Cyprus Confidential
Khudainatov, il prestanome di Vladimir Putin con ville e interessi in Italia
Il super-yacht sequestrato a Marina di Carrara, le residenze di lusso di Portofino e dei Parioli. E poi auto e società. Ecco le ricchezze del leader russo nel nostro Paese, camuffate sotto il nome dell'oligarca
Per cercare il tesoro di Vladimir Putin, bisogna seguire la scia di Scheherazade, super yacht da 140 metri ancorato a Marina di Carrara, valore stimato di 700 milioni di dollari, con equipaggio russo. Quando scoppia la guerra in Ucraina, quel panfilo con eliporto, palestra e piscina, che era fermo da mesi nel porto toscano, comincia a essere attrezzato per una rapida partenza. La Guardia di finanza sospetta una fuga per evitare le sanzioni: il 4 marzo 2022 gli investigatori si presentano nel cantiere, sentono il comandante (inglese) e si fanno consegnare tutta la documentazione. La notizia in Italia resta riservata.
Quattro giorni dopo è il New York Times a pubblicare il primo servizio sullo «yacht dei misteri», rivelando che era protetto da eccezionali misure di sicurezza, con una barriera per nasconderlo e il nome oscurato: fonti americane ipotizzano che fosse a disposizione del presidente russo, ma non ci sono conferme. Il 21 marzo i giornalisti del sito investigativo di Alexei Navalny, attivista anticorruzione e grande oppositore dello zar di Mosca, rivelano che la proprietà dello yacht, dietro lo schermo di una società offshore, è intestata a un oligarca russo, che però sarebbe solo un prestanome di Putin. Navalny, sopravvissuto a un avvelenamento, resta rinchiuso dal gennaio 2021 in un carcere russo, ma i suoi reporter quel giorno documentano che dodici membri dell’equipaggio fanno parte dell’ufficio scorte del Cremlino: sono tutti dipendenti del Servizio federale di protezione. E almeno uno di loro ha lavorato anche sul Graceful, uno yacht da 82 metri già attribuito a Putin da altre indagini internazionali. Il riscontro è notevole: un magnate può assumere guardie del corpo private, ma solo una personalità di vertice dello Stato può beneficiare di una scorta pubblica così numerosa in un panfilo ormeggiato lontano dalla Russia.
L’oligarca sospettato di essere un tesoriere personale di Putin si chiama Eduard Yurevich Khudainatov. Il suo nome compare più volte nei Cyprus Confidential, le carte riservate degli studi professionali di Cipro che gestiscono società anonime per ricchi clienti di mezzo mondo. Il presunto fiduciario dello zar di Mosca è collegato a dozzine di compagnie che controllano enormi ricchezze in Russia, nell’Unione europea e in diversi paradisi fiscali, per un valore totale di circa due miliardi di euro. Lo rivelano i documenti riservati ottenuti dal consorzio Icij, dalla testata tedesca Paper Trail Media e dal sito russo indipendente iStories, che L’Espresso ha potuto esaminare in esclusiva per l’Italia.
Finora si conosceva un altro tesoriere-prestanome di Putin, il violoncellista Sergey Roldugin, l’amico più stretto del presidente: l’inchiesta giornalistica Panama Papers aveva svelato che controlla una rete di offshore, in diversi paradisi fiscali, che hanno gestito circa due miliardi di dollari, una cifra non certo giustificabile in base al suo stipendio di professore del Conservatorio di Mosca. Ora c’è il forte sospetto che pure le ricchezze accumulate da Khudainatov trovino origine nei legami con il presidente, che può quindi beneficiarne anche personalmente.
Il super yacht intitolato a Scheherazade, la narratrice protagonista delle “Mille e una notte”, batte bandiera delle Cayman, ma è intestato a una compagnia anonima di un altro paradiso fiscale: la Bielor Asset Ltd delle Isole Marshall. Fin dal 28 marzo 2022 i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria, in un dossier di sette pagine che L’Espresso ha letto, attestano che i 24 componenti dell’equipaggio sono tutti cittadini russi e ricostruiscono la catena di controllo del panfilo, risalendo fino all’intestatario di quella società esotica, che è proprio Khudainatov. E già in un altro rapporto preliminare gli investigatori italiani ipotizzavano che avesse «significativi collegamenti economici e d’affari» con «elementi di spicco del governo russo». Il nome non viene palesato, ma il messaggio è chiaro: è un probabile prestanome di Putin.
Khudainatov mostra di amare molto l’Italia. Oltre a veleggiare lungo le nostre coste a bordo dello Scheherazade con i suoi ospiti eccellenti, nel 2014 ha acquistato Villa Altachiara, la famosa residenza di Portofino, a picco sul mare, che era appartenuta alla contessa Francesca Vacca Agusta. Prima della guerra, ha comprato un altro immobile prestigioso, Villa Serena, a Roma, nel quartiere Parioli: una palazzina disegnata dall’architetto Garibaldi Burba agli inizi del Novecento. Solo per il progetto di ristrutturazione, con marmi e arredi di lusso, ha stanziato 50 milioni. Le ville sono state gestite da personale russo in un clima di segretezza, per poter ospitare personalità che non gradivano pubblicità.
Tutte le proprietà italiane, acquisite a un costo totale di 57 milioni, sono state sequestrate quando l’oligarca è finito nella lista nera dei cittadini russi sanzionati. Tra i beni bloccati c’è anche una Porsche, oltre a una società italiana con sede proprio a Portofino. In quella black list, varata il 3 giugno 2022 dall’Unione europea, il nome di Khudainatov è collegato a una scheda di motivazione che riassume i suoi collegamenti ai massimi livelli: viene infatti «associato a Vladimir Putin e a Igor Sechin», il top manager del petrolio di Stato. Il provvedimento europeo aggiunge che «ha ricevuto favori dal governo russo».
Tutta la carriera dell’oligarca, ricostruita da L’Espresso attraverso documenti ciprioti e russi, è una storia di affari e politica. Khudainatov è un uomo misterioso, impenetrabile, riservato, che fa filtrare poco o nulla di sé. Nasce nel 1960 in una città del Kazakistan, quando questo faceva parte dell’Unione sovietica. Frequenta l’università nella regione di Tyumen, nella Russia siberiana, dove si laurea in Economia. Dal 1997 diventa membro della locale Duma, il Parlamento regionale. La svolta arriva nel 2000, l’anno della prima campagna presidenziale di Putin. Il politico ne diventa il responsabile per la sua regione, contribuendo alla vittoria elettorale del presidente, che apprezza. In seguito Khudainatov viene assunto come manager nell’industria petrolifera statale: prima lavora in una consociata della Gazprom, poi passa alla Rosneft, dove dal 2008 scala le gerarchie aziendali fino a essere nominato, nel 2012, vicepresidente.
Nel corso di tutta la sua folgorante carriera, continua a mantenere un basso profilo. E anche per questo riesce a stringere legami sempre più forti con personaggi di primissimo piano, come l’oligarca pluri-miliardario Gennady Timchenko (soprannominato “il bancomat di Putin”) e soprattutto con Igor Sechin, il boss della Rosneft, gigante petrolifero di Stato. Sechin è un amico intimo del presidente, è stato il suo segretario quando entrambi lavoravano per il sindaco di San Pietroburgo e poi è diventato anche il suo vicepremier.
Nell’aprile 2012 è Khudainatov, come numero due della Rosneft, a firmare l’accordo con Eni per cercare giacimenti nel Mare di Barents e nel Mar Nero e poi a siglare l’intesa con la ExxonMobil per lo sfruttamento delle risorse petrolifere nell’Artico. Sono i suoi ultimi atti da manager pubblico. Pochi mesi dopo, lascia la Rosneft e si mette in proprio: fonda una società nel settore dell’energia. È la Ipc (Independent petroleum company) che peraltro risulta costituita a Cipro già nel dicembre 2011 (con un altro nome, Melinco Enterprises, modificato nel 2013 con l’attuale denominazione).
Diventato petroliere privato, Khudainatov conserva però un asse privilegiato con la Rosneft. Nella scheda dedicatagli dall’Unione europea quando lo ha inserito nella lista nera, si legge che la sua Ipc è riuscita a entrare, in particolare, nel “Vostok Oil Project”, il piano da 150 miliardi per sfruttare gli immensi giacimenti nell’Artico approvato personalmente dal presidente Putin. In questo contesto si concretizza un altro affare comune tra Khudainatov e Sechin: la Rosneft acquista dal suo ex manager, per 9,6 miliardi di dollari, una società che detiene importanti licenze petrolifere nella penisola siberiana del Taimyr.
Le carte di Cipro mostrano che l’oligarca, per creare la Ipc, si rivolge a un consulente locale, Andreas Andreou, che gli fa da gestore fiduciario per molte altre società con base nell’isola: in questo modo il nome del titolare era finora rimasto segreto. A Cipro ci sono almeno sei finanziarie con ruoli di capogruppo (con bilanci certificati dalla filiale di Nicosia del colosso internazionale Pwc) con nomi come Daumier e Geltome Investments, che a cascata controllano ulteriori società d'investimento.
La più importante sembra essere la Alliance Oil Company: una finanziaria delle Bermuda che possiede una compagnia di Cipro, a sua volta titolare di ricche aziende russe. Un valzer ubriacante tra i paradisi fiscali che permette all’oligarca (nonché presunto fiduciario di Putin) di controllare, senza comparire come azionista, almeno otto società russe che gestiscono attività miliardarie nel settore petrolifero e nell’esplorazione di grandi giacimenti di gas, acquisite ovviamente con l’appoggio della Rosneft di Sechin.
Anche Villa Altachiara, 30 stanze, è stata comprata tramite una società di Cipro, la Miasdor Investments, amministrata dal solito Andreou. L’oligarca se l’è aggiudicata per 25 milioni di euro all’asta finale, dopo che quelle precedenti erano andate deserte. Forse perché la splendida villa aveva una storia maledetta. La contessa Vacca Graffagni, vedova di Corrado Agusta, l’industriale degli elicotteri, è morta qui nel 2001, in circostanze misteriose, precipitando dal parco privato sulla scogliera. La villa era stata edificata nel 1874 da Lord Carnarvon per suo figlio, l’archeologo che scoprì la tomba del faraone Tutankhamon, che è morto poco tempo dopo.
Quando arriva il russo, Villa Altachiara non è in buone condizioni. Urgono lavori di restauro. L’oligarca li affida alla Bld Management, una società guidata da un manager di Mosca, Evgeniy Kochman. Che è anche l’amministratore della Imperial Yachts, la compagnia di Monte Carlo che gestisce lo yacht Scheherazade e altri panfili di miliardari russi. Il 4 giugno 2022 sia il manager di Mosca sia la società degli yacht vengono sanzionati dall’Ofac, l’agenzia americana anti-riciclaggio. Il sottosegretario al Tesoro statunitense, Brian Nelson, commenta così la misura: «Le élite russe, incluso il presidente Putin, sfruttano reti complesse per nascondere, spostare e mantenere ricchezze e beni di lusso. Continueremo a perseguire chi occulta e protegge questi interessi».
Con la messa al bando del manager Kochman, la ristrutturazione di Villa Altachiara segna una battuta d’arresto. Khudainatov perde la pazienza e tenta la via dei ricorsi legali per ottenerne il dissequestro. Ma nel luglio 2023 il tribunale gli dà torto. Almeno per lui, la villa continua a essere maledetta.