Inchiesta

La vergogna senza fine del petrolchimico di Siracusa: «Da 40 anni il depuratore non funziona: tutto va in aria e in mare»

di Antonio Fraschilla   12 settembre 2022

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Omissioni, carte truccate, controlli inesistenti. L’Espresso in esclusiva ha letto tutti i documenti alla base dell’indagine della procura per disastro ambientale legato al più grande impianto italiano e tra i maggiori d’Europa. Ma neppure l’inchiesta siciliana ferma le grandi aziende, che sversano ancora in un impianto non adatto

«Il depuratore funziona perché il laboratorio scrive numeri a minchia!…se si viene a sapere fuori, che noi non abbiamo controllato mai un cazzo!». È l’ottobre del 2019 e due dirigenti dell’impianto di depurazione del più grande polo petrolchimico d’Italia, e tra i più grandi d’Europa, vengono intercettati dalla procura di Siracusa. Inizia così una indagine che ha portato il mese scorso al sequestro di una struttura che per quarant’anni non ha mai funzionato nonostante lì le più grandi aziende chimiche e petrolifere d’Europa - e non solo -  abbiano scaricato, e scarichino ancora, fanghi e agenti inquinanti: per intenderci, Eni, i russi della Lukoil, i sudafricani della Sasol, gli indiani della Sonatrach. 

L’indagine della procura aretusea per disastro ambientale guidata da Sabrina Gambino, arrivata a normalizzare uffici infestati dal sistema del corruttore di giudici Piero Amara, alza il velo sull’inquinamento di un pezzo del Paese avvenuto in maniera incredibile con una serie di azioni superficiali di chi doveva controllare e della politica concentrata solo a spartire qualche posto di sottogoverno. L’Espresso ha potuto leggere nella sua completezza tutta la documentazione alla base di un’inchiesta che lascia davvero senza parole. Sembra incredibile che questo sia avvenuto negli anni Duemila, eppure le intercettazioni e le analisi dei periti incaricati dalla procura lasciano poco spazio ai dubbi: per decenni, e ancora oggi come vedremo, si è «compromessa la qualità dell’aria e del mare» dove insistono diversi agglomerati urbani, da Siracusa a Priolo, Melilli e anche alcuni paesi interni.

In questo polo, dove ogni anno si lavorano 14 milioni di tonnellate di greggio, il 26 per cento della raffinazione complessiva in Italia, l’impianto di depurazione non ha mai funzionato per smaltire i reflui industriali che infatti venivano, e vengono, mischiati a quelli civili. Ma è solo un «escamotage», come scrivono i sostituti procuratori Tommaso Pagano e Salvatore Grillo. Il risultato è che secondo i periti della procura solo negli ultimi anni sono state emesse in atmosfera abusivamente 77 tonnellate di idrocarburi e agenti inquinanti all’anno, fra le quali 13 tonnellate di benzene. E in mare sono finite 1.500 tonnellate di agenti inquinanti mischiate ai fanghi per usi civili.

L'inchiesta ruota attorno alla gestione della società mista pubblico-privato “Industria acqua siracusana” (Ias), che gestisce la depurazione nel polo petrolchimico. La parte pubblica con Regione e Comuni ha la maggioranza, i privati sono rappresentati dalle grandi aziende. La politica negli anni si è accontentata di gestire le nomine dei presidenti dei cda: in questo ruolo dagli anni Ottanta si sono alternati i principali politici della zona dai tempi della Dc, dall’ex presidente della Regione Santi Nicita al comunista Salvatore Raiti. Ultimamente era diventata terreno di pascolo per gli uomini e le donne legate al sistema di Antonello Montante, l’ex vicepresidente di Confindustria condannato in secondo grado per associazione a delinquere: come Maria Grazia Brandara (unica indagata tra gli ex componenti cda Ias), a processo in uno dei filoni di inchiesta su Montante; oppure Maria Battiato, moglie del colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, anche lui coinvolto in un secondo processo in corso per i «servigi» offerti all’ex leader degli industriali; e, ancora, la procura fa rientrare nell’orbita Montante le nomine nei cda Ias di Gianluca Gemelli, compagno dell’ex ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi, e del sindacalista Salvatore Pasqualetto, che in una intercettazione di Battiato veniva definito uno «che non capiva nulla degli argomenti trattati». Ma c’è un motivo che forse spiega queste nomine e lo racconta interrogata la stessa Maria Battiato: «La società formalmente è a maggioranza pubblica, ma è totalmente in mano al volere dei soci privati…posso dire che era interesse dei privati quello di continuare a gestire l’impianto così come si era sempre fatto, senza intervenire per migliorare le problematiche ambientali pure da me segnalate». 

stefano schirato

E come funzionava questo impianto? Lo ha “scoperto” la procura quando ha inviato lì i suoi consulenti tecnici, che in una relazione scrivono: «I dati rilevati postulerebbero una capacità depurativa dell’impianto pari al 90 per cento degli idrocarburi immessi dagli utenti…Tuttavia l’impianto non è ontologicamente in grado di smaltire neanche un microgrammo di idrocarburi. Non risultano presenti sezioni espressamente dedicate alla separazione degli oli e della loro rimozione. Analogamente non risultano flussi in uscita relativi agli idrocarburi». 

Resta quindi una domanda: con quale tecnicismo alla fine le soglie di legge venivano rispettate sulla carta? La risposta, in maniera incredula, la scrivono gli stessi pm: «Una parte degli idrocarburi calcolata in 77 tonnellate all’anno si disperde nella matrice aria mediante evaporazione dalla superficie delle vasche, a causa dell’assenza di un impianto di convogliamento delle emissioni. La restante parte che, stando alle autorizzazioni potrebbe addirittura superare le 1.500 tonnellate all’anno, sarà inevitabilmente quasi totalmente presente nel refluo in uscita…Se tuttavia queste enormi quantità di idrocarburi finiti in mare vengono diluite, grazie al mescolamento con i reflui civili con carico inquinante bassissimo, esse magicamente rientreranno nei limiti previsti dalla legge. È chiaro che si tratta di un escamotage, di un trucco buono a gettare fumo negli occhi e che non avrebbe potuto ingannare - per circa 40 anni - tutti gli enti deputati al controllo e alla tutela ambientale… Alla luce dei deficit strutturali si ritiene di poter serenamente affermare che dall’inaugurazione dell’impianto biologico consortile si fa sostanzialmente finta di depurare i reflui provenienti dai processi produttivi delle grandi aziende della zona industriale, immettendo inquinanti non smaltiti in atmosfera e nel mare Ionio, in quantitativi tali da produrre un vero e proprio disastro ambientale».

stefano schirato

Ma chi doveva controllare questo impianto? Se una piccola azienda ha bisogno di 24 autorizzazioni per poter iniziare la sua attività, come è possibile che sia stato dato così l’ok al più importante depuratore del sistema industriale italiano? La procura ha scoperto che l’impianto non ha mai avuto una Autorizzazione integrata ambientale nazionale. Ha solo una autorizzazione regionale perché considerato un depuratore per usi civili, quando invece l’80 per cento riguarda reflui petroliferi e industriali. Ma c’è di più: l’Autorizzazione regionale si basa su un secondo impianto mai entrato in funzione: «L’intera progettazione e il sistema autorizzatorio hanno come presupposto il funzionamento dell’impianto di deodorizzazione che non risulta essere mai entrato in esercizio».

Per filtrare il benzene, che arrivava e arriva in quantità enormi, occorreva e occorre cambiare costantemente i filtri. Ma nessuno, né i privati né il pubblico, ha affrontato questa spesa. Così «è stato scelto consapevolmente e dolosamente di staccare l’impianto e proseguire nonostante il suo mancato funzionamento..Ias è dunque attualmente priva di un sistema di abbattimento delle emissioni in atmosfera e ciò nonostante continua nell’esercizio del depuratore, come se nulla fosse».

Un altro elemento incredibile di questa storia è che la Regione per oltre un decennio non si è accorta che quel depuratore non smaltiva solo reflui civili: «La Regione avrebbe dovuto rilasciare un’autorizzazione allo scarico di sostanze pericolose, l’unica che può avere senso di esistere in relazione al depuratore che dovrebbe smaltire i rifiuti di uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa…e invece l’impianto viene autorizzato a scaricare in mare come se in esso confluissero solo reflui domestici, facendo magicamente scomparire gli ingombranti serbatoi e le sterminate tubazioni delle aziende petrolchimiche che occupano il litorale fra Siracusa e Augusta». La procura ha quindi chiesto aiuto a dei consulenti per rispondere anche a un’altra banale domanda: «È stata o meno compromessa la qualità dell’aria e del mare?». La risposta dei tecnici, dopo analisi e la consultazione di una miriade di documenti, è secca: «La risposta è affermativa».

stefano schirato

La verità comunque è che tutti gli attori di questo romanzo incivile erano consapevoli dello stato dell’arte. Scrive la procura dopo aver letto mail e intercettazioni di scambi tra componenti cda Ias e dirigenti delle società private: «È provato che tutti, esponenti Ias e soci privati, siano perfettamente informati del mancato funzionamento dell’impianto: essi sono quindi tutti consapevoli della impossibilità per il depuratore di garantire una tutela dell’ambiente equivalente nel suo insieme».

Resta allora ancora un’altra domanda: ma dopo il sequestro, cosa è successo? La procura ha nominato un amministratore giudiziario con il compito di chiudere l’impianto. Ma per far questo occorre trovare un accordo con i colossi energetici presenti, che hanno chiesto dai 5 ai 7 anni di tempo per fermare gli impianti senza creare ulteriori danni irreversibili. In questo momento il polo petrolchimico marcia come prima, perché la vera questione di fondo è che non si può fermare la più grande industria di raffinazione del Paese dove lavorano quasi 12 mila persone tra diretti e indotto. E non si fermerà. C’è però un elemento chiave, che non ha nulla di penale, ma è sostanziale: davvero i privati dai fatturati miliardari non possono investire per realizzare un vero depuratore che salvaguardi la salute dell’ambiente, dei cittadini e di chi là dentro lavora? La procura calcola l’investimento minimo necessario in 21 milioni di euro. E la politica, nazionale e regionale, cosa dice? A quest’ultima domanda possiamo in realtà già rispondere: nulla. Nemmeno in campagna elettorale qualcuno ha detto qualcosa su come questo disastro sarà fermato. D’altronde parliamo solo del più grande polo petrolchimico del Paese.