Nel 2021 Giorgia Meloni tuonava contro la cessione a Lufthansa, mentre adesso è più che favorevole. Intanto il giocattolo della politica continua a bruciare cassa a spese di tutti

Ita Airways sta per conseguire due record mondiali decisamente inarrivabili. Ovvero la più breve vita di una compagnia di bandiera, conseguenza della più rapida vendita all’estero di una società pubblica.

 

Il 14 ottobre 2021 Giorgia Meloni si scagliava contro «il governo Draghi e il management di Ita», responsabili di aver «massacrato la nostra compagnia di bandiera» allo scopo di «spolpare un asset strategico nazionale per trasformare Alitalia in una low cost, magari da svendere domani ai tedeschi di Lufthansa». L’Alitalia in questione era la seconda in amministrazione straordinaria, da quattro anni, dopo che la prima Alitalia c’era già finita nel 2008. Nell’ottobre 2021 era a fine corsa. Ma il tricolore doveva a tutti i costi continuare a sventolare sul disastro. Ed era ovvio che in campagna elettorale il futuro signor presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intimasse con tono perentorio al premier in carica, Mario Draghi, di mollare l’osso: «Mi auguro che smentisca l’ipotesi di un’accelerazione del processo di vendita di Ita a Lufthansa».

 

Una scena già vista 14 anni prima, quando alla vigilia delle elezioni che l’avrebbero rimesso in sella Silvio Berlusconiaveva bloccato (con la complicità dei sindacati) la vendita della originaria Alitalia ad Air France. Ponendo le premesse per ben due fallimenti a ripetizione della stessa compagnia: altro record mondiale. Il bello è che prima di quella campagna elettorale il Cavaliere tifava per Air France.

 

Qui è andata più meno allo stesso modo. Ma stavolta chi prima delle elezioni mai avrebbe venduto ai tedeschi, dopo le elezioni ai tedeschi ha venduto eccome. «L’accordo tra Ita e Lufthansa» è una «testimonianza di quanto gli interessi nazionali» di Italia e Germania «possano essere convergenti» dice adesso Giorgia Meloni, dopo una chiacchierata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. E non vede l’ora che Ita diventi berlinese. Sarà lei ad ammainare il tricolore che non voleva far ammainare a Draghi. Arrivando perfino, dopo essersi intestata l’operazione che non voleva, a battere i pugni a Bruxelles dove traccheggiano causa sospetto che fra Ita e Alitalia (da cui la nuova compagnia ha ereditato aerei e personale) non ci sia la necessaria totale discontinuità: «Mi aspetto che non si perda tempo».

 

E almeno da questo punto di vista chi può darle torto? Ogni giorno che passa è un bagno di sangue. Ita è stata costituita l’11 dicembre 2020 con due Alitalia già in amministrazione straordinaria: la prima dal 2008, la seconda dal 2017. Partita con un capitale di 699 milioni, nei primi due anni ha accumulato perdite per 636 milioni. Cioè il doppio di quanto Lufthansa sia disposta a sborsare (325 milioni) per rilevare dal Tesoro il 41 per cento della società in base a un patto, ancora sub iudice a Bruxelles, che consentirà comunque all’azionista tedesco di avere la gestione della compagnia. In tre anni al timone di Ita si sono avvicendati tre presidenti, Francesco Caio, Alfredo Altavilla e Antonino Turicchi. Più ben 17 (diciassette) consiglieri di amministrazione. Fra questi l’amministratore delegato Fabio Lazzerini, già manager Alitalia, designato con il presidente Caio dal governo Conte ancor prima della costituzione della società dal notaio, e poi silurato dall’attuale governo in attesa di consegnare la compagnia ai tedeschi.

 

In questa vicenda lascia basiti il fatto che non abbia insegnato nulla la tragica (per i conti pubblici) storia dell’Alitalia: un solo bilancio in utile in trent’anni, due liquidazioni, una sequenza infinita di inefficienze e sprechi. Una decina di miliardi caricata sulle spalle dei contribuenti.

 

Nel 2018, pochi mesi dopo il secondo crac, il rigurgito statalista del primo governo Conte travolge la realtà. Il capo del M5S Luigi Di Maio è ministro dello Sviluppo e si è messo in testa che l’Italia deve avere la propria compagnia di bandiera. L’Alitalia è morta? Bene, risorgerà come Lazzaro. La tesi è che sia strategica per il turismo, come già diceva Berlusconi dieci anni prima. L’ossessione del turismo non risparmia nessuno, a destra e a sinistra. Però è una colossale bufala propagandistica. Se la quota di mercato del vettore italiano scende (è sotto il 9 per cento), di turisti ne arrivano più di prima.

 

Per il nuovo progetto statalista si mobilitano le Ferrovie dove il nuovo capo voluto dai grillini, Gianfranco Battisti, già assapora la chiusura delle tratte ferroviarie più lunghe, tipo Milano-Palermo, per dirottare i passeggeri dei treni sugli aerei. La cosa però non va in porto. E sfumano altre ipotesi autarchiche, tipo il coinvolgimento di Atlantia, holding di Autostrade reduce dal disastro del ponte Morandi a Genova. Finché non arriva la pandemia e i grillini, che non vogliono mollare, anziché ostinarsi a rimettere in pista l’Alitalia piazzano in un decreto Covid la norma che farà nascere una nuova compagnia di bandiera controllata dallo Stato. Stanziamento: 3 miliardi. È il secondo governo Conte, quello nel quale il Pd di Nicola Zingaretti ha sostituito la Lega di Matteo Salvini. Ministro dell’Economia, l’attuale sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

 

Fin da subito si capisce però che la cosa non sta in piedi. Lo capiscono tutti, tranne (apparentemente) chi è nella stanza dei bottoni. Che dovrebbe fare l’unica cosa sensata: congelare tutto. Ma come spiegarlo ai sindacati? E poi la macchina è già in moto, la vernice azzurra è ordinata, gli appalti in partenza, il nuovo logo allo studio… Gli esperti si sgolano a dire che con meno di 100 aerei non regge, e Ita ne ha sì e no la metà. Tutto inutile. Si va avanti, ma dura un amen.

 

A poco più di un anno dalla nascita della compagnia creata per rinverdire i fasti della grande Alitalia pubblica il ministro dell’Economia Daniele Franco, governo Draghi, comunica che Ita è in vendita. È la resa incondizionata, a coronamento di una assoluta follia per cui uno Stato che fonda una società, mettendoci pure dentro un sacco di soldi dei contribuenti, subito la offre a qualche acquirente estero. Difficile da spiegare. Anche perché chiunque capisce che le premesse erano sbagliate. E la situazione ben presto precipita. Il presidente Caio dura sei mesi, poi se ne va alla Saipem: più soldi e meno guai. Ancora otto mesi e stavolta dal cda si dimettono in sei. Resistere è impossibile. La compagnia perde più di un milione al giorno e l’emorragia non si arresta.

 

A maggio 2022 il ministro Franco comunica che la cessione va conclusa rapidissimamente, entro giugno. Ci sarebbero tre cordate ma il vero acquirente è tedesco. Lo annusa prontamente il patron di Ryanair, da mesi in guerra con il governo Meloni. In epoca già sospetta Michael O’Leary si dice sicuro che Ita «verrà comprata da Lufthansa». E aggiunge: «Ne farà la sua compagnia low cost».

 

Così ora siamo tornati a quel dicembre del 2007, quando il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa che voleva cedere Alitalia ad Air France diceva di essersi sentito «come l’autista di un’ambulanza» che stava trasportando un malato grave «nell’unico ospedale disposto ad accettarlo». Con l’unica differenza che adesso l’ospedale non è francese ma tedesco. Viva l’Ita(lia).