Retroscena
Il grande freddo tra Giorgia Meloni e John Elkann
La premier non ha mai ricevuto il presidente di Stellantis, a differenza dei suoi predecessori. Una diffidenza che viene da lontano e che ha cause non solo politiche
La prima ipotesi è che manchi empatia. La seconda è che ce ne sia troppa. Così l’uno non vuole conoscere l’altra o viceversa l’altra non vuole conoscere l’uno perché lo ritengono superfluo, non gradevole, forse pure un pochino seccante. Sta di certo che non era successo in altre epoche di reciproca diffidenza e indifferenza: il presidente di Stellantis (ex gruppo Fiat) John Elkann non ha incontrato mai la quasi coetanea presidente del Consiglio Giorgia Meloni. In un anno e due mesi di governo non c’è stato modo, tempo, voglia. Soprattutto voglia.
Che John e Giorgia non si piacciano, non si frequentino, non si confrontino, non sono questioni private, per richiamarsi alla rinomata letteratura piemontese, perché di mezzo ci sono decine di migliaia di dipendenti di Stellantis e altre decine di migliaia barcollanti nel precario indotto. Ciascuno ha i suoi legittimi interessi da curare, ma le relazioni interpersonali – altro che protocolli, burocrazie, cerimoniali – fanno la differenza. Il machiavellico Winston Churchill e il pragmatico Franklin Delano Roosevelt non avrebbero firmato la Carta Atlantica sotto le bombe se l’uno non avesse riscontrato nell’altro una sincera complicità emotiva.
In passato Elkann è stato ricevuto a Palazzo Chigi a piedi e in auto per le campagne mediatiche, da solo e in gruppo con gli amministratori delegati Sergio Marchionne, Michael Manley, Carlos Tavares, che ci fossero Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi o che ci fossero Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi. Quest’ultimo ha ospitato Elkann più volte e addirittura l’ha convocato assieme alle aziende di Stato a una riunione urgente sul fabbisogno e la transizione energetica dopo l’aggressione militare dei russi in Ucraina. Cioè Draghi ha consultato Elkann in un momento di grave emergenza nazionale. Un anno fa c’era una ordinaria consuetudine, adesso c’è un ostentato distacco fra il presidente di Stellantis e la presidenza del Consiglio.
Meloni ha un pensiero e un profilo “totus politicus”, porta con sé la carriera forgiata sempre in minoranza e sempre in opposizione a quei poteri – variegatamente e variabilmente forti – che Elkann rappresenta, anzi incarna. Più dritta: l’una non riconosce l’altro (e perciò si fatica a conoscersi meglio). Nei teoremi complottistici che angosciano i partiti italiani, e pare che non siano alieni neanche a questa coalizione, Elkann svolge il ruolo del “cattivo” che crea pericoli e ostacoli al governo con i giornali di sua proprietà in Italia e fuori (assai temuto è l’Economist) e le sue ramificazioni in Europa. Con un’aggravante: i soci di maggioranza del gruppo ex Fiat sono francesi, i cari amici nemici. Anche se va specificato che Stellantis non goda di grande accoglienza presso il Gabinetto di Emmanuel Macron, nonostante la presenza tra gli azionisti di una banca legata alla Cassa Depositi e Prestiti parigina. Vantaggio statale per i francesi che ha indotto il governo italiano di centrodestra, sin da subito, a pronosticare una “fuga” dalla madre patria della famiglia Elkann e, in particolare, a riflettere su un complicato ingresso pubblico in Stellantis. Al minimo accenno, il placido Elkann si è irritato: «Gli Stati entrano nelle imprese quando vanno male e Stellantis va molto bene».
In questa ordalia di pregiudizi, tuttavia, nessuno fa uno strappo alla regola ferrea che s’è imposto. La freddezza. Da Palazzo Chigi fanno sapere con precisione didascalica che non risultano appuntamenti ufficiali fra Elkann e Meloni. E fonti vicine a Stellantis fanno notare che le interlocuzioni con Palazzo Chigi «riflettono le attività dei tavoli tecnici sui diversi dossier». Vuol dire che i rapporti sono formali, li dettano le esigenze di azienda e di governo. Le stesse fonti vicine a Stellantis sottolineano che, in nome della multinazionale Stellantis e del marchio italiano di eccellenza Ferrari, i contatti istituzionali di Elkann col Quirinale si «svolgono su base regolare a prescindere dai dossier di cui sopra». Ancora un supporto di traduzione simultanea: la sintonia/empatia con la presidenza della Repubblica, invece, è intatta. Speciale.
Per i succitati “dossier” il referente principale di Stellantis è il ministero per le Imprese di Adolfo Urso, un esponente di Fratelli d’Italia non di stretto rito meloniano. Con il leghista Giancarlo Giorgetti, predecessore di Urso e oggi al ministero dell’Economia, i dirigenti di Stellantis e il medesimo Elkann hanno una buona familiarità che si tramanda dal periodo Draghi. Un giorno ci fu una videoconferenza di un’ora e mezza tra Elkann e Giorgetti.
Il mantra di Urso è il “milione” di veicoli sfornati in Italia nel giro di qualche anno. Il ministero per le Imprese ha appena ottenuto un risultato (da non scambiare con un successo) di un “tavolo” di lavoro per riunire a dicembre i vertici di Stellantis, i sindacati di categoria, i presidenti delle regioni che hanno stabilimenti e l’associazione nazionale della filiera del settore automobilistico. La fotografia richiederà un angolo largo. Vedremo poi se da incorniciare o da strappare. Però il ministro Urso è molto prudente. Ha accumulato notizie dirette parlando con l’amministratore delegato Tavares, il vicepresidente Davide Mele, il presidente Elkann.
Lo scorso luglio Urso ha regalato una copia della Costituzione al portoghese Tavares in visita al ministero di via Veneto. Tavares era reduce da un battibecco col ministro francese Bruno Le Maire che aveva osato invitare Stellantis a «fornire prova di patriottismo» (lì hanno Peugeot) e si era beccato una risposta contundente: «Andiamo dove ci conviene». In quei giorni il governo Meloni, inoltre, aveva appreso che le iconiche Fiat Topolino e Fiat 600 con motori elettrici, bandiere di italianità, erano assegnate a fabbriche in Marocco e Polonia. Dunque il ministro Urso a Tavares aveva evidenziato col pennarello gli articoli 1 e 41 della Carta. L’1 era la premessa con la Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il 41 era il messaggio: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
Il ministero per le Imprese ha un unico strumento per tentare di influenzare le strategie di Stellantis: gli incentivi. Il governo pretende che alle «profonde radici italiane» celebrate da Elkann corrisponda un’azione coerente: gli investimenti, e non una sensazione di costante e inesorabile smobilitazione. Stellantis ha accettato di sedersi a questo tavolo affollato con sindacati e politici per non peccare (a proposito) in pregiudizi, ma le condizioni poste da Tavares per arrivare a un accordo non sono miti: contribuiti statali, energia a prezzi bassi, norme europee più elastiche. Segnali di salute in un contesto di gravi malanni. Ci vorrebbe una telefonata fra Giorgia e John per allungare la vita in Italia di Stellantis. O almeno un bel vocale. Che è lo strazio inflitto a chi non ti è proprio simpatico.