Inchiesta

I segreti dell’impero Ferragnez: dall’autocensura d’oro di Fedez agli strani rialzi in Borsa delle società che ingaggiano Chiara Ferragni

di Vittorio Malagutti e Carlo Tecce   27 maggio 2021

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Il rapper è in affari con una società di consulenza, ma non può criticare le banche. Mentre sua moglie firma accordi con case di moda che finiscono al centro di manovre sospette sul mercato azionario

Fedez contro Fedez. Il Fedez che denuncia via Instagram la censura della Rai al concertone del primo maggio - «Quindi io non posso salire sul palco e dire quello che voglio?» - e l’altro Fedez, l’uomo d’affari che per salvare un business milionario accetta di non «rilasciare dichiarazioni inerenti al settore bancario assicurativo». È scritto proprio così in una delle clausole del contratto che regola i rapporti tra l’artista e i suoi soci del gruppo Be, quelli che gli hanno finanziato la neonata società Dream of Ordinary Madness, in sigla Doom, e gli hanno staccato un biglietto di benvenuto, appena firmato l’accordo, di 1,8 milioni di euro.


«Quindi io non posso salire sul palco e dire quello che voglio?». E no. Mai citare le magagne bancarie o assicurative e neppure quelle di Amazon che guadagna miliardi e sposta i profitti in Lussemburgo per pagare meno tasse. Fedez non può permettersi di criticare le politiche sindacali e fiscali della multinazionale americana di Jeff Bezos perché ne è diventato “ambasciatore” per 800 mila euro e con la moglie Chiara Ferragni è impegnato nella registrazione del documentario “The Ferragnez” per Prime Video di Amazon. Un progetto inedito che manderà sul web i momenti salienti della vita privata e professionale di Fedez. Anche quando il rapper si censura da solo. “The Ferragnez”, scena uno. Ciak, si gira! Ecco i loro segreti, che L’Espresso è in grado di raccontare grazie anche a documenti esclusivi.

FATTI MANDARE DALLA MAMMA
Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, gestisce le sue molteplici attività per il tramite della holding Zedef, controllata assieme al padre Franco Lucia e alla madre Annamaria Berrinzaghi. Ha provato il trasporto di lusso con Autoscontri. Ha investito in Zerogrado, un’azienda trevigiana, per procacciarsi adepti su Facebook. Ha costruito e poi interrotto in Newtopia il sodalizio discografico col collega rapper J-Ax. Finché si è consegnato, un anno fa, al gruppo Be: sede legale a Roma, uffici a Milano, Londra e in altre capitali europee, 179 milioni di ricavi di cui 122 da banche e 45 da assicurazioni, 8 milioni di utili, 60 milioni in cassa, 1.448 dipendenti. Il primo azionista del gruppo è la Tamburi investment partners del finanziere Giovanni Tamburi con il 27,5 per cento del capitale, segue la famiglia dell’amministratore delegato Stefano Achermann con il 12,8 per cento.


Il gruppo Be si muove in un mercato europeo in forte crescita e maneggia dati sensibili: fa consulenza a grandi istituti finanziari per le piattaforme informatiche e la comunicazione digitale e cercava un volto popolare per avvicinare banche e assicurazioni, cioè i suoi clienti, al pubblico dei giovani. Il cantante Fedez, invece, aveva bisogno di una multinazionale solida e in espansione per allargare il giro d’affari garantito dal suo volto popolare e dalla sua fama di influencer. Così, ad aprile dell’anno scorso, è nata Doom: maggioranza al gruppo Be attraverso la holding Be shaping the future e una quota del 49 per cento al rapper col veicolo Zdf. Alla firma del contratto, Fedez con mamma e papà ha incassato 1,8 milioni di euro e la signora Berrinzaghi è stata nominata amministratore delegato con un compenso annuale di 130.000 euro.


Il gruppo Be è di fatto proprietario dell’immagine di Fedez e, come si legge nel verbale del consiglio d’amministrazione dell’11 dicembre 2020, la spreme in tre modi. Primo: «strutturazione commerciale del talent (sarebbe Fedez) più rilevante in portafoglio». Secondo: «crescita dei progetti di comunicazione integrata». Significa che Fedez e altri artisti, sportivi e influencer, sono coinvolti nelle pubblicità delle banche. Terzo: «avvio della società discografica Doom». Questa nota fa comprendere come funziona l’ecosistema plasmato dal gruppo Be: Doom svezza, alleva e promuove personaggi famosi, meglio se cantanti, e poi li propone come servizio aggiuntivo agli istituti bancari e assicurativi. Il 18 ottobre 2020, per esempio, Fedez era “ospite di eccezione” a “Lunghezza d’onda”, un concerto trasmesso unicamente su Youtube. “Lunghezza d’onda” era organizzato da Doom per Banca Mediolanum e Mastercard: Lodovica Comello in conduzione affiancata da Fedez, Matteo Bruno, detto Cane secco e Mirko Alessandrini, detto Cicciogamer89. Un paio di canzoni per Marracash e Madame. Mediolanum ha allestito la serata per piantare 7.000 alberi in Guatemala, anche se forse al nord di Milano ce n’è più bisogno. In realtà “Lunghezza d’onda” è stato un espediente per far conoscere ai ragazzi il conto Flowe che propone una carta in legno. E dunque qualche albero, magari non in Guatemala né a nord di Milano, va abbattuto per fare le carte.

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Un mese dopo, il 22 novembre 2020, visibilmente emozionato, Fedez ha chiamato a raccolta i suoi seguaci o followers per incitarli ad assistere l’indomani al concorso canoro “Dream Hit”: «Potrebbe essere un nuovo archetipo». Fedez ha omesso alcuni particolari essenziali: “Dream Hit” era un evento pubblicitario di Intesa ideato da Doom, tant’è che si doveva accedere ai canali della banca per ascoltare la musica e palpitare per la gara. Il 13 dicembre si è disputata la finale con in giuria Beba, Myss Keta, Carl Brave, Boss Doms, Jo Squillo, Lodo Guenzi. Ha vinto il giovane rapper Paulo, che si è conquistato anche un biennale con una casa discografia molto promettente. La Doom, ovvio. Il sistema, anzi l’ecosistema, è virtuoso.


Nel 2020, in otto mesi d’attività, la società di Fedez e Be ha fatturato 8 milioni di euro di cui uno da Mastercard e quest’anno prevede di incassarne almeno il doppio grazie a clienti come Banca Intesa, Unicredit, Credit Agricolé, Skingood (integratori alimentari vegani), Dofar (farmacia digitale per malati cronici), Foodspring (prodotti per diete), Layla (smalto, già c’è una serie griffata Fedez), Hellobody (cura pelle e capelli).

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Nel contratto che regola i rapporti tra i due soci di Doom è prevista un’opzione di “put and call” a favore di Be. In pratica, a scadenze predeterminate, nel 2025 e nel 2027, la società guidata da Ackermann potrà decidere se disimpegnarsi oppure rilevare la quota di proprietà di Fedez e famiglia. Ma a scanso di soprese e di imbarazzi con i suoi clienti nel mondo finanziario, c’è anche una clausola che consente al gruppo Be di sciogliere l’alleanza se il rapper dovesse fare «dichiarazioni inerenti al settore bancario e assicurativo che cagionino un danno alla società». Questo è quanto si legge nel verbale del consiglio di amministrazione di Be del 7 febbraio 2020, quando l’amministratore delegato Achermann ha illustrato agli altri membri del Cda il contenuto del patto che ha dato vita a Doom. Questa volta, però, Fedez non si è immolato per la libertà di pensiero come ha fatto un mese fa con la Rai per l’intervento sul disegno di legge Zan contro le discriminazioni di genere. Il rapper dovrà girare al largo da banche e assicurazioni, argomenti che potrebbero mettere a rischio il portafoglio di famiglia. Ad aprile dell’anno scorso, nel consiglio di Be hanno esordito alcuni nuovi amministratori, tra cui l’economista Lucrezia Reichlin e Anna Maria Tarantola già capo della vigilanza di Bankitalia nonché ex presidente Rai. E chissà che cosa ne pensa la cattolicissima Tarantola, a capo della fondazione pontificia Centesimus annus, del disegno di legge che porta il nome del deputato dem Alessandro Zan.

PIÙ CHIARA DI COSÌ
Se il marito cantante si trova costretto ad aggirare gli scogli delle censure vere o presunte, Chiara Ferragni si tiene a distanza dalle polemiche e macina profitti sospinta da un esercito di oltre 23 milioni di follower. I bilanci del 2019, gli ultimi pubblicati dalle società dell’influencer, raccontano di ricavi per 6,4 milioni con utili per 450 mila euro per Tbs Crew, che gestisce il marchio The Blond Salad. Sisterhood, invece, a cui fanno capo le campagne pubblicitarie, è arrivata addirittura a 5 milioni di profitti su 11 milioni di giro d’affari. Ben più problematica si è rivelata la gestione di Fenice, che incassa royalties dal marchio “Chiara Ferragni”. Nel 2019, la società ha perso mezzo milione, quasi la metà dei ricavi. Un imprevisto che ha causato la rottura con il socio Pasquale Morgese, licenziatario del marchio Chiara Ferragni. Morgese però al momento risulta ancora azionista di Fenice e anche di Tbs Crew. Prosegue senza intoppi, invece, l’alleanza tra l’influencer e il coetaneo Paolo Barletta, presidente di Fenice di cui è azionista con una quota del 40 per cento. Rampollo di una famiglia di costruttori, romano con eccellenti entrature nella romanità, Barletta, assistito per l’occasione dallo studio Previti dell’ex ministro berlusconiano, ha aperto alla famiglia Bulgari il capitale della sua holding Alchimia, nel cui consiglio di amministrazione siede Lucrezia Bisignani, figlia del faccendiere Luigi.

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Ai primi di aprile ha fatto notizia l’ingresso di Chiara Ferragni nel consiglio di amministrazione di Tod’s, una delle aziende più note della moda made in Italy. «Ci aiuterà a studiare progetti solidali, ecosostenibili e di welfare», ha spiegato il patron del gruppo, Diego Della Valle. Si vedrà in futuro quale potrà essere, nel concreto, il valore di queste iniziative sui conti aziendali. Intanto però, in Borsa, la notizia del nuovo incarico per l’influencer ha fatto guadagnare il 14 per cento in un solo giorno al titolo Tod’s. «È l’effetto Ferragni», scrivono giornali e siti web, il tocco magico della star dei social che scatena la fantasia degli investitori. La fama digitale moltiplica il pubblico dei potenziali consumatori e le celebrità del web servono ad amplificare la forza di un marchio. In Borsa lo hanno capito da un pezzo e quindi cavalcano ogni iniziativa della diva di Instagram. Che intanto, però, ha fatto il salto di qualità, trasformando sé stessa in un brand. Anzi, meglio ancora, la sua immagine riprodotta milioni di volte al giorno attraverso i vari canali social è diventata l’icona di uno stile di vita che serve a promuovere i prodotti più diversi, dall’intimo ai costumi di bagno, fino alle scarpe e agli accessori. Ma la pubblicità non basta. La blogger diventa stilista e sigla accordi con le aziende di moda. Sono affari che muovono milioni molto prima che un solo abito finisca in vetrina.


FURBETTI IN BORSA
È successo di recente con Monnalisa, azienda toscana che venderà su licenza abbigliamento per neonati e bambini con il marchio Chiara Ferragni, che da tempo ha lanciato sui social i suoi due bebè come testimonial a loro insaputa. La notizia dell’accordo è diventata di dominio pubblico lunedì 23 novembre, grazie a un comunicato stampa della società, da due anni quotata sul listino Aim, quello dedicato alle piccole e medie imprese. Nel giro di pochi minuti il titolo Monnalisa è stato travolto dagli ordini di acquisto. Nei due giorni successivi il rialzo ha superato il 70 per cento e il valore dell’azienda in Borsa è passato da 17 a 30 milioni. La vicenda però ha un antefatto fin qui sconosciuto. I dati pubblici di Borsa segnalano che la reazione del mercato azionario non coincide con l’annuncio del nuovo contratto, ma lo anticipa almeno di una settimana.

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Nelle cinque sedute comprese tra venerdì 13 novembre e il giovedì successivo, alla vigilia del comunicato ufficiale, la quotazione di Monnalisa è cresciuta del 50 per cento circa e in quegli stessi giorni c’è stato anche un boom degli scambi, aumentati di oltre cento volte rispetto alla media del mese precedente. Questi numeri alimentano il sospetto che qualcuno a conoscenza dell’imminente annuncio si sia mosso in anticipo rastrellando titoli Monnalisa per poi rivenderli sull’onda del rialzo innescato dall’effetto Ferragni. Un affare semplice, con un guadagno assicurato: la quotazione è passata dai 2,32 euro di lunedì 16 novembre, quando la notizia del prossimo accordo era ignota al pubblico degli investitori, fino ai 5,70 euro di martedì 24 novembre. Un rialzo del 145 per cento in poco più di una settimana. Non risulta che la Consob abbia avviato un’indagine su un possibile caso di insider trading, cioè l’abuso di informazioni riservate, che è un reato. Sorprende però notare che un copione simile è andato in scena anche per Aeffe, l’azienda di moda controllata dalla famiglia Ferretti che proprio negli stessi giorni ha siglato un accordo di licenza con la metà femminile dei Ferragnez.

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L’intesa è stata annunciata il 25 novembre, ma il rialzo dei titoli Aeffe, quotata sul listino principale della Borsa, era partito almeno un paio di settimane prima. Sui Ferragnez, però, non soltanto sul mercato azionario, continuano a scommettere in molti. Perché ogni indumento, ogni accessorio, ogni discorso, ogni filmato di Fedez e Ferragni serve a promuovere un prodotto. Si muovono come due immensi centri commerciali ben distinti. Per una volta, però, hanno preferito unirsi. Con il documentario “The Ferragnez” per Prime Video di Amazon: telecamere ovunque in salotto e in ufficio, con i soci e con i figli. Doom fattura per Fedez, Ferragni incassa per conto suo, e anche Vodafone, secondo i documenti visionati, sarebbe interessata a partecipare all’iniziativa. «Quindi io non posso salire sul palco e dire quello che voglio?». E no. Adesso si capisce la collera di Fedez: oltre a discettare sul meteo, può dire quello che vuole solo sul disegno di legge Zan e poi farsi riprendere con moglie e i figli 24 ore su 24.