Personaggi

Carriera e affari di Enrico Laghi, il consulente pigliatutto della finanza, arrestato per corruzione nell’indagine sull’Ilva

di Vittorio Malagutti   27 settembre 2021

  • linkedintwitterfacebook

Professionista di fiducia di grandi gruppi, da Benetton a Caltagirone, il professore romano è al centro di una ragnatela fittissima di interessi e di incarichi. Compreso quello di commissario nell’acciaieria in crisi su cui da tempo indaga la procura di Potenza, che lo accusa di corruzione in atti giudiziari

Enrico Laghi, consulente del governo e di grandi nomi del capitalismo nazionale, da Benetton a Caltagirone, è stato arrestato con l’accusa di concorso in corruzione in atti giudiziari. L’ordinanza di custodia ai domiciliari è stata eseguita su richiesta della procura di Potenza, che da tempo indaga sulla gestione dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Laghi è stato commissario della grande acciaieria in crisi tra il gennaio 2015, nominato dal governo di Matteo Renzi, fino ad aprile del 2019. Secondo le accuse dei magistrati, il commercialista romano avrebbe partecipato, insieme, tra gli altri, all’avvocato Piero Amara e al manager Nicola Nicoletti, entrambi consulenti di Ilva, a un patto corruttivo con scambi di favori e utilità conn l’obiettivo di ammorbidire l’allora procuratore capo di Taranto, Carlo Maria Capristo, chiamato a indagare su numerose vicende riguardanti il gruppo siderurgico.

Crisi senza fine
Ilva, ecco perché rischia di saltare il salvataggio miliardario a spese dello Stato. Tra veleni, liti e conti in rosso
11/6/2021

Capristo, Nicoletti e Amara, insieme all’ex poliziotto Filippo Paradiso erano già stati arrestati a giugno.

Dalle carte dell’inchiesta emergeva già all’epoca il ruolo centrale di Laghi, che secondo i magistrati avrebbe goduto dell’atteggiamento favorevole di Capristo verso l’Ilva per accreditarsi nei confronti del Governo come l’uomo capace di attutire l’impatto di enormi problemi giudiziari sull’acciaieria di Taranto. La corruzione si sarebbe concretizzata anche con l’attribuzione di incarichi di consulenza legale a persone indicate dal procuratore di Taranto. Da commissario straordinario Laghi aveva gestito la tormentata procedura che nel 2018 consegnò ad Arcelor Mittal la gestione di Taranto.

Nell’arco di quattro anni, come risulta dagli atti giudiziari, Laghi ha partecipato più volte a riunioni in procura a Taranto per esaminare un possibile patteggiamento di Ilva in amministrazione straordinaria nelle inchieste in corso su reati ambientali. Quello dell’acciaieria era però solo uno dei numerosi dossier che negli anni il professionista romano si è trovato a gestire.

Stimato ovunque, lavoratore bulimico, abile tessitore di relazioni ad altissimo livello, Laghi, 51 anni, romano e romanista, ordinario di Economia aziendale all’università La Sapienza, nell’arco di un ventennio è diventato l’uomo dappertutto in un sistema di potere che unisce la finanza milanese con i palazzi del potere (e i salotti) della capitale. Il suo curriculum gronda dei marchi più svariati, molti a controllo pubblico, ma non solo: Snam, Rai, Pirelli e Telecom ai tempi di Marco Tronchetti Provera. E poi Unicredit, Ilva, Alitalia, Air Italy, la ex Meridiana dell’Aga Khan di cui è liquidatore. Così, quando a fine novembre 2020 è arrivata l’ennesima nomina di una collezione già ricchissima, nessuno si è sorpreso più di tanto.

I Benetton cercavano un consulente d’alto bordo in grado di guidarli in tempi brevi verso un accordo con il governo nell’estenuante negoziato su Autostrade, che tra gaffe e giravolte di ogni tipo si è trascinato dalla gestione di Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture nel Conte Uno a quella di Paola De Micheli (Conte bis). Laghi, che conosce bene segreti e liturgie della politica sin dai tempi della sua antica militanza nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana, poteva sfoggiare referenze di peso. Sono ottimi i rapporti con Paola Severino, già Guardasigilli nell’esecutivo di Mario Monti e ora legale dell’ex amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, indagato dalla procura di Genova. E poi, grazie ai molti dossier finanziari gestiti in comune, Laghi vanta anche una lunga consuetudine di lavoro in comune con Sergio Erede e Francesco Gianni, avvocati d’affari di gran fama, entrambi ascoltati consulenti della famiglia veneta. Va detto che il professore romano non è certo uno sconosciuto neppure per i Benetton, se non altro per la comune frequentazione di Cortina D’Ampezzo, dove è di casa anche Paola Severino.

Affare fatto, dunque. Laghi è stato designato alla presidenza di Edizione, la holding che tira le fila di un impero che va dal marchio degli United Colors fino alla gestione dell’aeroporto di Fiumicino. Una poltrona di gran peso, una delle tante. Nel suo nuovo ruolo il professionista romano, con studio nella centralissima via del Corso, è stato chiamato a gestire l’ennesima partita miliardaria, crocevia di interessi economici e di appetiti politici. In questa girandola di incarichi, poltrone e consulenze, si corre il rischio concreto di perdere il filo. O magari d’incappare in qualche incidente di percorso. Con gli anni, però, Laghi sembra aver sviluppato doti fenomenali da equilibrista, sempre sull’orlo del conflitto d’interessi. Un rischio quasi inevitabile per chi si trova a interpretare innumerevoli parti in commedia. Esemplare il caso della Vianini lavori di Francesco Gaetano Caltagirone, di cui è fidatissimo consulente da almeno tre lustri. Nel 2016 è stato proprio Laghi a certificare la congruità del prezzo offerto dallo stesso Caltagirone nell’Opa sui titoli della Vianini. A sorpresa, gli amministratori indipendenti scelsero proprio lui, a libro paga del socio di controllo, per valutare l’offerta.

Tutto legale, per carità, con tanto di via libera delle autorità di controllo. Per stroncare ogni sospetto di conflitto d’interessi, la Consob si è accontentata di una nota in cui il professionista ribadiva che i compensi percepiti per l’incarico affidatogli dagli amministratori indipendenti non erano di entità tale da mettere in discussione la sua indipendenza.

Per via del crack dell’Alitalia, quella nata nel 2014 con gli arabi di Etihad come soci, il nome del commercialista romano è invece finito, da indagato, nelle carte dell’inchiesta giudiziaria per bancarotta aperta dalla procura di Civitavecchia. Laghi era presidente di Midco, la holding delle banche e dei soci italiani che possedeva il 51 per cento della ex compagnia di bandiera. A maggio 2017 arriva il fallimento, ma di lì a pochi giorni l’amministratore di fiducia dei vecchi azionisti è di nuovo in sella, questa volta come commissario dell’Alitalia in amministrazione straordinaria insieme a Stefano Paleari e Daniele Discepolo, poi sostituito da Luigi Gubitosi. La nomina di Laghi venne decisa da Carlo Calenda, all’epoca ministro dell’Economia nel governo di Paolo Gentiloni. Una scelta piuttosto singolare, se si considera che il commissario dovrebbe garantire la massima indipendenza nei confronti della precedente fallimentare gestione. Il 20 novembre la procura di Civitavecchia ha chiesto l’archiviazione per Laghi e altri indagati. Non è da escludere, però, che il giudice per le indagini preliminari decida il trasferimento a Roma, per competenza, della posizione del neopresidente della holding dei Benetton.

Intanto, dalle carte dell’inchiesta emerge chiaro il ruolo dei tanti consulenti chiamati al capezzale della compagnia in amministrazione straordinaria. È un parterre affollato dove ricorrono alcuni nomi che accompagnano da anni la fortunata carriera di Laghi. C’è per esempio la già citata Severino, che nel 2017 è stata incaricata dai commissari dell’Alitalia fallita di gestire gli aspetti penali della vicenda. Due anni prima, l’ex Guardasigilli, che in veste di ministro era intervenuta nelle vicende giudiziarie dell’acciaieria di Taranto, era stata invece ingaggiata dall’Ilva in amministrazione straordinaria. Anche in quest’ultimo caso, nella terna dei commissari nominati dal governo troviamo Laghi. Il quale, a ben guardare, può vantare un rapporto consolidato anche con Andrea Zoppini, avvocato romano che nell’arco di almeno un decennio si è costruito una solida reputazione nelle stanze del potere romano, dai ministeri alle grandi imprese a controllo pubblico.

Nel 2011 Zoppini venne chiamato al governo da Mario Monti come sottosegretario alla Giustizia con il ministro Severino (ancora lei), ma lasciò l’incarico anzitempo per via di un’indagine per frode fiscale su una parcella pagata in Lussemburgo. L’incidente si è chiuso con un’archiviazione e la carriera dell’ex sottosegretario ha finito per incrociare in molte occasioni quella di Laghi. Si comincia da Alitalia, che ai tempi della gestione commissariale ha ingaggiato come consulente anche Zoppini. Stesso discorso per Ilva in amministrazione straordinaria: Laghi commissario e Zoppini legale della procedura. Più di recente, nel concordato del gruppo Sangemini, quello delle acque minerali, l’azienda ha affidato a Zoppini il coordinamento dei propri consulenti, tra i quali compare anche Laghi. Missione compiuta: il tribunale di Milano ha dato via libera alla procedura nel marzo di quest’anno.

Nel giugno del 2019 i Gavio hanno invece annunciato il riassetto delle holding a cui fanno capo le attività di famiglia nella gestione delle autostrade, dalla Milano-Torino a quelle in Piemonte e Liguria. Ebbene, anche su questo dossier Laghi e Zoppini lavorano insieme. Così come entrambi si sono occupati del salvataggio di Trevi, grande azienda romagnola specializzata in grandi opere. Il gruppo, che è quotato in Borsa, ha evitato il fallimento grazie all’intervento della mano pubblica, con Cassa depositi e prestiti, e del fondo internazionale Polaris. La ristrutturazione è passata attraverso un accordo con i creditori, omologato dal Tribunale di Forlì, con Zoppini nel ruolo di avvocato dell’azienda e Laghi incaricato di valutare la bontà del piano.

Non tutto è andato liscio. In prima battuta i giudici avevano negato il via libera a causa di un a presunto «difetto d’indipendenza» di Laghi, che figurava tra i consulenti, con relativa parcella, della holding del gruppo, la Trevi finanziaria. Nel gennaio scorso, la Corte d’appello di Bologna ha però accolto il ricorso della società e il piano è stato infine omologato. Tutto regolare, quindi. Strada spianata, ancora una volta, per il professore della Sapienza, cresciuto alla scuola di Pellegrino Capaldo, il cattedratico e banchiere che negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso è stato uno dei grandi registi del potere finanziario nazionale.

La pronuncia finale su Trevi risale al gennaio scorso. In quel periodo tra tanti altri impegni Laghi era alle prese anche con un altro dossier miliardario. Un affare di famiglia, perché gli eredi di Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga, avevano affidato a una terna di arbitri il compito di fissare quale fosse il prezzo giusto per la vendita della quota del 30 per cento di proprietà di Giuseppe e Violetta, figli di primo letto dell’imprenditore scomparso nel 2016. Il collegio presieduto dal professionista romano, con Gualtiero Brugger e Mario Cattaneo, a marzo ha trovato l’accordo su un valore di 6,1 miliardi per il colosso della grande distribuzione. Sulla base di questa valutazione il 30 per cento è stato ceduto alla vedova Giuliana Albera e a sua figlia Marina, già proprietarie del residuo 70 per cento. Resta riservato il valore del compenso destinato agli arbitri. Un milione ciascuno, forse di più. Queste le cifre che circolano negli ambienti finanziari. Una ricca parcella che va a sommarsi alla lunga lista dei proventi delle molteplici attività professionali dell’attivissimo Laghi. Tra queste, per esempio, la stesura l’anno scorso del piano per il concordato del gruppo romano Astaldi, con un onorario, al netto dell’Iva, di 2 milioni di euro.

All’elenco vanno infine aggiunti i compensi per gli incarichi in società quotate in Borsa. È il caso di Acea, l’azienda pubblica romana di gas, luce e acqua, quotata in Borsa. Fino al 2019 Laghi è stato sindaco della società, ma i documenti ufficiali rivelano che a partire dal 2015 non si è presentato ad almeno un terzo delle riunioni del collegio, in media una ventina l’anno. Colpa di un’agenda fin troppo fitta d’impegni, forse. Niente paura, il compenso è rimasto lo stesso: 150 mila euro l’anno. Lordi.