Inchiesta
Il budget in mano alle due regioni che vanno al voto è pari a quello di una Finanziaria. E il partito di Giorgia Meloni, in testa nei sondaggi, si prepara a gestirlo. Per la felicità dei giganti del settore privato che potranno festeggiare
di Gianfrancesco Turano
Dica trentatré, come i miliardi di euro di spese sanitarie complessive gestite da Lombardia e Lazio, solo due miliardi in meno dell’ultima manovra economica. La corsa delle elezioni del 12 febbraio si gioca in corsia e negli studi medici per le due regioni che occupano il primo e il secondo posto in Italia per spese di salute. Una salute non troppo florida, va detto. In campagna elettorale, il tema sanitario è stato di gran lunga il più gettonato da una platea di votanti che si annuncia in ulteriore calo, sfiduciata da un sistema messo a dura prova dalla pandemia e logorato per anni da politiche bipartisan favorevoli all’imprenditoria privata a danno dell’assistenza pubblica. Il fattore astensione potrà essere decisivo per i palazzi governativi di Milano e Roma ma il risultato delle urne promette novità radicali, sia se saranno rispettate le previsioni che danno il centrodestra vincente, sia se prevarranno gli outsider.
Meloniani d’assalto in Lombardia
Chi ricorda i primi tempi del Covid-19 non può non riconoscere la sua faccia, presente ovunque nelle pubblicità elettorali per le strade della sua Milano. Nei mesi tragici a partire dal marzo 2020 il forzista Giulio Gallera, assessore al Welfare per quattro anni e mezzo, è stato un appuntamento quotidiano con la sua conferenza stampa che anticipava di qualche minuto il collegamento tv con le autorità sanitarie centrali a Roma. La sua avventura, corroborata dal primo posto assoluto alle urne con 11.722 voti di preferenza, si è interrotta in modo consensuale nei primi giorni del 2021 con l’irruzione sulla scena di Letizia Brichetto Moratti, assessora più vicepresidente, anche lei di area forzista. E quando Moratti è entrata in rotta di collisione con il presidente leghista Attilio Fontana, è arrivato il tecnico preferito dai governi berlusconiani, l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso a gestire un budget di circa 21 miliardi all’anno.
Dopo avere sperato nella candidatura al posto di Fontana, Moratti si presenta con la strana coppia Carlo Calenda-Matteo Renzi alla quale per poco non si è unita la vecchia guardia di Umberto Bossi, poi rimasto fedele alla linea salviniana. Il Pd guidato da Pierfrancesco Majorino ha trovato l’accordo con i grillini, che nel Lazio vanno per conto loro mentre il Pd è con Renzi e Calenda. Secondo nei sondaggi dopo Fontana e prima di Moratti, l’eurodeputato milanese ha cercato il colpo di mercato a sorpresa ingaggiando il virologo Fabrizio Pregliasco come responsabile in pectore del Welfare. Pregliasco ha sollevato qualche freddezza nel suo stesso schieramento perché, oltre a essere uno scienziato conosciuto e un opinionista stimato sulla politica sanitaria durante la pandemia, è anche direttore sanitario dell’istituto Galeazzi-Sant’Ambrogio da poco trasferito nell’area dell’Expo 2015 e controllato dalla famiglia Rotelli. Ai mugugni ufficiali di Medicina democratica si può aggiungere il commento di un candidato del centrosinistra: «Il settore privato fa parte di un meccanismo che va riformato alla radice e Pregliasco ha contribuito a fare della sanità lombarda quello che è».
Anche per queste divisioni il centrodestra sembra lanciato verso la conferma a palazzo Lombardia. Ma Fontana troverà gli equilibri interni alla coalizione stravolti dall’ascesa di Fdi che cinque anni fa aveva contribuito alla vittoria dell’ex sindaco di Varese con un 3,6 per cento del tutto marginale. Oggi i sondaggi Ipsos e Swg danno il partito di Giorgia Meloni poco sotto il 25 per cento contro il 28,5 delle politiche dello scorso settembre. La Lega, traino della vittoria del 2018, si dimezza intorno al 13 per cento. Per Forza Italia si annuncia l’ennesimo segno meno al 6,5 per cento. Eppure il partito di Silvio Berlusconi ha dominato la sanità regionale dal 1995, con la prima elezione di Roberto Formigoni. In oltre un quarto di secolo la Lombardia ha accentrato, e finanziato con le sue convenzioni, sei dei maggiori gruppi privati italiani del settore. Sono il Gruppo San Donato (Gsd) della famiglia Rotelli, l’Humanitas dei Rocca, Kos della famiglia De Benedetti, l’Irccs Maugeri di Pavia, la Servisan dei De Salvo e l’Istituto tumori (Ieo), partecipato dai grandi nomi della finanza e dell’impresa.
Le sei grandi lombarde hanno diramazioni su tutto il territorio nazionale e fanno la parte del leone anche nella cosiddetta spesa sanitaria out of pocket, cioè pagata direttamente dagli italiani, che nel 2021 la Ragioneria generale ha fissato a 37,2 miliardi di euro oltre i 126,6 miliardi di trasferimenti statali alle Regioni.
Fontana, nel più tipico mood pre-elettorale, ha annunciato l’apertura di due nuove strutture ospedaliere a Cremona e a Gallarate oltre alla ristrutturazione degli Spedali civili di Brescia. In modo meno convincente ha vantato una riforma sanitaria approvata a fine novembre del 2021, quando i dissidi con la sua vicepresidente erano ancora sopiti. L’obiettivo di riempire il vuoto fra la medicina di base, tuttora in crisi, e il ricovero in corsia attraverso case e ospedali di comunità continua a non funzionare, anche per enormi difetti di comunicazione. La riduzione delle liste d’attesa per esami e ricoveri è un problema così grave che lo stesso Fontana lo ha messo in testa al suo programma politico. Meglio tardi che mai, dopo ventotto anni di governo incontrastato del centrodestra.
Sulla sanità lombarda si allunga così l’ombra di Fdi, primo partito nei sondaggi. Da palazzo Chigi l’ordine è di restare allineati e coperti fino alla vittoria. Solo allora si inizierà a parlare di poltrone. Ma anche se molti quadri e dirigenti della sanità regionale hanno già trasferito il loro centro di gravità in direzione Meloni, per Fdi non sarà facile trovare un equilibrio con gli alleati che invocano l’autonomia differenziata. Bertolaso può mettere d’accordo la destra? Difficile ma non impossibile. Con 21 miliardi di euro c’è spazio per tutti.
Derby in corsia per il Lazio
Anche il Lazio dipende dalla sanità per la corsa elettorale. I due pretendenti più accreditati alla successione del democratico Nicola Zingaretti sono impegnati da decenni nel settore che vale 12,8 miliardi di euro all’anno. Il candidato del blocco Pd-Azione-Iv, Alessio D’Amato, è assessore al welfare uscente ma si è affacciato nella commissione sanità del consiglio regionale fin dal 2005, quando ha debuttato come eletto tra le file dei Comunisti italiani dopo la vittoria del centrosinistra con Piero Marrazzo. Tre anni dopo la sanità regionale finiva in un tunnel commissariale lungo dodici anni e terminato a luglio del 2020, anno primo della pandemia. Pochi mesi dopo D’Amato, nominato assessore nel 2018, si è guadagnato il soprannome di “mister vaccino” per avere applicato al territorio il metodo israeliano della prevenzione a tappeto partita con gravi ritardi in Lombardia.
Il suo avversario, favorito dai sondaggi, è Francesco Rocca che per accettare la candidatura di Giorgia Meloni si è dimesso dalla presidenza della Croce Rossa italiana (Cri), guidata per tre mandati. In Cri, di cui è stato anche commissario straordinario, ha avuto come vice Maria Teresa Letta, sorella di Gianni, scomparsa lo scorso ottobre. Nel giugno 2022 era stato eletto alla presidenza della federazione internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ifrc). A parte i dissidi familiari con il fratello e una condanna per droga rivendicata come premessa di un cambiamento spirituale, Rocca rivendica anche le minacce della mafia a fine anni Novanta, quando era avvocato difensore di alcuni pentiti, anche se l’unica notizia presente negli archivi riferisce di un proiettile in una busta speditogli da Napoli nel 2012 dopo alcune mancate assunzioni. Nel 2002 Rocca è stato nominato commissario del Sant’Andrea, uno dei sei grandi ospedali romani, dal presidente di giunta Francesco Storace di Alleanza nazionale.
Il tema del commissariamento e del pesante indebitamento che la sanità laziale ha registrato con le giunte di centrodestra sta condizionando il dibattito fra i due candidati e la terza incomoda Donatella Bianchi (M5S), giornalista Rai ed ex presidente del Wwf. Ci sono pochi dubbi che chiunque vinca tra i due favoriti dedicherà particolare attenzione alla sanità che pesa per il 77 per cento del bilancio regionale contro oltre l’80 per cento della Lombardia.
Il settore privato laziale è molto lontano dal gigantismo lombardo con due holding di rilievo nazionale come la Giomi di Emmanuel e Massimo Miraglia e soprattutto il gruppo San Raffaele di Antonio Angelucci, ex sindacalista al San Camillo, e dei suoi figli. Dopo tre legislature con Fi dove è stato in testa alla classifica dell’assenteismo, il capostipite è tornato in Parlamento il 25 settembre con la Lega mentre è in corso il processo che lo vede accusato di avere offerto allo stesso D’Amato 250 mila euro per riaccreditare il San Raffaele di Velletri.