ESCLUSIVO

Russia Papers, otto banchieri di Putin hanno nascosto oltre 2 miliardi nelle offshore

di Scilla Alecci, Paolo Biondani e Leo Sisti   11 aprile 2022

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I top manager dei cinque colossi del credito di Mosca hanno evitato le sanzioni trasferendo ricchezze enormi in società anonime nei paradisi fiscali. Che controllano proprietà anche in Italia. La nuova inchiesta dell’Espresso con il consorzio Icij

Non appena sono entrate in vigore le sanzioni internazionali contro le più grandi banche russe, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, moltissimi cittadini si sono precipitati ai bancomat, a Mosca e nelle altre città, formando lunghe file per cercare di ritirare i propri risparmi. I top manager di quelle banche, invece, non hanno avuto questi problemi. Avevano già programmato come aggirare le sanzioni e attenuare l'impatto delle restrizioni sui loro patrimoni personali, mettendo al sicuro più di due miliardi in anonime società estere.

 

Una nuova inchiesta coordinata dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), di cui fa parte L'Espresso in esclusiva per l'Italia, rivela che otto famosi banchieri russi, responsabili delle cinque maggiori istituzioni finanziarie della nazione, hanno sfruttato società offshore per nascondere enormi ricchezze. Si tratta di otto top manager di Sberbank, Alfa Bank, Vtb, Gazprombank e Veb, che hanno trasferito i loro patrimoni in diversi paradisi fiscali poco prima, e in qualche caso addirittura poco dopo il varo delle sanzioni internazionali, decise negli ultimi dieci anni per colpire il governo di Vladimir Putin. Le prime misure sono state adottate nel 2014, dopo l'annessione della Crimea. Altre sanzioni sono state applicate dopo la scoperta delle operazioni di hackeraggio informatico organizzate dai servizi segreti di Mosca per interferire nelle elezioni presidenziali americane del 2016 e dopo l'invio delle truppe russe in Siria per sostenere il regime di Bashar Assad.

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Almeno tre degli otto banchieri identificati da questa inchiesta giornalistica hanno usato società-schermo per acquistare palazzi di lusso in Europa, in particolare in Italia, a Londra e a Cipro. Altri quattro hanno utilizzato il sistema delle offshore per custodire beni di valore stellare: almeno due miliardi di dollari. Alcune operazioni coinvolgono anche i familiari. Ad esempio Herman Gref, l'amministratore delegato di Sberbank, la prima banca russa, si è affidato nel 2015 a uno studio di Singapore, Asiaciti, per ristrutturare un trust e intestare beni per oltre 50 milioni di dollari a un giovane nipote, mantenendone però l'effettivo controllo, ovviamente dietro una rete di offshore.

 

Cinque degli otto banchieri citati in questa inchiesta non hanno risposto alle domande di Icij. Mentre Igor Shuvalov, presidente di Veb, Mikhail Fridman e Petr Aven, fondatori di Alfa Bank, negano di aver mai commesso fatti illeciti.

 

Gli otto banchieri fanno parte di un elenco di più di 4.400 ricchi cittadini russi che compaiono nei Pandora Papers: 11,9 milioni di documenti riservati provenienti da 14 studi internazionali specializzati nella creazione e gestione di offshore. Si tratta di società di comodo, con sede in paradisi fiscali e legali, dove non si pagano tasse ed è possibile restare anonimi. Quindi vengono utilizzate anche da evasori, politici corrotti e criminali di tutto il mondo. Questa inchiesta giornalistica, chiamata Russia Papers, ha individuato come effettivi titolari di società offshore almeno 42 oligarchi di Mosca, che nel 2021 possedevano un patrimonio personale pari al 15 per cento del prodotto interno lordo della Russia. Almeno 12 risultano colpiti dalle sanzioni.

 

Intervistato dal consorzio, Tom Keatinge, direttore del Centre for Financial Crime and Securities di Londra, ha spiegato che gli oligarchi legati al Cremlino «sanno bene di essere vulnerabili alle sanzioni e pertanto adottano contromisure per rendere più difficile l'identificazione dei loro capitali». Quindi, se le autorità internazionali non prendono di mira anche le società offshore e i fiduciari-prestanome, continua l'esperto, «le sanzioni non servono a niente».

 

I provvedimenti imposti di recente da Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito e altre nazioni vietano a tutte le banche internazionali di effettuare transazioni con le aziende o gli individui inclusi nella lista nera. Chi è sanzionato, inoltre, non può viaggiare e i suoi beni, compresi conti bancari e oggetti di lusso, vengono congelati, cioè sequestrati e gestiti da commissari legali.

 

Alcuni funzionari russi però non sembrano preoccuparsene troppo. A metà febbraio, poco prima dell'invasione russa dell'Ucraina, l'ambasciatore di Mosca in Svezia, Viktor Tatarintsev, in un'intervista al quotidiano Aftonbladet, ha affermato testualmente che «delle sanzioni non ce ne frega un cacchio».

 

Herman Gref è stato ministro dello Sviluppo economico nel governo di Putin dal 2000 al 2007 ed è rimasto un suo alleato chiave. Grazie ai legami con il Cremlino è diventato il capo della banca statale Sberbank, come suo presidente e amministratore delegato. Questo colosso finanziario controlla circa un terzo del totale delle attività bancarie in Russia. Sulle sanzioni del 2014 Gref si era già espresso, lamentando, in un'intervista ai media di Mosca, che «una quota enorme dell'economia russa è legata a noi», per cui colpire Sberbank significa «far tremare la terra sotto i piedi» di tutti i cittadini. Per le sue prospettive personali, invece, il banchiere ha minimizzato, definendo gli effetti di eventuali sanzioni individuali «non molto gravi».

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I Pandora Papers mostrano che in realtà Gref si era messo in moto già allora, contattando il capo di Asiaciti, uno studio di Singapore specializzato in servizi offshore (che lo aveva assistito anche in precedenza), per riorganizzare un trust familiare da 75 milioni di dollari. Un trust al centro di una complicata struttura a più strati che comprende anche una fondazione nel Liechtenstein. L'incontro con il capo di Asiaciti si è svolto in un rinomato e costoso ristorante di pesce, non lontano dal Cremlino.

 

Gref è stato chiaro: bisognava costruire, a Singapore, una struttura che gestisse il suo portafoglio d’investimenti per il futuro, dopo Sberbank. I professionisti di Asiaciti hanno così creato una dozzina di società di comodo nelle British Virgin Islands (Bvi), nelle Caymans e a Panama. Secondo i dati dei Pandora Papers, una di queste società possedeva una proprietà a Mosca del valore di 15 milioni di dollari e curava investimenti per altri 60 milioni.

 

Nel giugno 2017, con le sanzioni in vigore, Gref ha chiesto di riorganizzare «la struttura patrimoniale della famiglia». Quindi ha chiuso il trust e ha trasferito beni per 55 milioni a un nipote, Oscar Gref, un consulente finanziario di soli 24 anni, senza esperienze, tranne uno stage nella banca dello zio.

 

Perché il giovane Oscar sia stato preferito a Oleg, il figlio di Herman, lo raccontano sempre i Pandora Papers. Il nipote aveva trascorso 12 anni all'estero, mentre il figlio «era molto radicato in Russia e non voleva andarsene». Per questo Asiaciti predispone un nuovo trust intestato a Oscar, definito beneficiario unico. Anche se è lo zio, Herman Gref, che ne rimane il «controllore effettivo», come risulta da un documento confidenziale.

 

Nel 2018 succede un imprevisto. Le autorità di Singapore contestano ad Asiaciti delle irregolarità nei rapporti con clienti ad alto rischio. A quel punto i contabili riesaminano il lavoro fatto per Gref e si accorgono della «mancanza di corretta documentazione» su un prestito di 30,5 milioni di dollari, concesso da una offshore del banchiere a una società di Kirill Androsov, che era stato il suo vice al ministero. Risultato: Asiaciti ha chiuso il trust e altre offshore di Herman Gref. Ma al tempo stesso lo studio di Singapore ha registrato, sempre per conto del banchiere russo, un'altra società-schermo alle Samoa, una delle giurisdizioni più segrete del mondo.

I Pandora Papers non chiariscono se la offshore delle Samoa e la fondazione del Liechtenstein siano tuttora attive.

 

Herman e Oscar Gref non hanno risposto a nessuna domanda di Icij. Asiaciti si è limitata ad assicurare che la sua attività è «in regola con tutte le leggi e i regolamenti».

 

Peter Aven, Mikhail Fridman, German Khan e Alexey Kuzmichev sono i fondatori e proprietari del gruppo che controlla Alfa Bank, la maggiore banca privata russa. I quattro banchieri sono stati colpiti dalle sanzioni americane, europee e britanniche. Nelle motivazioni, le autorità di Bruxelles spiegano che Aven, Fridman e Khan mantengono «una stretta relazione con Vladimir Putin», con cui Kuzmichev ha «legami stabili». E aggiungono che il presidente russo «ha premiato la lealtà di Alfa Group al Cremlino fornendo supporto politico ai suoi piani esteri d’investimento».

 

Fridman è un miliardario russo, nato in Ucraina ai tempo dell'ex Urss, che da tempo vive a Londra. È stato tra i primi oligarchi a opporsi all'invasione dell'Ucraina, ancor prima di essere sanzionato. Nelle risposte inviate al consorzio Icij, Fridman e Aven sostengono di non essersi mai interessati di politica. «Nella mia vita non ho mai avuto un incontro faccia a faccia con Putin», ha aggiunto Fridman.

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I Pandora Papers rivelano che i quattro titolari di Alfa Bank avevano costituito una serie di società offhore alle British Virgin Islands già alla fine degli anni Novanta, ma le hanno modificate poco dopo l'annessione russa della Crimea. In particolare, Aven era stato titolare, per più di dieci anni, di una offshore delle Isole Vergini, che a sua volta possedeva una società d’investimenti, uno yacht e una quota di un ricco complesso immobiliare in Italia, in località Punta Sardegna. Ora si scopre che nel 2014, dopo il varo delle prime sanzioni, Aven ha costituito un trust che ha acquisito la proprietà della offshore, oscurando così il nome del titolare. Alle domande di Icij, Aven ha risposto che «non era assolutamente preparato» alle sanzioni e che ha usato il trust solo «per motivi ereditari», assicurando che si tratta di «una struttura trasparente». E ha concluso: «Ristrutturare quelle società estere non ha nulla a che vedere con le sanzioni».

 

Petr Aven è uno degli oligarchi che nei giorni scorsi si sono visti sequestrare proprietà personali in Italia. Il 16 marzo la Guardia di Finanza ha eseguito il provvedimento che riguarda proprio il complesso immobiliare nella provincia di Sassari, in località punta Sardegna: la sua quota, pari a un terzo, vale circa 4 milioni di euro. Le altre parti non sono sequestrabili perché appartengono a soggetti diversi da lui. Anche se si tratta dei familiari dello stesso Aven. Dopo la morte della moglie, Elena, che ne possedeva un quarto, oggi la proprietà ha tre titolari: oltre a Petr, sono i suoi figli Daria e Denis, due gemelli nati a Vienna il 9 gennaio 1994. Entrambi risultano residenti nel Regno Unito. Il complesso immobiliare, che si trova nel comune di Palau e comprende una villa con terreno e dépandance, ha un valore stimato dall'Agenzia delle entrate di 13 milioni e 150 mila euro.

 

Secondo i Pandora Papers, anche il banchiere Fridman ha fatto ricorso a una fondazione del Liechtenstein per controllare una offshore delle Bvi, che possiede un conto da 5 milioni di dollari in una banca svizzera. Alle domande del consorzio, Fridman ha risposto di possedere una carta di credito, appoggiata su quel conto, di cui però non ha mai fatto uso «da quando le sanzioni sono entrate in vigore». E ha aggiunto di non ricordare nemmeno quanto denaro ci fosse in quel conto.

 

Aven, Fridman, Khan e Kuzmichev sembrano aver modificato dopo le prime sanzioni anche la struttura di controllo di altre offshore che appartengono ad Alfa Group. Nel 2014, in particolare, hanno trasferito a una fiduciaria di Cipro le azioni di una società delle Isole Vergini che risulta intestataria di beni per oltre 1,8 miliardi di dollari. Questa tesoreria offshore è stata chiusa nel 2019, ma si ignora dove siano finiti i fondi.

Rispondendo alle domande di Icij, il banchiere Fridman ha dichiarato che «nessuna società è stata aperta per evitare sanzioni o tasse». E che «i processi di ristrutturazione societaria non sono in alcun modo collegati alle sanzioni».

 

Khan e Kuzmichev sono risultati «non rintracciabili» agli indirizzi contattati dal consorzio.

 

Andrey Akimov è un altro banchiere molto vicino allo zar di Mosca. Ha guidato il consiglio di amministrazione di Gazprombank per quasi vent'anni. E nel 2021 ha ricevuto da Putin la «medaglia di seconda classe dell’ordine del merito per la patria». Terza banca russa per dimensioni, l’istituto della Gazprom è stato sanzionato da Stati Uniti e Regno Unito perché assiste le industrie statali nei settori strategici: gas, petrolio, nucleare, elettricità. Non è stata colpito dalle misure dell'Unione europea, per la sua forte dipendenza dal gas della Gazprom.

 

Dai Pandora Papers ora emerge che Akimov ha costituito almeno 8 società alle British Virgin Islands tra il 2007 e il 2018. Nel 2017 una di queste ha ottenuto prestiti per 360 milioni di dollari da una società russa, per investire in un progetto di immobili commerciali a Mosca. Un'altra offshore, con un patrimonio di 94,4 milioni di dollari nel 2018, è stata creata per erogare prestiti e investire in titoli a Cipro.

 

I media russi hanno dedicato ampio spazio ad Akimov per i suoi rapporti sentimentali con la pittrice Marianna Chaykina, che ha il passaporto cipriota. La coppia è stata fotografata nel corso di eventi mondani, come il Festival di Cannes e una serata di tango a Mosca. Ebbene, proprio Marianna è indicata come co-interessata ad alcune società offshore di Akimov. Non solo. Tramite una di queste, risulta possedere un appartamento da 15,6 milioni di dollari vicino ad Harrods, nel cuore di Londra.

 

Poco prima dell'annuncio delle sanzioni, i consulenti di Akimov hanno intestato almeno due delle sue società offshore a una finanziaria di Cipro, indicata come gestore del trust Amathea. Le carte disponibili non permettono di accertare se anche quel trust appartenga ad Akimov e per quale motivo sia stata modificata la struttura proprietaria delle offshore.

 

Akimov e Chaikina non hanno risposto alle domande dei giornalisti di Icij.

 

Nei Pandora Papers trova spazio anche Igor Shuvalov, ex vice-premier russo e attuale presidente della banca VneshEconomBank (Veb). Shulavov risulta titolare di una offshore che possiede un appartamento di lusso a Londra. Un portavoce di Veb ha dichiarato al consorzio Icij che la banca «è in regola con le leggi dei paesi dove opera». E ha aggiunto che Veb e lo stesso Shuvalov considerano le sanzioni «uno strumento politico antiquato, che nega alla gente il diritto di rendere il mondo più vicino».

 

Dotato di una fortuna personale valutata 102 milioni di dollari, Shuvalov è considerato dai governi di Stati Uniti e Regno Unito «un elemento essenziale della cerchia ristretta di Putin». Parlando al parlamento inglese in marzo, il leader dei laboristi, Keir Starmer, ha definito il banchiere «uno degli intimi di Putin che hanno affondato le mani nel sangue della guerra».

 

In passato le proprietà di Shuvalov - ben oltre la portata del suo stipendio come funzionario del governo - sono diventate oggetto di critiche da parte di attivisti russi anti-corruzione e giornalisti. Nel 2015 Alexei Navalny, il leader dell'opposizione tuttora in carcere, ha reso pubblico il fatto che Shuvalov, tramite una società delle Bvi, possiede due appartamenti contigui nel centro di Londra, del valore di 15,3 milioni di dollari, in un edificio già sede di un'agenzia di intelligence britannica. Ora si scopre che nel 2018 la figlia di Igor, Maria, una studentessa di danza classica allora diciannovenne, è diventata titolare di un'altra offshore, sempre delle BVI, che attraverso un'altra società possedeva un ricco aereo privato Gulfstream. Attraverso i suoi avvocati, Shuvalov ha dichiarato che «queste accuse sono basate su informazioni parziali e inaffidabili», ma non ha risposto a nessuna delle domande dei giornalisti del consorzio.