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Caos sede, politici in fuga, serate di gala: il disastro Roma Expo 2030 è costato oltre 30 milioni di euro

di Carlo Tecce   7 dicembre 2023

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Con documenti e testimonianze inedite, l'Espresso è in grado di ricostruire i tre anni di una candidatura nata male e finita peggio. E dopo l'umiliante sconfitta di Parigi con il trionfo di Riad, il direttore generale Scognamiglio spedisce una clamorosa lettera di protesta/denuncia al capo dell'Esposizione universale rivelando le vere spese dei sauditi

Si potrebbe supporre che il Comitato Promotore di Roma Expo 2030 abbia frainteso qualcosa. C’era bisogno di «oliare il sistema» (si scherza!) per convincere i 182 votanti del “Bureau international des expositions” (Bie) a preferire l’Italia, perciò la Regione Lazio, per un ultimo evento di campagna elettorale lo scorso 21 novembre a Parigi, ha spedito un pacco di vero olio extravergine di oliva «simbolo di autenticità e tradizione italiana». I delegati Bie avranno apprezzato la bottiglia di olio e ne avranno utilizzato il nettare per condimenti di insalate, paste, sughi, carni, ma il giorno del voto – il 28 novembre – più di uno pare sia arrivato al seggio parigino a bordo di fiammanti Rolls-Royce gentilmente offerte dai sauditi che hanno stravinto con Riad umiliando i coreani di Busan e soprattutto la capitale d’Italia, giunta terza su tre finaliste. Troppa la differenza di ogni tipo di mezzo. In tre anni di competizione internazionale, è palese, Roma non ha gareggiato mai per vincere, ma per non perdere male. Allora c’è da chiedersi se quella sera del 21 novembre organizzata in un salone pieno di specchi, cristalli e velluti del Plaza Athénée, un albergo cinque stelle di lusso dove non dormi con meno di 2.000 euro a notte, avesse un senso. Anzi se la candidatura di Roma Expo 2030 avesse un senso. L’Espresso ne ricostruisce le tappe decisive con aneddoti, racconti, numeri inediti.

 

La cena di gala al Plaza Athénée

 

Gennaio 2021. La pandemia è ancora feroce, ma la ripresa promette occasioni uniche. La sindaca Virginia Raggi prepara la sua corsa al secondo mandato. Ha debuttato bloccando il progetto per le Olimpiadi di Roma 2024, vuole congedarsi (sperando di tornare subito) lanciando la capitale verso l’Esposizione universale del 2030 con la scontata intenzione di emulare il modello di Milano. Raggi assegna la sua idea al diplomatico Giuseppe Scognamiglio. Gli uffici comunali e Scognamiglio plasmano la candidatura (peraltro il diplomatico ha un passato al Bie). Il presidente del Consiglio è Giuseppe Conte. Il ministro degli Esteri è Luigi Di Maio. Per Raggi è semplice ottenere il sostegno del governo.

 

Settembre 2021. A febbraio è caduto il governo Conte, e vacilla l’intesa fra Conte e Di Maio, mentre a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi che con prudenza affronta la questione Roma Expo 2030. Draghi firma la lettera per candidare ufficialmente Roma. La capitale è in campagna elettorale. Il dem Roberto Gualtieri diventa sindaco di Roma. La struttura comunale allestita da Scognamiglio viene smantellata, ma Scognamiglio resiste al cambio di bandiera politica al Campidoglio. Ci si sofferma settimane a riflettere sul Comitato Promotore. Prevale l’istinto italiano di infilarci più soggetti possibili per camuffare le tracce e annacquare le responsabilità: al nucleo Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio, si affiancano il ministero degli Esteri e la presidenza del Consiglio.

 

Maggio 2022. Nel giorno in cui il «Piave mormorava calmo e placido», il 24 maggio per l’appunto, il sindaco Gualtieri con un notaio proclama la nascita del Comitato Promotore (a quel punto a Riad stanno già spedendo gli inviti per la festa). Alla presidenza, trascorsi sei mesi dalla nomina, può insediarsi l’ambasciatore Giampiero Massolo, più libero dopo l’esperienza a Fincantieri. Il Comitato c’è. Il denaro c’è. La coesione pure. Bene, si scatta, veloci. Macché. Per spendere i fondi pubblici – a consuntivo 30,9 milioni di euro, ne parliamo in seguito – bisogna avviare una macchina infernale. Il ministero dell’Economia eroga i soldi al Comune di Roma che a sua volta li gira a Zetema, società interamente partecipata dal Comune di Roma, che a sua volta li utilizza in base alle raccomandazioni del direttore generale del Comitato, cioè sempre Scognamiglio. Non ci avete capito nulla? Non temete. È successo a molti. Basta un esempio. Il Comitato ha aspettato due mesi per affittare una decina di computer. Più facile rivolgersi alla Fondazione per Roma Expo 2030. E adesso cos’è la Fondazione? Siccome lo Stato e i suoi derivati sono lenti (a dir poco lenti) a pagare, imprenditori e industriali di Roma hanno creato una Fondazione per aiutare il Comitato e hanno raccolto un paio di milioni di euro. Nota bene: non c’era parecchio entusiasmo, le aziende di Stato hanno ignorato Roma Expo 2030.

 

Giampiero Massolo

 

Luglio 2022. Sopravvissuto alle recenti turbolenze politiche, su Scognamiglio se ne abbatte un’altra. Il governo Draghi saluta in anticipo, per il Comitato si spalanca una pericolosa campagna elettorale estiva. Ecco il centrodestra di Giorgia Meloni. Il contesto istituzionale è perfettamente capovolto. E mentre la famiglia al Saud assolda Cristiano Ronaldo e agguanta l’appoggio dei francesi, i nostri eroi di Roma Expo 2030 sono ancora alla ricerca di una sede. Il Campidoglio aveva individuato una palazzina alle spalle di piazza del Popolo. Varie perlustrazioni. Suggestiva. Comoda. Che bella figura. E no. Il ragioniere comunale, sconsolato, spiega che ci vogliono due anni a ristrutturarla. Nel frattempo il Comitato viene ospitato dalla Prefettura a Palazzo Valentini, vicino a piazza Venezia. Una soluzione provvisoria. Diverse ipotesi vengono scartate. Finché tra gennaio e febbraio si ordina di predisporre una sede a due piani in via della Stamperia dove ha abitato Sandro Pertini. I lavori partono con una fretta inusitata per Roma. A oggi non sono terminati. E il Comune ha stanziato 1,8 milioni di euro.

 

Gennaio 2023. Un trimestre di assestamento e il governo Meloni, non proprio euforico, conferma la candidatura di Roma per l’esposizione universale. L’unica richiesta: niente figuracce. Prima conseguenza: nessuno ci mette la faccia. Così l’Italia muove la sua rete, il Comitato pianifica ed effettua circa 500 missioni e in aprile un raduno al Colosseo per i delegati (costo quasi un milione di euro, non si ripeterà). Il governo ci ha creduto talmente tanto che ha impedito un concerto in diretta televisiva con un appello di Muhammad Yunus, l’economista bengalese premio Nobel per la pace. Già in primavera gli stessi che promuovono Roma fanno trapelare che Roma potrebbe ritirarsi. Salpato solo due anni fa, Scognamiglio è di nuovo solo.

 

Novembre 2023. Neanche ventiquattr’ore dopo la batosta di Parigi, il dg Scognamiglio scrive una clamorosa lettera di denuncia a Dimitri Kerkentzes, il segretario generale Bie: «Se un Paese del G7 perde in modo così drammatico, penso che tutta la comunità internazionale abbia un problema. Quale Paese parteciperà a una competizione quando un Paese ricco del Golfo/Asia è l’altro concorrente? (…) Se le ispezioni del Bie chiedono di vedere rappresentanti della società civile, per essere sicuri che il dibattito legato alle Expo li riguardi, dovreste premiare i pluralisti». Questa la segnalazione più interessante: «Considerate che la nostra campagna è costata 30 milioni di euro, quella coreana 150, quella saudita 300». Secondo il dg Scognamiglio, dunque, a Riad la promozione è costata molto di più dei 190 milioni di euro dichiarati e pure la stima di 300 potrebbe essere arrotondata per difetto. Restano i 30 milioni italiani. Che per l’esattezza sono 33: 30,9 pubblici e oltre 2 privati. I 30,9 milioni pubblici provengono in gran parte dal Tesoro, 2 da Regione Lazio, 1,9 da Comune di Roma, 1 da Provincia di Roma, 1 da Camera di Commercio. Milano ha investito grossomodo la stessa cifra per il 2015. È vero che stavolta gli elettori da raggiungere erano in 182 Paesi e non in 97, però Milano ha vinto. E qui a Roma troppi hanno giocato per finta. Peccato che quei 30,9 milioni sono veri.