriori accertamenti: Noorzai, il suo cognome, è molto diffuso nel paese afgano e tra i Noorzai ci sono anche due fratelli che dal 2013 sono segnalati all’Interpol come presunti finanziatori dei Talebani.
«Ma adesso il nostro vero obiettivo è il capo di tutta questa organizzazione», dicono gli investigatori, che insieme all’Europol hanno messo alla ricerca di questo capo dell’associazione 150 poliziotti. Un turco che ha creato questa enorme rete che arriva in Ucraina, Grecia (in alcuni casi le barche fanno sosta nelle isole del Mar Egeo), Italia, Francia e Germania. Una rete internazionale che ha capitali notevoli e il vertice saldo ad Ankara. Il problema è che l’Europol ha più di una difficoltà a svolgere indagini in territorio turco e sarà molto difficile arrivare al vertice di un’associazione che riesce a cambiare rifermenti e “cellule” in modo molto veloce: «Non è facile indagare in territorio turco, ma siamo vicini a costruire un identikit molto preciso del grande capo di questa associazione che almeno dal 2016 gestisce questa rotta», dicono dalla procura di Catania.
La rete comunque non è stata spezzata dagli arresti e continua a lavorare a pieno ritmo. Non a caso gli sbarchi in barca a vela continuano. L’ultimo il 15 novembre scorso: una quarantina di immigrati sbarcati e due scafisti arrestati. Si tratta di due moldavi Lajco Pavel, 37 anni, e Procofiev Alexander, 36 anni. Sulla barca Oceanis 430 “Black Pearl” i moldavi trasportavano 50 migranti, tra i quali donne, bambini e neonati, provenienti da Iran, Iraq e Pakistan. Qualche giorno prima, invece, la polizia aveva fermato un’altra imbarcazione a vela guidata da due ucraini: ma in questo caso i poliziotti, non avendo prove evidenti dello sbarco di migranti, non hanno potuto far nulla, anche perché i due avevano un regolare passaporto e si sono giustificati dicendo che erano una coppia in «gita romantica» in Sicilia e in particolare «nella bella Siracusa», hanno detto. La rete insomma è ancora operativa e dall’Europol si dicono certi che resterà attiva questa rotta fino a quando non si scoprirà, e arresterà, il capo dei capi: il turco che da Ankara gestisce e finanzia questo traffico internazionale di migranti e che ha “cellule” sempre operative in Italia. Il capo dei capi della rotta del mar Egeo.