I governi storti e corti fanno male. È un effetto indesiderato della democrazia italiana, direte. Però è un effetto indesiderato che si ripete con masochistica (e chissà, desiderata) frequenza. Ecco qui un effetto indesiderato di proporzioni esagerate.
Il 24 dicembre 2024, in diretta mondiale, a dispetto di fusi orari e fasi lunari, papa Francesco spalancherà la Porta Santa di San Pietro sul Giubileo 2025 per chiamare alla redenzione dei peccati circa 1,4 miliardi di cattolici. Quanti cantieri di piazze, strade e palazzi su 135 sono partiti e quanti interventi per il “decoro del patrimonio culturale” su 335 sono in atto? Ok, facile: zero. Eppure il Giubileo in formato ordinario - che si tiene ogni quarto di secolo - non è un evento imprevisto.
Un margine per organizzarsi c’era, margine addentato, rosicchiato e infine spolpato dalle tipiche esitazioni dei caduchi governi italiani. Giorgia Meloni guida l’esecutivo numero 68 dal 1948. In cassa ci sono circa 2 miliardi di euro da spendere per il Giubileo entro il 2025 più altri 8,2 miliardi per la mobilità e il turismo di Roma acclusi al piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che scade nel 2026. Com’è potuto succedere.
Il 3 novembre 2020, fra il ponte dei santi e la festa delle forze armate, con un inedito anticipo, quasi fastidioso, il presidente Giuseppe Conte convocò un incontro per il Giubileo 2025 con Nicola Zingaretti, il governatore del Lazio e monsignor Rino Fisichella, il delegato vaticano. La sindaca Virginia Raggi, esclusa, protestò vibratamente. Nessuna comunicazione particolare, era un modo per avviare il percorso e fissare agenda e intenzioni. Ci si rivede. Fammi sapere. I soldi li mettiamo con la legge di Bilancio. La prossima volta meglio da me.
A gennaio il secondo governo di Conte era già barcollante. Il 13 febbraio 2021 Mario Draghi giurò al Quirinale. Come eredità di Conte, Draghi si ritrovò per il Giubileo un cosiddetto “tavolo istituzionale” introdotto proprio con la legge di Bilancio assieme a un paio di milioni di euro. Attorno al “tavolo istituzionale”, capeggiato ovviamente dal presidente del Consiglio, si accomodano i ministri di Economia, Trasporti, Esteri, Interno, Cultura, Turismo, il sindaco di Roma, il governatore del Lazio, due deputati e due senatori nominati dai presidenti di Camera e Senato. I componenti parlamentari erano Francesco Silvestri (5S) e Marianna Madia (Pd) per la Camera e Isabella Rauti (Fdi) e Alberto Bagnai (Lega) per il Senato. Siccome il legno per rafforzare la partecipazione democratica non manca mai, i deputati e i senatori invitati al tavolo con il governo Draghi - la maggioranza era più larga e varia rispetto a Conte - sono diventati in totale sei con l’onorevole Annagrazia Calabria (Fi) e la senatrice Annamaria Parente (Iv).
Il tavolo istituzionale di Conte era forgiato per stabilire come e dove spendere il denaro e monitorare - «aggiornare e rimodulare», precisa la norma - i progetti su base semestrale. Conte non ebbe il tempo di sedersi. Draghi l’ha inaugurato il 15 luglio 2021. Il sottosegretario Roberto Garofoli è stato parecchio attento all’argomento. Le stime di crescita nazionale in quel periodo erano sempre ritoccate al rialzo. Il governo brillava col sostegno della gente e della sorte. A qualsiasi esecutivo, al più secolarizzato come al più conservatore, fa piacere farsi piacere dal Vaticano. C’era una legge di Bilancio da riempire con tanti soldi. Quella di Conte era limitata all’architettura politica. Le nozze di Cana per Draghi si sono rivelate una banalità. Ha stanziato 1,335 miliardi di euro per pianificare e realizzare le opere attinenti al Giubileo e 110 milioni per gestire con la Santa Sede l’accoglienza dei pellegrini (si stimano arrivi a Roma attorno ai 22 milioni, aggiuntivi ai 20 milioni di un anno medio non pandemico).
A differenza del Giubileo 2000, quello di Francesco Rutelli sindaco e di tre governi di centrosinistra da Romano Prodi a Massimo D’Alema sino a Giuliano Amato, Draghi ha preferito affidare le “dotazioni finanziarie” e perciò le funzioni di stazione appaltante e soggetto pagatore e vigilante non a un’agenzia comunale, ma a una società di scopo interamente controllata dal ministero dell’Economia denominata “Giubileo 2025”. Un espediente per proteggere il Giubileo (e il denaro pubblico) dalle contese politiche, ma comunque il “programma dettagliato” e la relativa burocrazia sono attribuiti al commissario straordinario e cioè al sindaco Roberto Gualtieri.
A fianco al tavolo eccessivamente riflessivo di Conte, il governo Draghi ha costruito una cabina di “coordinamento” per la «verifica semestrale del grado di attuazione degli interventi» e per «assegnare poteri surrogatori in caso di inerzia». È la cabina per le emergenze e vi possono accedere il governo, la società Giubileo 2025, la regione Lazio, il comune di Roma, il commissario straordinario, il delegato vaticano.
Un successivo decreto ha inserito, per il ministero del Turismo oggi di Daniela Santanché, un altro capitolo di spesa definito “caput mundi”. Con un misto di fondi, ad aprile, il governo ha reperito 500 milioni di euro per «la rigenerazione del patrimonio culturale romano», che il comune di Gualtieri ha convertito in una lista di 335 lavori per decine di siti archeologici e poi parchi, giardini, palazzi, fontane e ville storiche.
Un ulteriore decreto a metà giugno ha offerto l’ultima spinta per il lancio. All’articolo 1 si «recano disposizioni di semplificazione e accelerazione delle procedure di valutazione e di verifica». La società Giubileo 2025, amministratore delegato Marco Sangiorgio (ex di Redo sgr e di Cassa Depositi e Prestiti), presidente Matteo Del Fante (ad di Poste Italiane), risulta formalmente attiva dal 15 luglio 2022 e da quel momento è più o meno pronta a muovere il conto della Tesoriera dello Stato che custodisce i circa 1,5 miliardi di euro.
Il 20 luglio 2022 il governo Draghi non ha ottenuto la fiducia. Il presidente della Repubblica ha sciolto le Camere. Il 1° settembre, per la terza volta, a tre settimane del voto, Draghi ha riunito a Palazzo Chigi il “tavolo istituzionale” e il 9 settembre il sottosegretario Garofoli ha inviato lo schema degli interventi e delle opere per il Giubileo ai presidenti di Camera e Senato per il parere delle commissioni competenti. Si trattava di un documento diviso in cinque «ambiti tematici»: tanta manutenzione, fermate metropolitane e ferroviarie, acquisto di treni, percorsi ciclabili, parcheggi interrati, illuminazione del Grande raccordo anulare, sottovia a Porta Pia, cammini per pellegrini, pulizia e sponde del fiume Tevere, deposito tramviario a Porta Maggiore, rifacimento di piazze (per esempio quella dei Cinquecento di fronte a Termini e la spianata di San Giovanni). Cose che non stravolgono il volto urbano di Roma come avvenne nel 2000, ma che possono darle una ripulita, una sana sciacquata.
Per procedere, sbloccando sia la società Giubileo 2025 che i 500 milioni del ministero del Turismo, però c’era bisogno di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (un dpcm) che contiene il “programma dettagliato” (cantiere e importi) preparato dal sindaco/commissario Gualtieri e vagliato dal ministero dell’Economia. La campagna elettorale ha indotto alla prudenza, le trattative per il governo alla ibernazione.
Il 22 ottobre Meloni ha ricevuto il testimone (e la campanella) da Draghi. Ormai è dicembre e per il Giubileo non c’è neanche lo schizzo a matita per immaginare, non capire, come scippare il Tevere all’incuria con una massiccia dose di «parchi pubblici e oasi naturalistiche». Soltanto il 10 novembre gli uffici del Tesoro e la Ragioneria Generale hanno ricevuto il “programma dettagliato” di Gualtieri. Dopo l’esame dei tecnici, tocca alla politica col ministro Giancarlo Giorgetti e la premier Meloni che dovrà firmare il dpcm. Questioni di giorni, certo, con ciascun giorno che incupisce chiunque si avvicini al Giubileo: è la solita corsa disperata all’italiana con il piombo nelle scarpe, la solita scommessa in sospeso tra fallimento e miracolo. Per tacere del tripudio di cantieri da 10 miliardi di euro che attende i romani con il Giubileo e il Pnrr fino al 2027. Oltre alla Porta Santa, ci vorrà una santa pazienza.