Inchiesta
Luca Attanasio, l'imprenditore-amico e quel tragico equivoco che potrebbe aver provocato l'attacco al convoglio Onu
Il presidente di Novae Terrae è a capo di un gruppo minerario che opera in Congo. E la sua associazione è stata coinvolta in un'inchiesta su tangenti per nascondere le torture in Azerbaigian
L'ambasciatore Luca Attanasio, 43 anni, il carabiniere Vittorio Iacovacci, 30, e l'autista Mustapha Milambo Baguna potrebbero essere morti per un tragico equivoco. Come racconta il missionario saveriano Franco Bordignon, il diplomatico italiano «era la quarta volta in un anno che andava a Goma, perché lì voleva aprire un consolato». Ma le ripetute visite nella città più pericolosa della regione orientale probabilmente non sono passate inosservate. Anche perché, da documenti accessibili su Internet in francese, risulta che l'importante opera umanitaria di Attanasio e della moglie Zakia Seddiki, attraverso l'associazione “Mama Sofia”, era sostenuta dal proprietario di un gruppo minerario che opera nella Repubblica Democratica del Congo: lo stesso gruppo che l'8 gennaio di quest'anno ha vinto l'appalto per la vendita all'ambasciata italiana a Kinshasa di un Suv blindato. E le miniere, nella guerra permanente intorno a Goma, dal Nord Kivu al Sud Kivu lungo i confini con Uganda, Ruanda e Burundi, sono un argomento estremamente sensibile. L'attacco di lunedì 22 febbraio è certamente un brutto imprevisto nella politica energetica italiana, che dopo aver perso il legame privilegiato con Tripoli sta cercando nuovi sbocchi in Africa.
Sulla sua pagina Linkedin l'imprenditore, Emanuele Gianmaria Fusi, 54 anni, si presenta come presidente della società mineraria “CDN-Compagnia del Nord” di Meda in provincia di Monza e Brianza; presidente e proprietario della “West Africa Mining Company” e presidente della “GEA Environment and resources Co. Ltd” di Khartoum in Sudan. Tra le specializzazioni, Fusi indica: «Minerali rari, materie prime, sviluppo sostenibile, ecologia applicata, esplorazione mineraria».
I FONDI PER “MAMA SOFIA”
Emanuele Fusi è anche fondatore e presidente della Fondazione Novae Terrae con cui raccoglie donazioni e sostiene l'associazione “Mama Sofia” di Zakia Seddiki. Fin dall'arrivo nella Repubblica Democratica del Congo, l'ambasciatore Attanasio e la giovane moglie sono stati subito apprezzati per la loro attività di volontariato, soprattutto nell'assistenza alle migliaia di bambini di strada della capitale. Luca Attanasio non era infatti uno di quei diplomatici che trascorrono il fine settimana a giocare a golf con i colleghi. Per questo l'imprenditore minerario, attraverso la sua fondazione, da allora collabora con i tre progetti principali di “Mama Sofia”: portare aiuti agli orfanotrofi pubblici di Kinshasa che ospitano i minori abbandonati dai genitori e che per mancanza di fondi sono in condizioni disperate; finanziare il servizio di una squadra medica che con un'ambulanza di strada possa raggiungere i quartieri più poveri e pericolosi di Kinshasa; realizzare un orfanotrofio con un reparto maternità che permetta alle mamme di partorire gratuitamente e di essere assistite.
Ma anche l'attività di Novae Terrae potrebbe essere stata travisata. Sui suoi conti bancari, secondo un'inchiesta della Procura di Milano, sono transitati milioni di euro destinati a finanziare l'internazionale della destra sovranista, dal cardinale tradizionalista Raymond Leo Burke a Steve Bannon, l'ex consigliere del presidente americano Donald Trump. E uno dei sette fondatori della fondazione, l'ex parlamentare Udc Luca Volonté, è stato accusato di aver incassato, attraverso il paravento di Novae Terrae, tangenti per due milioni 390 mila euro: sarebbe stato il compenso con cui il governo dell'Azerbaigian intendeva corrompere Volontè e comprare il suo voto nell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa perché il rapporto del deputato tedesco, Christoph Strässer, sulle torture e i trattamenti disumani nelle carceri azere venisse bocciato. Come infatti è accaduto.
LA CONDANNA DELL'EX PARLAMENTARE
Mesi dopo l'avvio dell'inchiesta, il 31 gennaio 2019 la fondazione ha quindi registrato un nuovo statuto. Quel giorno, davanti a un notaio di Meda in Brianza, si sono presentati come soci fondatori il presidente Emanuele Fusi, Luca Volontè nonostante fosse indagato e altri esponenti della destra cattolica come Gianfranco Amato, Flavio Felice, Giuseppe Zola e Nicola Abalsamo. Passano due anni e l'11 gennaio 2021 Volontè è stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione per corruzione internazionale, insieme con gli imputati azeri Elkhan Suleymanov e Muslum Mammadov. Sul totale di bonifici pagati dall'Azerbaigian all'ex parlamentare, il Tribunale di Milano ha riconosciuto tre tangenti per una somma complessiva di cinquecentomila euro, mentre ha assolto gli imputati per gli altri diciotto versamenti.
Il dossier, che denunciava la corruzione del politico italiano e di altri colleghi ai danni di una delle istituzioni più prestigiose di Strasburgo, è ovviamente pubblico e si può leggere tuttora su Internet con i riferimenti alla fondazione di Emanuele Fusi. La foto di Luca Volontè al Congresso mondiale delle famiglie, a Salt Lake City negli Stati Uniti nel 2015, apre tuttora la homepage di Novae Terrae. Goma però non è Strasburgo. E tanto meno Kinshasa. Il potere centrale del presidente Félix Tshisekedi è lontano duemilacinquecento chilometri di foresta equatoriale. E la crisi civile, militare e umanitaria nella regione dal Nord al Sud Kivu, ricca di acqua, vegetazione e risorse minerarie, è aggravata dallo stallo tra la maggioranza che ha vinto le ultime elezioni e l'opposizione di Joseph Kabila, l'ex presidente al potere dal 2001 al 2019.
Nel vuoto amministrativo, l'autorità a Goma continua a reggersi su un gioco di specchi in cui il disordine pubblico, le bande armate, il traffico di bambini, il loro sfruttamento nell'estrazione dei minerali e l'esportazione illegale di cobalto, coltan e legname sono espressione dello stesso potere locale.
AMICI FRATERNI DA QUINDICI ANNI
Emanuele Fusi e Luca Attanasio erano amici fraterni da quindici anni. Lo dimostrano le tante fotografie sulle pagine Facebook e i messaggi di affetto tra le due famiglie. Quando il 6 novembre scorso l'ambasciatore ha pubblicato il bando di gara per l'acquisto di un fuoristrada/suv con un livello di blindatura VR6, uscita di emergenza dal tettuccio, aspiratore antifumo e un sistema di erogazione dell'aria fresca in caso di emergenza, l'offerta migliore di 205 mila euro è stata presentata dalla “Gruppo Effe srl”, una ditta che commercia auto a Barlassina vicino a Meda, di proprietà di Mitzi Mascheroni, 50 anni, moglie di Emanuele Fusi.
La Gruppo Effe e Mitzi Mascheroni sono a loro volta formalmente titolari della società mineraria CDN-Compagnia del Nord, di cui Fusi è amministratore unico dal 2004, anche se su Linkedin si presenta come presidente. Dal suo sito, oltre che nella Repubblica Democratica del Congo, l'impresa dichiara di operare in Azerbaigian, Albania, Marocco, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Nigeria, Sudan, Venezuela e Uruguay. E di rispettare l'ambiente, i diritti dei lavoratori e la tutela della salute sui luoghi di lavoro. Non si conoscono però i singoli contratti: «Per motivi legati alla privacy ed al rispetto dei non-disclosure-agreement in essere», spiega la società, «non possiamo pubblicare i nomi delle compagnie e dei governi con i quali abbiamo in corso degli accordi».
L'amicizia fraterna e sincera di un imprenditore minerario, che con Novae Terrae sta ora partecipando alla campagna per la libertà di religione in Sudan; il progetto del nuovo consolato a Goma; i colloqui tra il presidente Tshisekedi e l'italiana Eni per le concessioni nella regione orientale; gli ottimi rapporti dell'ambasciatore con il governo centrale: tutto questo, nelle menti sanguinarie dei signori della guerra e nel precario equilibrio che regola il gioco di specchi in Congo potrebbe essere stato mal interpretato.
LA VOCE MISTERIOSA
La versione ufficiale dell'autorità giudiziaria locale, il grande buco nero dentro cui secondo i rapporti delle Nazioni Unite spariscono ogni anno i destini di centinaia di innocenti, accusa un giorno i ribelli hutu, un altro le bande di rapinatori. Ma resta da spiegare perché nel breve inseguimento nella boscaglia, a soli venticinque chilometri da Goma, l'esercito regolare e i ranger del parco dei Virunga abbiano colpito a morte due ostaggi su due, facilmente distinguibili dal colore della loro pelle, e nemmeno uno dei sequestratori. Forse la pista da seguire è davvero il tweet sull'attacco mirato che, come fa notare l'intelligence italiana nel suo rapporto al governo, il ministero dell'Interno congolese ha pubblicato dopo l'imboscata e subito cancellato. In questa terra di tenebre, una misteriosa voce da Kinshasa voleva probabilmente far sapere che da quel viaggio Luca Attanasio e il suo seguito non dovevano più tornare. E la notizia che il convoglio fosse senza scorta militare ha reso molto più facile l'operazione.