Chiesa e affari
Il Vaticano ci ripensa: gli ospedali non si vendono più
Le manovre intorno al Fatebenefratelli preda del duo Ghribi-Alfano, alla testa del gruppo San Donato, cambia le strategie della Santa Sede. Che ora punta a una riforma della gestione degli ordini
La Santa Sede ha deciso di togliere dal mercato i suoi asset sanitari, preziose strutture disseminate in tutto il territorio nazionale, gestite da enti e ordini religiosi, un tempo eccellenze in campo medico e assistenziale, trasformatesi in pozzi debitori senza fine.
Una decisione maturata dopo aver assistito al tentativo del gruppo San Donato, capitanato dalla coppia composta dall’imprenditore tunisino con passaporto svizzero Kamel Ghribi e dall’ex ministro Angelino Alfano, di acquisire il Fatebenefratelli di Roma, sull’Isola Tiberina. Un ospedale centrale nella gestione della sanità romana e simbolicamente importante per la storia della città. Un affare che il gruppo privato aveva pianificato con il benestare dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, che gestisce la struttura. A curare la trattativa per conto dei religiosi, lo studio legale Bonelli Erede Pappalardo di Milano. Studio prestigioso, di validissimi professionisti che annovera lo stesso Angelino Alfano tra i soci. L’ex ministro ha recitato così due parti in commedia: da un lato nel board della holding della famiglia Rotelli, possibile acquirente del nosocomio, e dell’altro avvocato della parte cedente. Da quanto si apprende in Vaticano, è stato sufficiente rilevare il conflitto di interessi per indurre le autorità della Santa Sede a commissariare l’ordine religioso.
Le porte al duo Alfano-Ghribi sarebbero state chiuse anche per evitare che un unico soggetto arrivasse in poco tempo ad avere una posizione dominante in un campo, quello della sanità, fondamentale anche nella definizione di equilibri geopolitici.
Pesa il ruolo di Kamel Ghribi, il cui patrimonio (qualcuno parla di 14 miliardi di euro), è tuttora incerto. Proviene dalla permuta dei fondi libici che si è trovato a gestire dopo la caduta di Gheddafi. Ghribi ha investito negli asset sanitari, muovendosi nello scacchiere finanziario come una sorta di ambasciatore ombra di Libia, Qatar e Tunisia.
Di recente ha fatto da guida alla ministra degli Esteri libica Najla el Mangoush, comparendo anche in numerosi scatti assieme al ministro Luigi Di Maio.
Anche grazie ai buoni uffici di Ghribi, costantemente, molti militari libici sono stati assistiti nel nostro Paese, negli ospedali del gruppo San Donato e di Italcliniche. Flussi alimentati dalle relazioni di Ghribi. Rapporti, alleanze, scambi di favori che avvengono sul territorio italiano ma che puntano a rinsaldare le intese nell’area mediorientale con piani di investimento del gruppo San Donato in Qatar e in Arabia Saudita. In Libia le aspettative di un massiccio intervento nella ricostruzione sono appese al ritorno al governo di un pezzo della classe politica libica vicina a Gheddafi, come l’attuale primo ministro Abdul Dbeibeh, imprenditore di Misurata e sodale di Ghribi. Promesse rinsaldate in occasione della visita romana di Dbeibeh.
La campagna di acquisizioni del gruppo milanese oltre al Fatebenefratelli riguarda anche altre importanti strutture capitoline come il policlinico Gemelli, l’Idi, la Villa Albani di Anzio e l’Istituto di ricerca clinica Santa Lucia, rimasto orfano del suo storico proprietario e direttore generale Luigi Amodio e ora guidato dalla sorella, Maria Adriana, e dal nipote Edoardo Alesse. Un disegno di acquisizioni per cui è stata già immaginata una governance.
Per il gruppo San Donato, Roma non è solo terreno di caccia della sanità sotto l’egida religiosa, ma può divenire il luogo dell’alleanza con la famiglia Angelucci, divisa tra sanità privata romana ed editoria con Il Tempo e Libero.
Dopo aver annunciato un piano di ammodernamento delle proprie testate col gruppo Tosinvest, il gruppo Angelucci starebbe progettando la scalata al Corriere della Sera, complice la sconfitta di Rcs nella controversia sul prezzo di vendita all’americana Blackstone della sede storica di via Solferino. Una grana che rischia di costare cara all’editore del Corriere, Urbano Cairo, su cui pende una richiesta di risarcimento da 600 milioni di euro.
Nella partita per il controllo del quotidiano, il gruppo Rotelli garantirebbe oltre che una pioggia di denaro anche il radicamento milanese dell’acquisizione, aprendo nuovi orizzonti per alleanze in campo sanitario.
L’attivismo si dispiega in più ambiti. Anche geografici. In Puglia, a San Giovanni Rotondo, la Casa sollievo della sofferenza, creata da Padre Pio vive un futuro incerto per la situazione debitoria che ha portato all’insediamento dei commissari Gino Gumirato, Angelo Danese e Piero Grassi. I tre non hanno ancora preso alcuna decisione per segnare una discontinuità col recente passato. Ma intanto, prima dell’insediamento dei commissari, la direzione sanitaria si è prodotta in una infornata di nomine, promuovendo a ruoli apicali medici con titoli a dir poco dubbi.
Sul destino della Casa il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano è intenzionato a giocare un ruolo. Dietro ai suoi molti «sulla questione c’è massimo riserbo» si cela infatti la tentazione di utilizzare la questione del contenzioso sui crediti sanitari non ancora rimborsati per acquisire la struttura. In questo modo in una sola mossa l’ospedale sarebbe tolto dal mercato e dalla gestione della Santa Sede. Il Vaticano, del resto, si è smarcato dal governatore e dal gruppo San Donato, respingendo al mittente l’acquisto totale del debito da parte di Ghribi e soci e riaffermando la volontà di non marginalizzare la struttura che soffre la concorrenza degli ospedali Riuniti di Foggia.
Una partita nella quale entrano anche le indagini della magistratura su presunte infiltrazioni mafiose nel nosocomio, sotto forma di finanziamenti non tracciati alla struttura immaginata da Padre Pio. L’operazione ruota intorno a Carmela Lascala, la donna di Manfredonia che avrebbe proposto a diversi dirigenti della struttura ospedaliera ingenti somme di denaro liquido per salvare l’ospedale a patto di non cederlo a terzi.
Sospetti che hanno contribuito a convincere la Santa Sede della necessità di porre mano a una riforma radicale della sanità religiosa, ultimo pezzo di un indotto enorme rimasto per troppo tempo fuori controllo.
Gli ordini religiosi che gestiscono gli ospedali non sono sottoposti al momento a nessun regolamentazione etica interna circa la natura degli investimenti, la partecipazione di soggetti terzi alla vita aziendale e all’eticità delle donazioni ricevute. Non esiste nessun ente di controllo centralizzato della spesa e dei rimborsi richiesti alle istituzioni regionali. Un regime non più tollerabile per il Vaticano. Una volta completata la riforma della giustizia vaticana, si concentrerà sulla stabilizzazione dell’ingente patrimonio sanitario che nel corso dei decenni ha goduto di agevolazioni da parte dello Stato italiano e che rappresenta una bomba ad orologeria.
Ciclicamente, infatti, si aprono nuove crisi occupazionali arginate con interventi improvvisati. Con il rischio di fare ponti d’oro ad avventurieri in cerca di asset da utilizzare come vettori di capitali, salvo poi disinvestire alla prima occasione utile. L’emergenza Covid-19 ha portato con drammatica urgenza anche in Segreteria di Stato il tema globale della sostenibilità della spesa medica, affidata al controllo di vescovi e ordini religiosi con una una gestione economica indiretta della Santa Sede. Un comparto che nel corso degli ultimi anni ha generato enormi sacche di sperpero.
Sarebbe allo studio la creazione di una cabina di regia per censire le aree di crisi e proporre delle soluzioni compatibili con il mandato politico di papa Francesco che ha sempre messo al centro del suo magistero la cura dei fragili, dei vulnerabili e l’idea di una sanità accogliente e non speculativa. Come scrisse nel dicembre del 2018 per la Giornata internazionale del malato, «occorre preservare gli ospedali cattolici dal rischio dell’aziendalismo, che in tutto il mondo cerca di far entrare la cura della salute nell’ambito del mercato, finendo per scartare i poveri».
Chissà se Bergoglio riuscirà nell’impresa di rendere la sanità vaticana efficiente, arginando le speculazioni e gli interessi geopolitici che dopo la pandemia passano sempre di più per corsie e camici bianchi.