L’imbarcazione era attraccata nel porto machigiano, ma nove giorni prima dell’inizio della guerra in Ucraina è salpato. La sua proprietà si perde tra mille offshore, che risalgono fino al colosso energetico e a una persona molto vicina al presidente russo. L’inchiesta del consorzio Icij e dell’Espresso

Si chiama Alexandar V, è un super yacht di 48 metri costruito in Italia. Fino al 15 febbraio scorso era ormeggiato nel porto di Pesaro. Da quel mattino, nove giorni prima dell'attacco russo all'Ucraina, è sparito. Gli strumenti di localizzazione sono stati spenti alle 11,02 ora italiana. Da quel momento il panfilo è irrintracciabile, nei siti specializzati la sua posizione non è più determinabile: «Out of range».

 

Il super yacht ha una proprietà oscura, nascosta da diverse muraglie di società offshore. Ora una serie di documenti riservati, esaminati da L'Espresso con giornalisti di altre testate internazionali associate al consorzio Icij, svelano chi ha gestito quel panfilo di lusso e, soprattutto, chi ci ha messo i soldi: la Gazprom, il colosso statale del gas di Mosca. La cassaforte del regime di Vladimir Putin, governata da un suo fedelissimo, Alexei Miller. La presenza della Gazprom, le complesse strutture societarie utilizzate per tenere segreta quella proprietà, l'improvvisa scomparsa dello yacht e il suo singolare tempismo fanno pensare a una fuga anticipata dalle sanzioni internazionali. Che, dopo la guerra in Ucraina scatenata il 24 febbraio da Putin, hanno colpito personalmente anche Miller e altri personaggi della cerchia del presidente.

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Alexandar V batte bandiera delle isole Cayman: per coincidenza, è lo stesso paradiso fiscale dove è registrato Scheherazade, il gigantesco yacht attraccato a Marina di Carrara e ispezionato dalla Guardia di Finanza, che sospetta possa appartenere a Putin in persona. Sulla stampa estera è stato collegato allo zar di Mosca anche un altro panfilo, chiamato Graceful, avvistato nel porto russo di Kaliningrad, al riparo dalle sanzioni.

 

Lo yacht italiano era stato costruito nel 2008 da un cantiere navale di Ancona per un miliardario serbo, che l'ha battezzato Alexandar V e nel 2010 l'ha rivenduto. Il prezzo, 19 milioni e mezzo di euro, risulta pagato dalla Gazprom, attraverso società estere che da allora hanno finanziato tutte le spese: dalla manutenzione, riparazione e ricovero invernale nel Cantiere Rossini di Pesaro, agli stipendi dei nove componenti dell'equipaggio. Solo loro, nel 2018, costavano oltre 60 mila euro al mese.

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Secondo testimonianze raccolte da L'Espresso, quello yacht ha imbarcato misteriosi vip russi per fare crociere di lusso nel Mediterraneo, navigando tra Italia, Francia, Grecia e Turchia, con eccezionali misure di sicurezza. Prima della partenza scattavano controlli ovunque, dal ponte superiore fino all'ultima cabina, con bonifiche accurate per scoprire microspie.

 

A comportarsi da padroni erano milionari russi, ma c'erano anche ospiti occidentali, probabilmente uomini d’affari. Per non essere ripresi da fotografi o turisti, i vip venivano accompagnati allo yacht con motoscafi privati. Chi era a bordo non dimentica le squadre di guardie del corpo capeggiate da un certo Dimitry, ex agente del Kgb: giovani russi super palestrati, altissimi, grossi come armadi, con modi da militari professionisti. Ma è rimasto vivido anche il ricordo di alcuni party sfrenati, con ragazze bellissime, fiumi di alcol e prevedibili epiloghi.

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La proprietà dello yacht è ricostruita nelle carte finora inedite di Asiaciti, una delle 14 fabbriche di offshore che sono al centro dell'inchiesta giornalistica Pandora Papers. Al livello superiore ci sono quattro società russe, incastonate una nell'altra, come matrioske. Fanno tutte capo a Gazprom, la casa madre. Sotto, ci sono due controllate, Gazprom MehzRegionGaz e Gazprom Invest Rgk. La prima ha sede a San Pietroburgo ed è l'azienda che distribuisce il metano nella Federazione russa. A guidarla è Kirill Seleznev, un manager legatissimo a Miller, il numero uno di tutto il gruppo. La seconda possiede, a cascata, il 100 per cento di un'altra società russa, Neftyanoy Dom: la quarta azienda pubblica di questo affaire, che gestisce proprietà statali, ma fa anche da cassaforte per le spese dello yacht.

 

Le quattro matrioske russe non operano direttamente: usano società offshore. La prima, Olympic Navigation, viene creata ad hoc nelle British Virgin Islands per comprare lo yacht. Nel 2016, due anni dopo le prime sanzioni contro la Russia, la catena di controllo cambia. Alla offshore delle Isole Vergini subentrano due nuove società: Winable Investments Pte Ltd, con base a Singapore, ed Equart Foundation, con sede in Liechtenstein. L’amministratore della prima è Leonid Bogorad: un manager di Stato del gruppo Gazprom.

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Nell'estate 2018 i fiduciari di Singapore, dopo l'aggravamento delle sanzioni contro Mosca, chiedono agli avvocati russi se sia legittimo che il manager di una società statale del gas paghi tutti i costi di uno yacht italiano usando un conto svizzero intestato a una offshore esotica. Asiaciti, nelle carte interne, ipotizza persino una denuncia all’autorità antiriciclaggio. Ma tutto si placa quando arriva l'autorizzazione ai bonifici, firmata da Aleksandr Kolpakov, in qualità di vicedirettore finanziario della Neftyanoy Dom, la matrioska pubblica che controlla le offshore. Kolpakov è un personaggio molto vicino a Putin: è il direttore del dipartimento federale che amministra tutte le proprietà presidenziali. Ed è anche il capo delle guardie del corpo e responsabile della sicurezza personale dello zar.

 

Sotto le società anonime di Singapore e del Liechtenstein opera un'altra offshore delle Isole Vergini Britanniche, Ontario Challenge Ltd, che è diventata così l'intestataria dello yacht Alexandar V. Nell'estate 2016, mentre era in gestazione la nuova catena di controllo, una dipendente di Asiaciti ha chiesto agli avvocati di Mosca perché bisognasse creare quella complicata catena societaria. Risposta: «Asset protection». Protezione dei beni, cioè dello yacht, contro il rischio di un sequestro collegato alle sanzioni americane.

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Alexandar V sembra essere approdato per la prima volta a Pesaro nel 2015, un mese dopo la nascita del Cantiere Rossini. Che è subentrato allo storico Cantiere navale di Pesaro, finito in fallimento. L'amministratore delegato, Stewart Parvin, una vita nella compagnia inglese Cunard Line, ha risanato l'attività con un investimento iniziale di 25 milioni fornito dalla società italiana Lisa Group srl. Del suo consiglio d’amministrazione fa parte anche Hans Christian Dall Nygard, un norvegese con due indirizzi, a Milano e Mosca, che compare pure tra i dirigenti della Winable: la stessa offshore dello yacht pagato da Gazprom. Questi strani incroci sollevano un altro interrogativo: a chi appartiene la società Lisa e quindi il Cantiere Rossini?

 

Fino all'agosto 2021 la maggioranza faceva capo a una società maltese, Lestro Yachting Partners Limited. Un mese dopo, la Lestro scende al 10 per cento, mentre il restante 90 passa a una società del Liechtenstein, con lo stesso nome del musicista italiano e del cantiere di Pesaro: Rossini Investors Group Limited. E gli azionisti chi sono? Impossibile dirlo: la loro identità è schermata da una società fiduciaria, Premium Class Trust Reg, con sede in un paese di quattromila anime vicino a Vaduz.

 

L'Espresso, anche a nome degli altri giornalisti che lavorano con Icij, ha inviato domande dettagliate a Gazprom, ai manager Bogorad e Kolpakov, al Cantiere Rossini e al suo amministratore Parvin. Per ora, nessuna risposta.