La fuga dei giovani verso gli atenei settentrionali accentua la spaccatura fra due Italie. Ogni anno le famiglie si dissanguano per mantenere i ragazzi dove potranno trovare lavoro. E spesso partono anche i genitori. Storia di un trasferimento che nessuno racconta

Il tram numero 9 dell’Atm di Milano racconta storie diverse secondo l’ora e il giorno. Intorno al pranzo ci sono i senza fissa dimora che vanno a mettersi in fila all’Opera San Francesco di piazza Tricolore, accanto all’hotel di lusso Château Monfort. Nel fine settimana, dalla sera, il 9 diventa il mezzo di trasporto ufficiale dei giovani in transito verso i quartieri di movida attraversati dai binari: Porta Venezia, i Navigli, via Savona. Sono tirati a lucido, parlano di esami e di tesi magistrali. Non temono di affrontare i conti di bar e ristoranti dove l’autista Atm, con il suo stipendio da 1500 euro, avrebbe paura a entrare. Come il tramviere arrivato a Milano in cerca di lavoro, i passeggeri del 9 hanno in larga maggioranza accenti del Sud appena addomesticati da quel flair meneghino che oggi significa, per dirla con il Dogui dei film dei Vanzina, «stare in pole position».

 

Anche quest’anno la meglio gioventù della borghesia meridionale si è spostata in massa verso gli atenei del Centronord, quelli che promettono lavoro sicuro e persino qualificato. I politecnici di Torino e Milano, la Bocconi, la Cattolica, il San Raffaele Vita e salute, la Sapienza di Roma, Iulm, Lumsa, Ied. Privato è meglio. Si entra più facilmente anche se si paga di più.

 

Ma i figli sono pezzi di cuore. Nessuno lo sa meglio di una madre o di un padre che vivono in un Mezzogiorno travolto dalla crisi economica, demografica, dove persino le mafie ormai recalcitrano a investire. I bravi genitori che hanno accettato una decadenza senza fine, in peggioramento con l’imminente arrivo dell’autonomia regionale differenziata, gettano il cuore oltre l’ostacolo ogni mese fra tasse di iscrizione e rate di frequenza che possono arrivare a 20140 euro l’anno, come nel caso dell’International Md program del San Raffaele, contro un’immatricolazione per la magistrale in Bocconi a quota 16103 euro.

 

L’università può non essere la spesa maggiore. A Milano, soprattutto, ma anche a Torino, Bologna, Firenze, Padova, una stanza in condivisione a 900 euro entro i confini municipali è un costo ancora economico. Nello studentato milanese Hines in zona Bocconi (Aparto Giovenale) un vasto monolocale da 27 metri quadrati va a 1300 mensili. Però c’è lo studio yoga, il cinema e la palestra, anzi, il gym dove si può fare workout nel Milan lifestyle.

 

Per il Campus X Bicocca si può arrivare a 1700 euro, oltre ventimila l’anno. Molti di questi interventi immobiliari privati che aspirano a togliere i giovani contestatori dalle tende davanti alle facoltà sono cofinanziati dal Miur in base alla legge 338 del 2000. I genitori, invece, si finanziano da sé. La combinazione università più affitto può arrivare facilmente oltre i 30 mila euro l’anno, senza calcolare vitto, abbigliamento, libri e altri costi più o meno voluttuari.

 

«È la nuova questione meridionale», dice Luca Bianchi, direttore generale del centro studi Svimez nato nel dicembre 1946, sei mesi dopo il referendum monarchia-repubblica stravinto dai Savoia al Sud. «La migrazione dei talenti e delle competenze negli ultimi vent’anni ha portato a una perdita di 300 mila laureati al Sud e il saldo dell’ultimo anno disponibile, il 2021, è di -21 mila, con una quota in crescita. Gli emigrati laureati aumentano anche quando aumenta l’occupazione perché sono posti a basso valore aggiunto, nel turismo, nel commercio. Per le immatricolazioni agli atenei del Centro-nord, invece, si parla di un quarto di iscritti che vengono dal Sud».

 

Dal rapporto annuale che Svimez presenterà a fine novembre, l’Espresso può anticipare che ogni laureato vale 150 mila euro di spesa pubblica. «Questa cifra proiettata sui ventimila che vanno via ogni anno», aggiunge Bianchi, «dà 3 miliardi di euro di trasferimento implicito verso Nord. La contabilità territoriale chiesta dall’autonomia differenziata non ha senso in un paese integrato come l’Italia e lo svantaggio distributivo patito dal Nord è un mito».

 

I costi di investimento pubblico, ovviamente, non includono la spesa diretta delle famiglie sul mantenimento e, per così dire, la manifattura del futuro laureato. A volersi divertire con le cifre, il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 2022-23 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede elaborato da Svimez si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centro-nord, da aggiungere ai 3 miliardi di spesa pubblica dei laureati.

 

Comprare casa al rampollo, con la bolla immobiliare e i mutui alle stelle, significa sborsare non meno di un quarto di milione, se ci si accontenta di un tugurio. Oltre a questi aspetti più immediati, il travaso di risorse dal sud verso il nord pone questioni a medio-lungo termine. Per esempio, la riqualificazione energetica diventa più facile per un piccolo proprietario foraggiato dagli affitti e riguarda non solo la cintura urbana dei poli di maggiore attrazione ma anche l’hinterland. È più facile investire sul rinnovamento a Vimodrone, comune della periferia milanese sulla metro verde che porta al San Raffaele o magari nelle campagne dalle parti di Trigoria.

 

 

Nota per accogliere il centro sportivo dell’As Roma e il Campus Biomedico (da 13500 a 18 mila euro l’anno di iscrizione), Trigoria è a venti chilometri dal centro della città, oltre il Gra. Eppure una stanza quota intorno ai 500 euro al mese nonostante i posti della facoltà di medicina siano limitati a 150. In prospettiva dell’invecchiamento dei genitori-finanziatori, nella vicina Fonte Laurentina è pronto il co-housing per anziani dell’Over Senior residence. Sempre oltre il raccordo anulare, sulla Tiburtina c’è l’Unicamillus, parecchio oltre il capolinea della metro B di Rebibbia, che offre corsi in medicina a 21 mila euro l’anno.

 

Anche la Hunimed ha rette oltre i 20 mila euro proporzionate alla sua fama di ateneo internazionale. L’università del gruppo sanitario Humanitas di Rozzano si è insediata nel comune di Pieve Emanuele, che negli anni Ottanta era un esempio urbanistico da manuale di ghetto per meridionali con i palazzoni dell’Incis e il suo residence frequentato da poliziotti e carabinieri dove il dialetto lombardo era raro come una sera senza nebbia. Anche qui, il mercato immobiliare si è adeguato verso l’alto.

 

Gli ultimi dati disponibili sulle immatricolazioni fuori regione sono spettacolari. Nell’anno 2019-2020 gli iscritti non residenti erano 64165. La pandemia è passata senza tracce perché nel 2021-2022 sono stati 72994, quasi novemila in più. Le percentuali più alte di fuori regione, manco a dirlo, sono in Bocconi (72,7 per cento), a Trento (66,5 per cento), al San Raffaele di Milano (64,1 per cento). Sopra il 50 per cento ci sono le romane Luiss, Biomedico e Link campus.

 

La macchina che ha tenuto in piedi il boom economico del secolo scorso era fatta di contadini o sottoproletari emigrati verso le industrie del settentrione con le loro rimesse ad alimentare il Mezzogiorno. Oggi quel sistema è completamente saltato e nemmeno un insegnante può permettersi la vita da fuori sede al Centronord. In un certo senso, vige la teoria economica del trickle-down al rovescio. Al posto dei ricchi che guadagnano sempre di più e che fanno “gocciolare” parte della ricchezza verso gli strati inferiori della scala sociale, ci sono le famiglie borghesi del Sud che aumentano il benessere già consistente di chi ha una rendita di posizione nei centri urbani del Nord. E il fenomeno si allarga dai giovani ai genitori stessi che, alla lieta novella dell’impiego dei pargoli, ergo della possibile nuova famiglia, progettano di trasferirsi a fare i nonni con il vantaggio di un sistema sanitario migliore.

 

Proiettato in un futuro più vicino, lo scenario della nuova migrazione diventa catastrofico se l’aspetto di depauperamento patrimoniale si combina con il cosiddetto inverno demografico. L’Istat ricorda che nell’anno di grazia 2061, al Sud vivrà il 30,7 per cento degli ultrasettantenni e nel rapporto dello scorso 12 ottobre dedicato ai “Giovani del Mezzogiorno” segnala un crollo nel numero di giovani in tutta Italia. Nel periodo 2002-2022 i cittadini fra 18 e 34 anni sono scesi di 3 milioni dai 10,2 milioni di vent’anni fa. Ma in percentuale il Sud ha perso quasi l’8 per cento in più del Centronord e questo dato è ancora ottimistico perché gran parte degli studenti meridionali fuori sede aspetta di avere trovato un lavoro post laurea prima di cambiare residenza. Altri decidono di fare la triennale al Sud e prendere la magistrale al Centronord. Il totale è che nelle città meridionali, durante la stagione accademica, è arduo vedere in giro un ventenne.

 

«Per i giovani del Mezzogiorno», afferma l’istituto nazionale di statistica, «la migrazione universitaria, che si attiva soprattutto verso gli atenei settentrionali, assume proporzioni considerevoli: coinvolge oltre un caso su quattro all’atto dell’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea. Inoltre, il fenomeno della mobilità per studi universitari nel Mezzogiorno riguarda in misura leggermente superiore gli uomini rispetto alle donne».

 

Per un minimo di verifica sociologica basta guardarsi attorno e ascoltare i discorsi dell’estate, dominati dall’esodo verso nord dei pargoli appena diplomati. Prendiamo tre coppie. Una è medico più avvocato. La seconda è bancario più avvocato. La terza è monoreddito con coniugi divorziati. Qui il caso è aggravato dal fatto, in teoria positivo, che la diplomata è in classifica sia in un’università privata sia in una pubblica. In attesa dei vari slittamenti delle graduatorie secondo le scelte dei meglio piazzati, il padre ha dovuto anticipare 14 mila euro all’Unicamillus che perderà se la figlia entrerà alla Sapienza. I sei genitori di queste matricole hanno tutti studiato nell’ateneo di prossimità. In questo caso, si tratta di Messina, che è stata a lungo il riferimento universitario per parte della Sicilia orientale e della Calabria meridionale.

 

È probabile che anche le loro famiglie negli anni Ottanta del secolo scorso avrebbero potuto sostenere il sacrificio economico di mantenere un figlio in un ateneo fuori sede. Ma per la generazione dei boomers sembrava avere meno senso spostarsi verso nord e l’iscrizione in università era non solo un segno di distinzione sociale ma anche una probabilità maggiore di trovare posto senza emigrare, grazie al “pezzo di carta” chiamato laurea.

 

Oggi basta guardare la classifica Censis delle università italiane pubblicata nel luglio 2023 per capire dove conviene studiare. Nell’elenco dei grandi atenei privati, con oltre 10 mila iscritti, è in testa la Bocconi con 90,4 punti seguita a distanza dall’altra milanese, la Cattolica.

 

Nei medi atenei privati da cinquemila a diecimila studenti il podio è: Luiss di Roma, Iulm di Milano e Lumsa, che ha sede nella capitale con poli a Palermo e a Taranto. Nel pubblico, c’è ancora meno partita. Fra i mega atenei che contano oltre i quarantamila iscritti, la prima è Bologna. Seguono Padova, la Sapienza di Roma, Pisa e la Statale di Milano. Palermo è settima, Bari nona e la Federico II di Napoli decima.

 

Per trovare traccia di Sud nelle parti alte del ranking bisogna andare sui grandi atenei, quelli che hanno fra ventimila e quarantamila iscritti, con l’Unical di Cosenza al terzo posto. L’università calabrese rimane uno dei rari poli di attrattiva accademica del Mezzogiorno, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale. Ha fatto scalpore il colpo di mercato del rettore Nicola Leone che a settembre ha ingaggiato da Oxford un luminare dell’Ai come Georg Gottlob. Quest’anno Cosenza-Arcavacata ha anche inaugurato il suo corso in medicina in concorrenza con l’università della Magna Graecia di Catanzaro-Germaneto. La sanità è di sicuro un’emergenza in tutto il Mezzogiorno. Ma c’è da capire quali strutture troveranno i dottori in formazione che, come dice la madre medico di una delle ragazze in partenza per Roma, «vogliono tutti fare i dermatologi per entrare nel privato e guadagnare con l’estetica».

 

È la stessa logica dei bocconiani che, appena laureati, finiscono nei i colossi della consulenza come Kmpg, Deloitte, Pwc, Ernst Young, Boston o nella finanza a lavorare quattordici ore al giorno in attesa di salire nella scala gerarchica e retributiva.

 

Magari qualcuno di loro deciderà di tornare al Sud, sull’onda di crisi di rigetto individuali. Sono i casi che finiscono raccontati sui giornali in modo consolatorio con titoli come: lavoravo a Goldman Sachs, oggi allevo capre sui Nebrodi. Con tutto il rispetto per i neorurali, la macchina dell’economia nazionale non vive di formaggi erborinati ma di fatturati e asset. Su questo fronte, la spaccatura sotto Roma si fa sempre più profonda.