Ai suoi fedelissimi ha detto di «stare pronti per far scattare il piano B». Che poi in realtà è il piano S, come da iniziale del suo cognome. Matteo Salvini vive giorni difficili, stretto nella morsa tra i governisti del Nord guidati da Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia, che vorrebbero tornare alla vecchia Lega bossiana accantonando il partito della nazione, e il caso del suo guru Luca Morisi indagato per droga e fuori uso con la sua “Bestia” social proprio quando serve tirare su il morale della base e rilanciare il brand del leader.
Salvini però non ha intenzione di mollare mettendosi da parte dopo aver sfiorato un consenso del 40 per cento quasi tutto personale senza aver però governato nemmeno un condominio, se non la breve e intensa esperienza da ministro dell’Interno nel primo governo Conte. E se proprio deve rinunciare al sogno di diventare presidente del Consiglio come capo del principale partito del centrodestra, allora si prepara alla guerra e a giocarsi tutte le carte per restare comunque in partita: «Questi non hanno capito che i voti ce li ho io, sono stato io a prendere un partito al 5 per cento e portarlo al picco del 40 e stabilmente sopra il 20», va ripetendo alle persone di fiducia che lo hanno incrociato negli ultimi tempi.
Così, in vista del voto delle amministrative e della possibile richiesta di un congresso per fare una conta interna dopo risultati elettorali che non saranno certo brillanti dal momento che in molti Comuni non c’è nemmeno il simbolo della Lega e i candidati scelti sono dati per perdenti, l’ex ministro dei porti chiusi ha radunato alcuni suoi fedelissimi e iniziato a sussurrare alle sue truppe, soprattutto ai tanti arrivati in Lega nelle ultime ore dall’Emilia Romagna in giù, di tenersi pronti a una exit strategy. Alla quale lui, d’altronde, ha lavorato in questi anni senza fare troppo rumore e forse prevedendo che prima poi la resa dei conti interna alla Lega (Nord) sarebbe arrivata.
IL PIANO B
Salvini da un lato è pronto a cedere la Lega Nord a Giorgetti e ai nordisti, che ormai gli lanciano bordate quotidiane a mezzo stampa e senza problemi. Dall’altro è pronto a lanciare il suo partito, “Prima gli italiani”. Il simbolo con lo slogan lo ha già registrato in tempi non sospetti attraverso il suo avvocato Christian Manzoni: scritta bianca con sfondo blu. Lo stesso sfondo di “Salvini premier”, altro simbolo da lui registrato con Manzoni. Due marchi gestiti da Salvini, e non dalla Lega, che quindi può prendersi tranquillamente. Ma c’è di più: il Capitano potrebbe tentare il blitz e prendersi pure il simbolo “Lega per Salvini premier”, in mano al partito ma nemmeno registrato ancora formalmente al ministero dello Sviluppo economico e con uno statuto così confuso da lasciare aperta la porta allo scippo salviniano. Il gran suggeritore di questa strategia è il senatore Roberto Calderoli, esperto della materia e di come si possono portar via pezzi di partito: Umberto Bossi ne sa qualcosa. La voce del nuovo contenitore di Salvini, guarda caso, è circolata prima in Senato, anche attraverso un altro fedelissimo del Capitano, il senatore Enrico Montani, e poi anche tra i nuovi acquisti fatti da Matteo soprattutto al centro e al sud. Acquisti di ex democristiani e di ex forzisti che in caso di messa in minoranza di Salvini nella Lega non resterebbero in un partito che tornerebbe a parlare di Nord e a fare solo gli interessi dei piccoli imprenditori del Triveneto o della Brianza. «Noi restiamo con Salvini, un volto che ha consenso, e senza la Lega Nord il suo partito avrebbe ancora più voti al centro e al sud perché diventerebbe l’unica casa per i moderati e i centristi», dice un esponente di peso della Lega salviana nel meridione. Non è certo un caso che, nel pieno della tempesta in casa Lega, Salvini abbia continuato a benedire in prima persona nuovi ingressi, ultimo quello del senatore siciliano ed ex forzista ed ex Italia Viva Francesco Scoma, che segue quello della calamita del consenso Luca Sammartino e, prima ancora, dell’ex forzista Nino Minardo, che lo stesso ex ministro ha appena lanciato a prossimo governatore della Sicilia facendo infuriare l’attuale presidente Nello Musumeci.
Salvini va avanti dritto per la strada del suo partito della nazione perché sa che questa è l’unica carta che può giocarsi se nella Lega lo mettono in difficoltà: “Prima gli italiani” è un nome perfetto, che strizza l’occhio anche alla destra e ai sovranisti. E qui si arriva all’altra gamba del partito che Salvini è pronto a lanciare in caso di rottura con i governisti, quella dei sovranisti appunto: nelle chat interne del gruppo a Bruxelles, pubblicate da Repubblica, Marco Zanni, capo delegazione all’Europarlamento, fa intendere a Francesca Donato che qualcosa bolle in pentola: «Ormai è così, decide Draghi, lui non obietta e via. Non potrà durare molto, vedrai che qualcosa succederà… Lo status quo non può durare e le amministrative sono un evento che inciderà… L’importante è che ci sia un evento che tiri fuori MS (Matteo Salvini, ndr) dal pantano. E se si tratta di una spaccatura nel partito tanto meglio. MS non credo si pensioni in ogni caso e lui i voti li ha. Io sarei contento di stare in un partito salviniano anche al cinque per cento».
Salvini non pensa certo a un partito del 5 per cento, ma di almeno il 15-20, forte della sua campagna acquisti. Ma come farà a tenere insieme i sovranisti con i tanti ex democristiani e forzisti che ha imbarcato? Come farà a mantenere alto il suo consenso attraverso la Bestia social e una spinta forte sul populismo e contro minoranze e migranti, e allo stesso tempo dimostrarsi rassicurante con i moderati? La risposta a queste domande la dà un neo entrato nella Lega dopo un lungo passato tra i centristi in Campania: «Siete convinti che ci siano ancora i moderati al centro o al sud? Pensate che anche in questa parte del Paese non ci sia voglia di sicurezza e non se ne possa più di una immigrazione fuori dalle regole?». È convinto che, una volta liberato dalle catene imposte da Giorgetti per sostenere il governo Draghi, Salvini possa tornare allo smalto di un tempo e riprendere a salire nei sondaggi e nel consenso personale. Non avviene da quasi un anno a vantaggio di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni.
LA GRANA MORISI
Sul piano B di Salvini si abbatte la grana Morisi: l’uomo chiave del successo populista di Matteo che con la Bestia social ha alimentato polemiche e scontri facendo guadagnare consenso a destra al leader della Lega. Morisi è ormai ufficialmente fuori gioco, dopo essere stato travolto dall’inchiesta per droga a Verona: una vicenda che promette sviluppi, non solo sull’utilizzo di stupefacenti ma anche su alcune compagnie del mago del web. Si rovescia la più becera propaganda salviniana alimentata da Morisi contro il guru populista che si è dimesso dagli incarichi, sia nel partito sia nelle società che lavorano per la Lega. Società e uomini pagati in questi anni dal partito al Senato e anche dal Viminale durante l’incarico di Salvini al ministero. Una macchina molto forte, chiamata non a caso la Bestia, senza la quale lanciare un partito e ritornare a soffiare sugli istinti peggiori del Paese per aumentare consensi è difficile. Le chiavi della Bestia restano in mano al socio di Morisi, Andrea Paganella, altro fedelissimo di Matteo. Passata la tempesta sul leader che fino a qualche mese fa andava a citofonare agli spacciatori in favore di telecamere, la macchina social riprenderà a funzionare.
Silvio Berlusconi con Matteo Salvini in una manifestazione del centrodestra nell'ottobre 2019
LA RESA DEI CONTI
“Prima gli italiani”: che sia un piano vero o solo una carta da mettere sul tavolo del confronto interno in Lega si vedrà. Certo è che la resa dei conti dentro il partito ci sarà e mediare sarà difficile. Il ministro Giorgetti nell’intervista a La Stampa ha usato toni e argomenti mai espressi in pubblico: ha bocciato i candidati sindaco a Milano e Roma scelti o sostenuti da Salvini e ha detto che Matteo «parla di Berlusconi al Quirinale per non affrontare i problemi veri, e cioè cosa fare con Draghi». Il governatore Zaia sul green pass ha sconfessato Salvini più volte, lanciando contro la linea del capo alcuni suoi consiglieri regionali, come Marzo Favero: «Gravi le assenze in Parlamento sul voto del green pass, non è questa la linea della Lega».
E la senatrice vicentina Silvia Covolo ha rincarato: «Noi chiediamo che la linea di Salvini sia quella di Zaia». Se anche peones e base nordista iniziano pubblicamente a contestare la linea del capo, che fino a ieri non si poteva criticare nemmeno nelle chat interne, pena la messa al bando, vuol dire che qualcosa si è rotto e sarà davvero difficile per Salvini tenere insieme tutte le anime del partito restando saldamente al comando. Giorgetti, Zaia e il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga parlano ormai come leader della Lega Nord senza nemmeno consultare Salvini e sono pronti a mettere all’angolo il Capitano al prossimo congresso o anche prima. Stanchi delle derive populiste, della Bestia social di Morisi, e dell’insofferenza costante dei sovranisti e di Salvini nei confronti dell’azione del governo Draghi. Il presidente del Consiglio non parla con Salvini da mesi e il dialogo tra i due passa dall’intermediazione di Giorgetti. Il piano B potrebbe essere non solo una minaccia da portare al tavolo interno del partito, ma un modo per tornare ad avere le mani libere.
Con Matteo sono pronti a lasciare il partito almeno una ottantina tra senatori e deputati, a partire da quelli assenti in Parlamento per il voto sul green pass: da Claudio Borghi ad Alessandro Pagano, da Claudio Durigon a Lorenzo Fontana e Barbara Saltamartini. Il contenitore “Prima gli italiani” potrebbe piacere anche a chi in Forza Italia spingeva per la federazione con la Lega salviniana. L’unica remora che qualche buon consigliere, in Lega dai tempi di Bossi, sussurra all’orecchio del Capitano si chiama Matteo Renzi: «Tutti quelli che si son fatti il loro partito dopo un po’ si sono ridotti al 2 per cento, stai attento». Ma Salvini dalla sua ha un altro argomento: quando Renzi ha fondato Italia Viva era già crollato nei sondaggi. Oggi i sondaggi danno comunque Salvini con alti indici di gradimento e alla guida del primo partito del centrodestra. Il piano B è più di una minaccia.