Le immagini
Il contrabbando di petrolio iraniano fotografato in diretta
Ecco le immagini satellitari che risolvono il giallo internazionale della nave arrivata in Sicilia nel 2019: il greggio non fu caricato in Iraq, come dichiarato, ma in Iran, in violazione dell’embargo. Un affare gestito da un imprenditore calabrese di cui Amara è considerato socio occulto
Il contrabbando di petrolio iraniano fotografato in diretta. Gli organi di controllo interno dell’Eni hanno commissionato un’indagine forense a una società esterna, per fare luce sulla provenienza di un carico di greggio arrivato in Sicilia, alla raffineria di Milazzo, nel maggio 2019. Eni Trading & Shipping, la centrale acquisti del gruppo, aveva comprato 700 mila barili di petrolio iracheno, da imbarcare a Bassora. In Italia però è arrivato un greggio diverso, di sospetta provenienza iraniana. E il colosso petrolifero italiano ha rischiato uno scandalo internazionale: l’Eni è quotata anche a New York e l’amministrazione Usa dal maggio 2018 aveva vietato di fare affari con la repubblica islamica.
Già nell’estate 2019 la Somo, la società petrolifera statale dell’Iraq, aveva certificato di non avere mai venduto quel tipo di greggio. Ora una società specializzata ha ricostruito, su incarico dell’Eni, tutte le tappe del trasporto, con una serie di immagini satellitari che pubblichiamo in queste pagine.
La nave dei misteri si chiama Abyss. Batte bandiera vietnamita, ma viene noleggiata a società petrolifere internazionali. La Abyss ha una vistosa chiglia rossa (vedi foto a inizio articolo), che resta semi-sommersa quando è pieno carico (foto sotto).
Il 24 aprile 2019 la Abyss è in rotta verso il porto di Bassora, la sua destinazione dichiarata, ma si ferma al largo, all’intersezione tra le acque territoriali del Kuwait, Iraq e Iran, dove viene spento il transponder, lo strumento che ne segnala la posizione (foto sotto). Poi la nave riprende il viaggio, in incognito, e si dirige verso l’isola di Kharg, in Iran, dove arriva il 25 aprile.
Qui la Abyss viene affiancata da una superpetroliera di Teheran, di proprietà della National Iranian Tanker Company (Nitc). Le due navi si fermano una accanto all’altra: nell’immagine satellitare sono visibili due rimorchiatori che favoriscono l’aggancio (foto sotto), nella posizione tipica dei trasbordi di carico.
Quindi la Abyss si separa e riprende la rotta, sempre con il transponder spento, verso il terminal iraniano dell’isola di Kharg, dove attracca il 26 aprile (foto sotto).
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Studiando le immagini, gli esperti reclutati dall’Eni concludono che, prima di tornare in Iraq, la Abyss ha caricato circa 700 mila barili di greggio: la stessa quantità poi arrivata in Italia. Una parte potrebbe essere stata imbarcata, sempre in Iran, già il 19 aprile 2019, in un precedente viaggio senza transponder. Il resto del petrolio, sempre secondo l’indagine forense, è stato sicuramente imbarcato nelle due soste clandestine in Iran del 25 e 26 aprile.
Il 2 maggio 2019 la Abyss torna nelle acque dell’Iraq e si ferma al largo di Umm Qasr, dove viene affiancata dalla petroliera New Prosperity, che riceve l’intero carico (foto sotto). Poi la Abyss riparte verso Bassora, si posiziona nello stesso punto dove aveva spento il transponder e il 3 maggio lo riaccende.
Il 4 maggio la New Prosperity viene affiancata a sua volta da un’altra petroliera, White Moon, che riceve il carico (foto sotto).
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Il 6 maggio la White Moon parte dall’Iraq (foto sotto) e inizia un lungo viaggio attraverso il Golfo Persico, la Penisola Arabica, il canale di Suez e il Mediterraneo.
Il 24 maggio 2019 viene fotografata davanti alla raffineria dell’Eni a Milazzo (foto sotto). Il 17 giugno la petroliera è ancora ferma in Sicilia, a pieno carico, perché il gruppo italiano lo ha rifiutato.
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L’Eni ha poi rispedito quei 700 mila barili alla compagnia nigeriana Oando, che aveva noleggiato la White Moon e ha dovuto rimborsare l’intero prezzo al gruppo statale italiano: 41 milioni di euro. La Oando aveva comprato quel greggio dalla Napag, un’azienda italiana coinvolta nelle indagini sull’avvocato Amara.
Denunciata dall’Eni, la Napag ha replicato di averlo a sua volta acquistato in buona fede, credendolo iracheno, da un’altra compagnia fornitrice, Empire Energy Oil. Nei registri internazionali però non si trova traccia di questa società.