Le risposte dell’Istituto alle domande de L’Espresso e del consorzio Icij sugli Uber Files

Ecco le risposte dell’Istituto Bruno Leoni alle domande de L’Espresso e del consorzio Icij sugli Uber Files. Pubblichiamo il testo integrale, dove il portavoce del centro studi trascrive anche le nostre domande, che riportiamo in grassetto.

Esclusivo
Uber files, ecco gli italiani che hanno lavorato per il colosso dei trasporti
15/7/2022

In base a una serie di documenti da noi esaminati, che si riferiscono soprattutto al periodo 2014-2016, risulta che Uber, ai suoi massimi livelli dirigenziali, considerava il vostro istituto come un partner importante in una prolungata attività di lobby diretta a influenzare e orientare la legislazione italiana e le regolamentazioni degli enti locali in senso favorevole agli interessi della multinazionale americana. Nei documenti si legge, in particolare, che «l'Istituto Bruno Leoni ci ha fortemente aiutati fin dall'inizio». Il vostro istituto viene indicato come attivo a favore di Uber anche a livello locale, nei confronti di alcune importanti amministrazioni comunali, come mostra ad esempio un report del febbraio 2015 che riproduciamo nel testo originale inglese: «Turin has been one of the city where we have been most vocal through third parties as Istituto Bruno Leoni».

Che rapporto ha avuto l'Istituto Bruno Leoni con Uber? L'Istituto ha ricevuto da Uber finanziamenti o pagamenti per attività di lobby? L'istituto ha ricevuto da Uber, o da società di lobbying al servizio di Uber, sponsorizzazioni, contributi, pagamenti o rimborsi spese per organizzare incontri, convegni o per pubblicare studi e ricerche sulle questioni del trasporto privato, norme sui taxi o altri temi di interesse della multinazionale californiana?

 

Prima di rispondere alle vostre domande è opportuno tener presenti le premesse ideali dell’Istituto Bruno Leoni (IBL). Esso, come noto, è un think tank il cui obiettivo è promuovere il libero mercato e la concorrenza, attraverso la propria attività di ricerca e divulgazione, la pubblicazione di libri e studi e l’organizzazione di eventi. L’Istituto Bruno Leoni è indipendente sia dai partiti politici sia dai propri sostenitori. Allo scopo di garantire e mantenere questa indipendenza, l’Istituto cerca di garantirsi una base di sostenitori la più ampia possibile, in modo che nessun singolo donor possa avere una influenza determinante sulle proprie attività.

Maggiori informazioni sui sostenitori dell’Istituto sono disponibili su questa pagina web.

Altre informazioni sul nostro modello di finanziamento e sugli obiettivi e le modalità operative dell’Istituto sono disponibili qui.


L’Istituto non svolge alcuna attività di lobbying o di rappresentanza di interessi - né a livello nazionale né men che meno a livello regionale o municipale. Si limita a realizzare ricerche e a partecipare al dibattito pubblico esprimendo una prospettiva coerentemente liberale. Il sostegno all’Istituto è dunque conseguente e non premessa del suo impegno e può avvenire attraverso la sottoscrizione di quote associative, l’erogazione di donazioni liberali oppure la sponsorizzazione di studi o eventi. La scelta degli argomenti da trattare e della prospettiva da assumere appartiene unicamente ai dirigenti dell’Istituto. La disponibilità di finanziamenti dedicati a specifici argomenti ci consente di dedicare maggiori risorse a tali argomenti che, comunque, fanno parte dell’attività istituzionale dell’IBL.

 

Per quanto riguarda la liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea l’IBL ha preso posizioni ben definite fin dai primi anni della sua attività (e ben prima della fondazione stessa di Uber). Per esempio, un paper articolato che proponeva di raddoppiare il numero delle licenze fu pubblicato nel 2005, dopo che una analoga proposta era stata già avanzata nel 2004. Una semplice ricerca su Google può mostrare innumerevoli interventi e studi dell’Istituto pubblicati nel corso degli ultimi due decenni, sia prima che Uber ne sostenesse le attività, sia dopo che aveva smesso di farlo. L’avvento delle piattaforme di intermediazione come Uber e Lyft ha rappresentato un enorme fattore di cambiamento e sfida concorrenziale in un settore fino ad allora sostanzialmente immobile. È naturale quindi che l’IBL fosse e sia favorevole a queste innovazione, a prescindere da qualunque collaborazione con Uber. Sarebbe stato anzi stupefacente il contrario. Le posizioni dell’IBL in materia non sono peraltro sostanzialmente differenti da quelle espresse, sempre con l’obiettivo della liberalizzazione del settore, dalle competenti autorità indipendenti, ovvero, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (per esempio qui) e dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (per esempio qui).

 

Ciò premesso, quando Uber ha avviato le proprie attività in Italia ha contattato l’Istituto Bruno Leoni al fine di sostenerne le attività, ritenendo evidentemente utile alla propria causa l’esistenza di una voce autonoma e credibile a sostegno della concorrenza nel settore dei taxi. In particolare, Uber ha sostenuto l’IBL attraverso due contributi da 10.000 euro ciascuno nel 2014 e nel 2015 (corrispondenti, rispettivamente, all’1,1% e allo 0,9% delle entrate complessive nell’anno), e un terzo da 12.500 euro (pari all’1,0% delle entrate complessive) nel 2017. E’ anche grazie a questo supporto se l’Istituto ha potuto dedicare risorse specifiche al tema del trasporto urbano non di linea (ovvero allocare il tempo di alcuni ricercatori e componenti dello staff amministrativo/editoriale a vantaggio di tali temi), approfondendo la tematica e fornendo elementi utili al dibattito pubblico. Tutto ciò in piena e assoluta coerenza con i suoi obiettivi statutari che, come recita il claim di IBL, richiedono che esso fornisca “idee per il libero mercato”.

 

Altri documenti mostrano che Uber, dal 2014 al 2016, ha registrato e catalogato tra le proprie attività di lobby una serie di articoli e interventi pubblicati sia dal direttore generale che dal presidente del cda dell'Istituto in diversi giornali italiani. Nel marzo 2015 la multinazionale ha inserito l'Istituto Bruno Leoni nel suo “Communications and Public Affairs Plan for Uber in Italy", con specifico riferimento a progetti di ricerca e studi economici da affidare all'Istituto ma svolti per conto di Uber. I rapporti si sono sviluppati anche attraverso incontri pubblici e privati, di cui ricordiamo due esempi. Nel gennaio 2016 il manager Mark MacGann, responsabile della policy aziendale di Uber in Europa, ha partecipato a un incontro organizzato dall'Istituto Bruno Leoni, nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles, e ne ha poi spiegato i risultati ai propri collaboratori definendo l'Istituto «un forte e influente alleato di Uber in Italia». Nel luglio 2016 Carlo Tursi, general manager di Uber in Italia, ha organizzato un panel a Roma sulla sharing economy insieme a Franco Debenedetti, presidente dell'Istituto.

La frequenza e l'intensità di tali rapporti con una multinazionale privata può sollevare dubbi e perplessità sull'indipendenza dell'Istituto e degli studi e ricerche da voi pubblicati nelle materie di interesse di Uber, come la regolamentazione del settore dei trasporti privati e delle consegne a domicilio. Per consentirvi di dissipare tali dubbi, vi rivolgiamo dunque le seguenti domande. L'istituto Bruno Leoni ha pubblicizzato i propri rapporti con Uber e gli incontri con i suoi manager? Sono stati dichiarati gli eventuali contributi economici versati o procurati da Uber per organizzare incontri, convegni, studi e pubblicazioni?

 

I manager di Uber hanno partecipato ad alcuni eventi pubblici dell’Istituto Bruno Leoni. Per esempio, oltre al già richiamato evento di Bruxelles a cui ha partecipato Mark MacGann (la scheda dell’evento è disponibile qui), Carlo Tursi (all’epoca General manager di Uber Italia) ha partecipato a un convegno a Roma dal titolo “Impresa e innovazione. Il ruolo della sharing economy”, tenutosi l’11 luglio 2016. Inoltre, Tursi ha partecipato a un evento a porte chiuse dedicato al contributo che la transizione digitale può dare al turismo, svoltosi presso la sede dell’Istituto il 14 marzo 2016 (nel 2016, per inciso, IBL non ha ricevuto alcun contributo da Uber).

Per quanto riguarda la disclosure del supporto finanziario all’Istituto, la policy dell’IBL prevede che tale supporto sia rivelato solo in occasione di specifiche sponsorizzazioni (con esposizione di logo e relativo regime fiscale) ovvero su richiesta specifica di un donatore. La garanzia dell’indipendenza dell’Istituto, come abbiamo argomentato, si fonda proprio sulla presenza di una pluralità di sostenitori, che occasionalmente o continuativamente danno supporto all’Istituto senza poterne influenzare in alcun modo le prese di posizione. Queste ultime sono la declinazione dei suoi obiettivi statutari, ossia la promozione della concorrenza e della libertà economica. E’ del tutto normale che l’Istituto veda con favore aziende che, nei rispettivi settori, portano innovazione e disruption. Andrebbero semmai stigmatizzate, se vi fossero, prese di posizione dell’Istituto contrarie ai principi della libertà d’iniziative e legate al supporto economico: nel caso di specie, sarebbe sorprendente scoprire che l’IBL si è opposto alla liberalizzazione!

Questa policy di non disclosure dei donatori dell’Istituto è a sua volta funzionale alla sua stessa indipendenza: in questo modo, nessuno dei donor si sente in dovere di condividere tutte le posizioni dell’Istituto, né di fare pressioni quando osserva che l’Istituto prende posizioni contrarie ai suoi interessi o alle sue idee. Viceversa, se i sostenitori si sentissero in qualche modo “coinvolti” agli occhi del pubblico con le posizioni dell’IBL avrebbero probabilmente un maggiore incentivo a tentare di influenzarne la condotta. Capita sovente che una impresa o un individuo possa simpatizzare con una posizione espressa dall’Istituto (che si tratti della liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea o delle critiche portate alla gestione Covid-19 e ai lockdown o delle critiche al golden power) senza per questo necessariamente sposarne la filosofia più ampia.

La pianificazione delle attività e il posizionamento dell’Istituto sui vari temi viene deciso in piena autonomia dalla dirigenza dell’IBL e cerca di tradurre in concreto il significato della libertà di iniziativa.

I contributi di Uber rappresentano solo una percentuale minima del totale delle entrate dell’Istituto. Il frazionamento dei sostenitori e dei contributi rappresenta un presidio di autonomia e indipendenza.

Infine, gli interventi sulla stampa del direttore generale, del presidente o di altri collaboratori dell’Istituto esprimono le opinioni personali di ciascuno e non sono concertati in seno all’Istituto stesso. Gli interventi esprimono le opinioni degli autori (che normalmente, quando firmano articolo sui giornali con i quali collaborano non si identificano con l’IBL). Nel caso specifico, se il direttore generale o il presidente hanno preso pubblicamente posizione a favore della concorrenza nel settore dei taxi, ciò è semplicemente ed esclusivamente in coerenza con le rispettive visioni e con la rispettiva storia, facilmente verificabili in entrambi i casi. Peraltro, che tali prese di posizione siano individuali e non impegnino l’Istituto è evidente dal fatto che su molti temi, anche rilevanti (per es. il Covid-19), persone che appartengono all’Istituto testimoniano opinioni legittimamente differenti, che vengono spesso espresse anche in pubblico (il Presidente e il direttore delle ricerche dell’Istituto da un lato, e il direttore generale dall’altro, hanno espresso opinioni pressoché opposte rispetto al green pass, per esempio). L’Istituto non è una organizzazione “militare” ma un gruppo di persone che condivide la stessa filosofia di base, è convinta che l’Italia e l’Europa abbiano bisogno di più libertà economica, ma ovviamente declina autonomamente e secondo le proprie inclinazioni, conoscenze e competenze questo pensiero. Questo pluralismo di punti di vista, oltre che essere coerente con la filosofia liberale dell’Istituto, è a nostro avviso un ulteriore elemento del modo di operare e una ulteriore garanzia di indipendenza dell’Istituto, oltre ovviamente a una fonte di arricchimento reciproco per i suoi membri e collaboratori.

 

I consiglieri di amministrazione e i dirigenti dell'Istituto hanno mai avuto partecipazioni azionarie o altri interessi economici in società collegate a Uber, personalmente o attraverso propri familiari o altre società personali?

Nessuno tra i dirigenti e i dipendenti dell’Istituto ha avuto interessi economici diretti o indiretti in Uber o in società collegate a Uber. Nessuno dei consiglieri di amministrazione e altri collaboratori dell’IBL, per quanto a nostra conoscenza, ha avuto interessi economici diretti o indiretti in Uber o in società ad essa collegate.

 

Nello statuto o nelle norme interne dell'Istituto sono previste norme per garantire l'indipendenza delle ricerche e per scongiurare pericoli di conflitti d'interesse?
L’indipendenza delle ricerche sta nella coerenza con gli obiettivi statutari dell’Istituto e nella dimensione media dei contributi, tutti di moderata entità rispetto al bilancio dell’Istituto (pari nel 2021 a circa 700 mila euro).

L’Istituto è indipendente da qualsiasi partito o gruppo politico, ma la sua indipendenza si sostanzia in primis in una linea intellettuale molto chiara e riconoscibile . Se e quando l’Istituto prenderà posizioni contro il libero mercato, allora si potrà evidentemente denunciarne l’incoerenza e sarà assolutamente opportuno chiedere quali condizioni l’abbiano determinata. Ma finché difende il libero mercato, e lo fa anche grazie alle donazioni di individui e imprese che ne condividono le idee (integralmente o limitatamente ad alcuni aspetti), non fa altro che realizzare i propri obiettivi statutari.