Nucleare di Stato
Sogin, finisce in procura l’avventura slovacca della società del nucleare italiano
I licenziamenti al vertice non sono bastati ai magistrati romani che hanno aperto inchieste sulla società pubblica per appalti da 90 milioni di euro complessivi. E mentre il ministro Cingolani manda i carabinieri del Noe, entro giugno va rinnovato il cda
Tre inchieste giudiziarie e una guerra interna sono il saldo di un ventennio di Sogin, la società pubblica nata nel 1999 per il decommissioning nucleare e alimentata con oltre 4 miliardi di euro presi dalle bollette degli italiani. Da carrozzone a nido di vespe il passo non è stato breve ma gli ultimi mesi hanno visto un’accelerazione di un caso che il governo, pur preso dall’emergenza energetica, non può più ignorare.
Non è la prima volta che Sogin finisce nella bufera. Era già successo sette anni fa con lo scontro interno fra il presidente Giuseppe Zollino e l’ad Riccardo Casale. Se possibile, la situazione sembra peggiorata. Controllata dal Copasir, con vari dirigenti in possesso del Nos (nulla osta di sicurezza), la società ha da poco sospeso l’appalto per smontare i sommergibili nucleari sovietici acquisito alla fine del 2010 al tempo in cui Silvio Berlusconi guidava l’Italia e Vladimir Putin non era ancora diventato il paria della comunità internazionale. Non erano pochi soldi (360 milioni di euro). Soprattutto erano soldi che il governo italiano pagava alla Russia nel quadro del progetto Global partnership del G8.
Ma se la crisi internazionale e l’antico filoputinismo forzista non sono attribuibili all’azienda statale, il resto è preoccupante. Una delle tre inchieste è per corruzione, segnata al numero di registro 46916 del 2021, e affidata al sostituto procuratore di Roma Giulia Guccione, nota alle cronache come pm nel processo per l’omicidio di Luca Sacchi. L’indagine riguarda i 45 milioni di euro destinati, tra il 2013 e il 2016, a comunicare al popolo l’urgenza del deposito nazionale rifiuti, slittato dal 2019 al 2036.
L’Arera, l’authority dell’energia, non ha voluto riconoscere i 45 milioni perché sono spariti alcuni documenti dell’appalto. Nonostante abbia messo in luce la lacuna, anche l’Arera è stata coinvolta nell’inchiesta. Una seconda indagine di minore importanza deriva dalla prima e ha coinvolto un membro del cda Sogin, Luce Meola, accusata di avere rivelato al capo del legale Mariano Scocco di essere coinvolto in un processo disciplinare su ordine dell’ad Emanuele Fontani.
La terza inchiesta, ma prima in ordine di iscrizione al numero di registro 45447 del 2021, è per reati contro la pubblica amministrazione. È la più delicata e riguarda Nucleco, la principale controllata di Sogin, anch’essa visitata più volte dalla polizia giudiziaria nelle scorse settimane. Il pm incaricato di questo caso è Claudia Terracina, già alle prese con le polizze infortuni del gruppo Fs, che opera attraverso un gruppo di finanzieri diverso da quello di Guccione.
A completare il quadro, nelle settimane scorse i carabinieri del Noe, il nucleo specializzato in reati ambientali, si sono presentati agli impianti Sogin di Saluggia, in provincia di Vercelli, e di Trisaia (Matera). L’ispezione è stata richiesta direttamente dal ministro Roberto Cingolani.
Ma la bomba a orologeria era pronta a scoppiare da tempo sui due fronti del deposito nazionale e dell’appalto alla slovacca Javys per bruciare le scorie della centrale di Caorso. La seconda pista investigativa vale 34,5 milioni di euro più 7 milioni di euro di proroga e sta mettendo in luce un groviglio di rapporti fra il management Sogin-Nucleco, la slovacca Javys e la Sma (studio Morandini e associati) di Piersante Morandini, con sedi a Roma, a Madrid, a Tirana e a Bratislava, nel ruolo di consulente e di partner.
La collaborazione a tre inizia a giugno 2014 quando Fontani, allora ad di Nucleco commissiona a Javys una ricerca pilota da 700 mila euro sull’incenerimento dei rifiuti nucleari sparsi per il territorio nazionale. A dicembre del 2014 Sogin e Sma partecipano insieme a una gara della Javys da 6 milioni per il decommissioning del reattore V1 della centrale di Bohunice, dove lavora per conto della savonese Demont l’ingegnere Luigi Perri, attuale presidente di Sogin nominato alla fine del 2019 insieme all’ad Fontani. Sogin e Sma vincono la gara contro cinque concorrenti.
A giugno 2015 c’è una nuova opportunità. Un raggruppamento d’impresa fra Javys e Ansaldo nucleare si aggiudica la commessa da 34,5 milioni di euro di Nucleco (gruppo Sogin) per smaltire 5900 fusti di rifiuti radioattivi (860 tonnellate) provenienti da Caorso con un ribasso d’asta dello 0,8 per cento e un solo altro concorrente, la francese Socodei (oggi gruppo Edf) che presenta una documentazione carente. A presiedere la commissione di gara è il dirigente Sogin Emilio Macci, pensionato dal 15 maggio 2022.
L’efficienza dell’impianto di Bohunice non sembra corrispondere alla realtà industriale tanto che l’incenerimento parte soltanto alla fine del 2019, con oltre quattro anni di ritardo e con caratteristiche tecniche modificate in modo sostanziale. Non conta più che i rifiuti inceneriti siano gli stessi spediti all’est ma solo che abbiano un’equivalenza radiologica con gli isotopi partiti dall’Italia. Le perplessità sulla soluzione slovacca emergono in modo indiretto da un’altra gara. Nucleco, ancora guidata da Fontani con Alessandro Dodaro presidente, si allea con Javys nell’appalto della commissione europea per i rifiuti radioattivi dell’Ispra (Varese). Ma il consorzio italo-slovacco viene escluso dalla gara poiché l’offerta tecnica presentata è valutata inadeguata dai tecnici dell’Ue.
Contattata dall’Espresso, Sogin nega ritardi nell’incenerimento in Slovacchia. La società dichiara di avere smaltito oltre quattromila fusti e di essere persino in anticipo sui tempi previsti.
Fatto sta che i 34,5 milioni pagati a Javys non bastano più. Circa un anno fa Fontani, che nel frattempo è passato alla testa della holding Sogin, riceve da Javys una richiesta di prolungamento dell’appalto per ulteriori 7 milioni di euro. A settembre del 2021 danno parere negativo sulla richiesta il capo del legale Sogin, Mariano Scocco, e l’ad di Nucleco, Luca Cittadini. Ma a questo punto la guerra interna è già partita da un pezzo. Già ad aprile 2020, quattro mesi dopo l’insediamento della coppia Perri-Fontani, il vertice Sogin chiede a Ernst&Young un audit sui 45 milioni spesi per la comunicazione del deposito. La società di consulenza non segnala fatti gravi nel suo rapporto ma conferma la mancanza di alcuni documenti senza attribuire colpe, ancor meno dolo. Il rapporto di EY non soddisfa il vertice Sogin che a ottobre 2020 assume Luigi Cerciello Renna, ex finanziere per sette anni all’Anac con Raffaele Cantone.
A dicembre del 2020, c’è un secondo audit rafforzato a giugno 2021 da una task force interna che si avvale dello statuto normativo sul whistleblowing e segnala i primi illeciti. A fine dicembre 2021, due settimane dopo la perquisizione guidata di persona dal pm Guccione, vengono sospesi otto dirigenti. Quattro sono scagionati. Scocco, Cittadini, il capo delle relazioni esterne Federico Colosi e il direttore del deposito nazionale Fabio Chiaravalli vengono licenziati e fanno ricorso. Fontani dichiara chiusa l’operazione, ribattezzata “self cleaning”, e a metà maggio 2022 promuove Cerciello. Ma una serie di interrogazioni parlamentari dedicate ai rapporti fra Sogin, Javys e Sma attira l’interesse dei magistrati romani e dà il via alle inchieste.
«La società», replicano fonti ufficiali Sogin, «ha scelto di dotarsi di un partner locale anziché ricorrere all’assunzione di personale. Per questo incarico, dopo un’apposita indagine di mercato avvenuta nel rispetto della normativa, è stato scelto lo Studio Morandini e Associati (Sma) che garantiva conoscenza, esperienza e affidabilità nel lavoro. Nel periodo 2015-2020 Javys ha contrattualizzato a Sogin attività di consulenza tecnica per circa 4,5 milioni di euro, in parallelo l’importo contrattualizzato a SMA è stato di 694.461 euro con una consuntivazione totale di 597.409 euro».
Lo studio Morandini, in effetti, è ben inserito in Slovacchia con sede nella capitale in via Michalská 7, a 200 metri dalla riva del Danubio. A quell’indirizzo si stabilisce Sogin insieme ad altre piccole imprese italiane con interessi a Bratislava e dintorni. È lì che si trova anche la camera di commercio italo-slovacca (Ccis). Nel direttivo c’era l’avvocato Giuseppe Morandini, pioniere del business verso est fin dalla caduta della cortina di ferro. Scomparso nel 2015, Giuseppe era il padre di Piersante e di Cecilia e il fratello di monsignor Giovan Battista, 85 anni, nunzio apostolico in paesi come Rwanda, Siria, Guatemala, Corea, Algeria. Il prelato ha lasciato ogni incarico nel 2008 per ritirarsi a Bienno (Brescia) dove mantiene legami con le associazioni locali dei cavalieri Templari.
La famiglia Morandini ha solide radici nell’ambiente bresciano cattolico e democristiano. Morandini senior, socio nell’hotel Rosa Camuna dell’ex ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini. Piersante non figura nell’albo degli avvocati italiani ma ha mantenuto rapporti con il mondo della politica, da Pierferdinando Casini ad Adolfo Urso, presidente del Copasir e della Fondazione Farefuturo. La sorella Cecilia è stata a lungo alla guida della sede slovacca della Sma.
Un nome ricorrente nella piccola galassia Sma è quello di Katarina Bartalska Duchonová che nel suo profilo Linkedin si dichiara manager di Sma dal 2011 ed esperta legale della Sogin dal gennaio 2015. Schema simile per Denisa Lastovková che è nel direttivo Ccis e in Sma dal 2009. Sogin comunica che «non sono mai esistiti rapporti di consulenza o collaborazione diretta con le signore indicate». Ma la partita slovacca sembra destinata a riservare sorprese a breve. E il vertice Sogin scade a fine giugno.