Politica e territorio
Ecomostri alla Bolognese: l’ex città modello è sommersa dal cemento
Palazzoni enormi e centri commerciali ovunque. Norme di favore per i costruttori. Maxiprogetti e colate di calcestruzzo anche sulle colline tutelate. Asili pubblici a rischio. In Emilia, dove è nata l’urbanistica moderna, oggi domina la speculazione edilizia
Un edificio moderno, essenziale, con un disegno geniale. Non il solito cubo di cemento di quegli anni, il casermone di periferia che offende la vista e ostruisce il paesaggio, ma una struttura geometrica, aperta, circondata dal verde, lontana dal traffico e dallo smog, meno alta degli alberi che le fanno ombra, con le mura portanti a forma di triangoli che affondano nel terreno, un prato fiorito che sembra entrare nelle stanze.
Dietro la siepe ci sono i bambini che giocano, ridono, ascoltano, imparano. Il piano terra è tutto per loro, le pareti interne sono scorrevoli, per cambiare e ricreare gli spazi secondo le necessità. All'ingresso c'è una scritta colorata dalle loro mani: «Nido d'infanzia Roselle, quartiere Fossolo. Per far crescere un bambino, ci vuole un intero villaggio».
Roselle è l'asilo simbolo del quartiere simbolo della città simbolo della buona urbanistica italiana. A Bologna, sessant'anni fa, sono nate le prime regole per progettare città vivibili e arrestare la speculazione edilizia. Il concetto di standard, cioè l'obbligo per i costruttori di garantire ai cittadini una dovuta percentuale di verde, servizi e spazi pubblici, è stato concepito qui, ai tempi mitici del sindaco Dozza e dell'assessore Campos Venuti, due cognomi che i cittadini non dimenticano.
Il Comune di Bologna, quando in Italia non esistevano ancora leggi urbanistiche né piani regolatori, è stato il primo a tutelare l'intero centro storico, non più solo singoli monumenti. A salvare dal cemento le sue meravigliose colline, il polmone verde della città. A realizzare strutture pubbliche, reti di trasporto urbano e imponenti piani di edilizia popolare, che hanno offerto decine di migliaia di case, a prezzo politico, alle masse di famiglie emigrate dal Sud Italia, dalle campagne, dai paesi di montagna, negli anni del boom economico. Oggi, in Emilia, la buona urbanistica non esiste più.
A Bologna, nel 1969, era nato il primo asilo nido d'Italia. Un modello educativo, ma anche una conquista sociale per le famiglie povere e per le madri lavoratrici. L'asilo Roselle è una struttura a moduli, progettata per essere ripetuta e adattata ai diversi quartieri. Affiancando uno, due o tre moduli, si fa un nuovo asilo, più o meno grande, senza spese per architetti e varianti, perché il disegno è già pronto.
Il Roselle è stato inaugurato nel 1973, con l'attuazione del piano, varato dalla giunta Zangheri, che in quattro anni ha creato 52 nidi, 77 scuole materne, 21 elementari e 13 medie. Quell'asilo «modulare» è stato celebrato in libri e riviste di architettura come un modello, perché ha saputo anticipare di mezzo secolo le esigenze più moderne. Edilizia spartana, mura in cemento armato, resistenti ai terremoti e ancora solidissime. E soluzioni innovative come le vetrate a tutta parete affacciate sul parco. Fu disegnato da un gruppo di tecnici pubblici, guidati da Fioretta Gualdi, architetta del Comune e direttrice dei lavori, che studiavano le carte insieme con pedagogisti e insegnanti. E ne discutevano con i cittadini in riunioni aperte. Democrazia urbanistica.
Nei mesi scorsi l'attuale giunta di Bologna, che si vanta di essere «la più progressista d'Italia», ha proposto di demolire il nido Roselle. Due assessori in carica, parlando di «edilizia verde» e «risparmio energetico», hanno annunciato un progetto sostitutivo, da realizzare in fretta «per non perdere i fondi del Pnrr»: radere al suolo l'asilo simbolo, bollato come vecchio e anti-ecologico, e costruirne uno nuovo, in un parco pubblico, con il sistema del project financing. Tre bestemmie urbanistiche con un solo atto: si abbatte un luogo sacro per generazioni di bolognesi, si ricopre di cemento e asfalto un'area verde e si consegna la gestione del nuovo asilo a una società privata. Il piano ha scatenato rumorose proteste di cittadini e comitati, lettere indignate di decine di urbanisti, contro-studi tecnici per salvare l'edificio esistente, ancora in buone condizioni nonostante anni di incuria politica, ristrutturandolo con poca spesa.
Una mobilitazione così ampia da spingere la giunta a guida Pd a un parziale dietrofront. Il vecchio asilo non verrà demolito, almeno per ora. Di soldi per ristrutturarlo, però, non se ne vedono. Quindi si farà comunque un nuovo asilo. E il project financing? È il mezzo legale che permette di privatizzare la gestione di beni pubblici senza gare d'appalto: è il metodo applicato a diversi maxi-ospedali fabbricati nella Lombardia di Formigoni e nel Veneto di Galan, due governatori di centro-destra poi condannati per corruzione. Per il Roselle, la giunta non ne parla più. Ma in questi anni anche Bologna si è riempita di «progetti misti pubblico-privato», compresi altri «asili in project».
La giunta in questi mesi ha minimizzato il caso, trattando le polemiche sull'asilo Roselle come una piccola storia di quartiere. Ma è una piccola storia ignobile, che mette a nudo le cause più profonde della crisi di una sinistra che ha perso l'anima, anche a Bologna. «Consumo di luogo» è il titolo di un libro di denuncia pubblicato nel 2017 dai migliori urbanisti italiani, da Vezio De Lucia a Edoardo Salzano, Piero Alemagna, Pierluigi Cervellati e molti altri, nel tentativo, fallito, di fermare la contro-riforma edilizia emiliana: una legge regionale che, come hanno scritto quei maestri della pianificazione, decreta «la fine del governo pubblico del territorio» e «consegna ai privati il potere di decidere dove, come e quanto costruire».
Per capire cosa sta succedendo a Bologna, dopo quella legge, basta fare il giro dei quartieri attorno al centro storico. Il Fossolo, dove c'è l'asilo Roselle, è stato disegnato da urbanisti pubblici, che mezzo secolo fa hanno applicato standard più elevati dei Paesi scandinavi: 40 metri quadrati di verde per abitante, trasporti pubblici, parchi tra le case, siepi al posto delle recinzioni, scuole lontane dalle strade, viali spaziosi e alberati. Era un quartiere popolare, oggi è uno dei più vivibili della città. In tutte le altre zone, tra la tangenziale e il centro, oggi c'è un nuovo boom del cemento. La giunta parla di «rigenerazione edilizia», slogan che l'attivista rosso-verde Sergio Caserta ribattezza «degenerazione urbana». «Ecco gli ecomostri», dice, mentre indica un ammasso di grattacieli e fabbricati di oltre dieci piani, alla Bolognina, senza un parco, senza una sola struttura pubblica: «È il caos urbanistico, non c'è un palazzo che si affacci nella stessa direzione dell'altro».
«A Bologna non c'è più un disegno pubblico, solo speculazione edilizia», commenta Piergiorgio Rocchi, urbanista della scuola di Campos Venuti: «Il Comune autorizza volumi pazzeschi e i privati costruiscono quello che vogliono. C'è un consumo di suolo insensato». A Bologna l'architetto Rocchi ha schedato e fotografato 717 «vuoti urbani»: ex fabbriche, caserme, immobili privati in stato di totale o parziale abbandono, che nessuno ristruttura, perché è più redditizio cementificare un terreno verde. Molti sono edifici pubblici, ignorati dal Comune. Gli ecomostri hanno già stravolto il paesaggio urbano: mentre i negozi storici e i piccoli artigiani sono in crisi, in città continuano a crescere i centri commerciali. Rocchi ne ha contati ben 131, spesso enormi, quasi sempre orrendi.
Sotto leggi regionali e piani comunali che propagandano future riduzioni del consumo di suolo, in realtà la crosta di cemento e asfalto sta iniziando a intaccare anche le colline, fino a ieri rimaste inviolabili. Tra i boschi e le campagne che sovrastano Bologna sono stati approvati tre progetti: le prime deroghe ai vincoli di inedificabilità assoluta. Un privato ha potuto costruire una super-villa nel bosco, sopra un ex fortino militare, che però era interrato. A Sabbiuno, di fronte al sacrario delle vittime della strage nazifascista, un'impresa sta fabbricando una schiera di almeno 15 villette, dove prima c'era solo un modesto cascinale agricolo: per chi guarda Bologna sullo sfondo, l'impatto visivo è impressionante, anche perché il blocco di nuove costruzioni è collocato poche decine di metri sopra i calanchi franosi.
Poi, in mezzo ai tornanti, davanti allo splendido palazzo storico della Business School, c'è il cantiere più imponente, per la nuova sede del polo universitario. La base è già pronta: dove c'era il bosco ora c'è un'enorme colata di cemento, affacciata su Bologna. Anche in questi giorni le ruspe continuano a scavare, asportare terra, abbattere alberi. Nel viavai di camion e betoniere, il messaggio è chiaro: i vincoli di tutela durati mezzo secolo sono diventati derogabili, perfino sulle colline di Bologna il cemento non è più un tabù.