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Inchieste
gennaio, 2023

Calcio e scommesse, quegli sponsor a cavallo tra legge e crimine coccolati dalla Serie A italiana

1XBet, Yabo, Tgb. In nome dei soldi, Lega e club salgono sulla giostra dei bookmaker esteri. Un rapporto che spesso è finito con arresti e licenze sospese

Maneggiare con cura. Avvertenza d’obbligo, largamente ignorata se la Lega calcio di serie A non sembra farsi grandi scrupoli. Eppure bisognerebbe procedere con i piedi di piombo quando si ha a che fare con i bookmaker. Almeno con quelli che operano fuori dalla giurisdizione italiana. Ma pecunia non olet, a patto di essere disponibili a esporsi senza troppe riserve a qualche figuraccia e contribuire al marketing di chi opera senza troppa trasparenza, sgusciando abile tra le mille opportunità offerte dalle zone d’ombra della globalizzazione. Era già successo, succede ancora.

 

Nel 2017 si era scatenato il finimondo, quando la Lega di Serie A, con incredibile leggerezza, aveva firmato un contratto di sponsorizzazione con la 1XBet, società russa di scommesse che a quei tempi operava in Italia nonostante fosse sprovvista della necessaria licenza. La Lega aveva replicato che quell’accordo era stato stipulato dall’advisor Isg (Interregional Sports Group) e che comunque aveva valore solo sul mercato estero. Eludendo il nodo cruciale, come se ricevere soldi da chi opera illegalmente nel proprio Paese sia normale. Da poche settimana 1XBet ha ottenuto una licenza per il mercato italiano, attraverso la Cmobet Srl, azienda di proprietà spagnola, ma fino a pochi mesi fa cipriota, come spiegato in un servizio della trasmissione Report, che ha analizzato le nebulose vicende di quel bookmaker. In Russia, invece, la licenza gli è stata revocata, neanche a dirlo, per scommesse illegali. Nell’ottobre 2021 una manager del gruppo 1XCorp, Olesya Mospanova, è stata invece condannata a 3 anni di reclusione per evasione fiscale. Nonostante ciò i rapporti con la Lega non sono mai stati interrotti, neanche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quando la gran parte dei partner occidentali ha dovuto chiudere ogni relazione con gli imprenditori russi, come i fondatori Roman Semiokhin, Dmitry Kazorin e Sergey Karshkov.

 

Che la trasparenza non fosse il talento della 1XBet era emerso per la verità già molto prima, nel 2019. Risale a tre anni fa la decisione della Gambling Commission inglese di revocargli la licenza, costringendo Chelsea, Liverpool e Tottenham a sfilarsi dagli imbarazzanti contratti di sponsorizzazione. Ma altrove i rapporti hanno resistito, con la nostra Lega calcio e con il Barcellona.

 

Fiaccata ma tutt’altro che vinta, 1XBet ha spostato il proprio mercato di espansione nel continente africano e in Sud America, grazie a licenze che permettono di operare nel mercato del betting in Nigeria, Burundi, Camerun, Ghana, Senegal, Uganda e Zambia, senza dimenticare le munifiche sponsorizzazioni di competizione calcistiche continentali come Champions League africana e Coppa d’Africa.

 

Strategia che va di pari passo con la decisione di spostare la sede operativa dal paradiso fiscale di Curacao a Cipro. Anche questa non proprio una scelta quanto una necessità. Dal momento che Curacao ha dichiarato fallita 1XBet, bersaglio di una class action di un gruppo di scommettitori diventati creditori e rappresentati dall’associazione Sbok che reclamavano il pagamento di 830mila euro mai corrisposti. La prima sentenza risale al 2021 mentre il 6 maggio 2022 è stato respinto anche l’appello, come ha scritto Josimarfootball, il sito che per primo ha pubblicato la storia. Un contenzioso che non avrebbe di certo bloccato 1XBet.

 

Truffe ai clienti, scommesse illegali, opacità aziendale e quant’altro. Non un problema per la Lega di Serie A che ha confermato la sponsorizzazione (sempre tramite l’advisor Isg), naturalmente valida solo per l’estero (in Italia non sarebbe legale), come pure per l’Agenzia dei Monopoli, che non avuto difficoltà nel fornire una licenza.

 

Del resto, quella dei contratti imbarazzanti sembra essere una costante. Due anni fa, la stessa Lega era incorsa nel medesimo infortunio, allora in Asia, dove legarsi a certi marchi comporta insidie anche maggiori. E in quel caso in buona compagnia. Perché alla Lega si era aggiunto il Milan. Entrambi avevano legato la propria immagine a quella di Yabo Sports. Il colosso sportivo del mercato asiatico di casinò online e scommesse sportive ha così potuto affiancare il proprio logo a quello della Lega nel corso delle partite trasmesse in tv in Asia. Quanto al Milan, Yabo sports è stato Official regional partner per l’Asia, partnership annunciata dal club rossonero in un comunicato dai toni entusiastici, in cui si esaltava il nuovo sponsor, definito «leader di mercato nei servizi di gioco interattivo in Asia, che ha rafforzato la sua posizione, sviluppando funzionalità di gioco avanzate e affidabilità per costruire una reputazione già ben rispettata nella Regione».

 

La strategia di Yabo Sports, la stessa di altri bookmaker operanti in Asia era chiara: ottenere il massimo della visibilità in determinati Paesi. E quale modo migliore che sfruttare il traino di grossi club, al pari di Psg, Bayern, Monaco, Manchester United e Federazione Argentina che non sono state da meno nella disinvolta ricerca di sponsor. Anche a costo di scivoloni grotteschi, come quando un modello di bella presenza fu fatto passare per dirigente del gruppo, in occasione di presentazioni ufficiali degli accordi di sponsorizzazione, come ha ricostruito la stampa online inglese.

 

Ma c’è un risvolto in questa storia sul quale vale la pena riflettere. Yabo aveva licenza nelle Filippine, ma operava in tutto il continente asiatico, compresa la Cina, laddove aveva pure il grosso dei clienti. Ma, e il ma non è di poco conto, Yabo in Cina non poteva ufficialmente operare perché le scommesse sono illegali dal 1949, ovvero dall’avvento del regime comunista di Mao. La partnership con Lega e club è stata dunque uno dei cavalli di Troia della società per rendere manifesta la propria presenza in un mercato che sul piano formale le è precluso. Curioso che si voglia essere presenti dove in realtà non si avrebbe alcuna possibilità di essere, a meno di non considerare che in Cina il mercato illegale delle scommesse, contro il quale il regime annuncia a ondate il pugno di ferro, genera un volume d’affari di 140 miliardi di dollari all’anno, una torta che il Partito non intende lasciare fuori dal proprio controllo.

 

L’anno scorso il marchio Yabo Sports è scomparso. La Lega di A ha spiegato che «la partnership è terminata a scadenza regolare di contratto» e che ora «ha come International main partner beIT, per promuovere il made in Italy nel mondo». Quanto al Milan ha lasciato cadere il silenzio.

 

In realtà il tramonto di Yabo ha a che fare con una colossale indagine partita già nel 2019, quando Lega e Milan accettarono la sponsorizzazione, e conclusasi con una serie di rumorosi provvedimenti: 4000 arresti, lo smantellamento della sede operativa cinese, l’oscuramento del sito Internet. È stato ricostruito che la rete del bookmaker contava 80 mila agenti per il reclutamento di clienti, 5,6 milioni soltanto in Cina, per il piazzamento delle giocate. Numeri colossali, al pari di profitti stimati in 15 miliardi di dollari, al cospetto dei quali paiono spiccioli però i 200 mila euro sequestrati.

 

A condividere la recidiva della Lega c’è anche l’Inter che all’inizio del 2022 aveva annunciato l’accordo di partneriato in Asia con Ayx, da questa stagione sostituita da Hua ti Hui (Hth). Entrambi bookmaker asiatici sbarcati nel Regno Unito e sponsor del Manchester United, peraltro già legato a Yabo. L’ingresso in Gran Bretagna era avvenuto tramite Tgp Europe, una white label (con sede nell’Isola di Man) specializzata nel gioco online con licenza della Gambling commission. In pratica una società schermo sul conto della quale l’ente pubblico inglese che vigila sul mondo delle scommesse aveva sollevato il dubbio che fosse diventata il mezzo attraverso il quale bookmaker non in grado di ottenere una licenza direttamente aggirassero l’ostacolo. Perplessità accentuate dalla storia stessa dell’azienda. Tgp Europe, come risulta da fonti aperte, è infatti una diramazione di Tgp Group, a sua volta una filiale del Suncity Group, uno dei più grandi provider di casinò e bookmaker online in Asia. Il gruppo ha sede a Macao, enclave del gioco, nella regione autonoma cinese. Il ceo è Chau Cheok-wa, conosciuto come Alvin Chau, arrestato l’anno scorso su ordine della Procura del popolo di Wenzhou per riciclaggio, frode e gioco illegale: rischia 12 anni di carcere.

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