Economia

La ministra Marina Elvira Calderone e il marito, una coppia al potere contro il salario minimo

di Sergio Rizzo   10 luglio 2023

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La titolare del dicastero del lavoro e il consorte alla guida della Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro si oppongono alla norma. Ed entrambi hanno un potenziale conflitto di interessi

Una sciagura per i conti delle imprese, il salario minimo. Anche se il presidente di Confindustria Aldo Bonomi dice che «non è un problema», loro lo sostengono apertamente da anni, ripetendolo da ogni pulpito. I Consulenti del Lavoro, fidati professionisti che ne curano gli interessi nel delicato ramo dei rapporti con i dipendenti, si sono perfino esercitati in un calcolo spericolato. Una legge sul salario minimo costerebbe al sistema delle imprese 12 miliardi di euro l’anno. Questo sostiene la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, presieduta da Rosario De Luca, il 17 settembre 2022. Giusto una settimana prima delle elezioni che consegneranno il governo del Paese a Giorgia Meloni, e che per la consorte di De Luca, Marina Elvira Calderone, si materializzi l’incarico di ministro del Lavoro. Una nuova vita, però sempre all’insegna della perfetta sintonia coniugale.

 

«Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge», dice il primo luglio la ministra al Festival del Lavoro di Bologna. «Sul salario minimo penso che una legge non risolva il problema», ha detto il giorno prima, sempre a Bologna, anche De Luca. Che nel frattempo è subentrato alla moglie al vertice del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro. Secondo uno schema già collaudato in precedenza. Nel 2019 Marina Calderone era candidata alla presidenza dell’Inps dal centrodestra. Ma il Movimento Cinque Stelle riuscì a imporre Pasquale Tridico. E l’allora presidente dei Consulenti del Lavoro si ritirò. Risarcita, però, con un posto nel consiglio dell’Inps. Per suo marito.

 

Una volta che Marina Calderone ha giurato come ministra del Lavoro del governo Meloni, De Luca si è dimesso dall’Inps, istituto sottoposto alla vigilanza della moglie. «Ma non me ne vado per incompatibilità; lo faccio per lasciare spazio ad altri», ha precisato con sicumera.

 

Mentre la ministra lasciava la guida della potente lobby. Roba sua dal 2005. Era capo indiscusso dei Consulenti da dieci governi prima e nel 2020 l’avevano riconfermata per la sesta volta consecutiva, con il 97 per cento delle preferenze. Dovendo mollare, per incompatibilità non meno evidente di quella del consorte all’Inps, ha semplicemente abdicato. Al marito. Per la legge della continuità familiare nel 2022 il testimone è passato a De Luca, con una nomina ratificata da una maggioranza più che bulgara: 15 votanti, 14 sì e un astenuto. Lui stesso, si presume.

 

Va detto che alla legge sul salario minimo, applicato in tutta l’Europa che conta tranne che da noi, non è ostile solo la ministra del Lavoro, bensì tutto il governo. La sua posizione è dunque perfettamente in linea con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Ma che nel ruolo di Marina Calderone ci sia un problema è del tutto evidente.

 

La vicenda che lega i due coniugi consente di apprezzare una singolare variante del conflitto d’interessi. Di cui, per la verità, il governo Meloni ha offerto fin dall’inizio un discreto campionario. Pur con gradazioni diverse. Il caso forse più eclatante, quello della titolare del Turismo Daniela Garnero in Santanché, già proprietaria di un pacchetto azionario del complesso balneare Twiga di Forte dei Marmi, che dopo la nomina a ministra ha ceduto al suo compagno Dimitri Kunz. Esattamente come ha fatto Marina Calderone.

 

L’attuale ministra del Lavoro ha esercitato a lungo la professione di consulente per le imprese assieme al marito De Luca. I due possiedono una società di consulenza, la Calderone & De Luca srl, controllata al 50 per cento da ciascuno dei coniugi. Il 2 novembre 2022 la ministra ha dovuto però abdicare pure qui. E pure qui al marito, che ha volentieri rilevato la quota della moglie per il modico prezzo di 1.250 euro. Si è quindi liberata del potenziale conflitto d’interessi. Ma restano intatte le oggettive riserve circa l’opportunità che una figura così professionalmente (ed economicamente) coinvolta con una delle squadre che giocano la delicata partita del lavoro possa rivestire quell’incarico istituzionale. E non soltanto perché, pur avendo ceduto la quota della società coniugale di consulenza, si ritrovi ora da ministra a trattare con il marito: il 2 febbraio scorso erano entrambi al tavolo istituzionale sul lavoro autonomo voluto da Marina Calderone. Lei da un lato, a rappresentare il governo; lui dall’altro, a rappresentare i Consulenti del Lavoro. Entrambi contrari al salario minimo per i dipendenti, entrambi invece favorevoli all’equo compenso per i professionisti. «È il nostro salario minimo!», esclama il marito. «Una norma di civiltà!», esclama la moglie. Una situazione comunque inconcepibile nei Paesi seri, quelli dove il conflitto fra ruoli istituzionali e interessi privati è severamente contrastato.

 

Il fatto è che la ministra, al termine del suo mandato e superato l’anno di mora stabilito dalla inutilissima legge Frattini, tornerà per forza al suo lavoro di prima. E come sarà possibile evitare il sospetto che certe scelte o determinate prese di posizione ne siano influenzate?

 

Si argomenterà che la storia della politica italiana tracima di vicende simili. Senza che mai abbiano generato scandalo, in una nazione, monarchica o repubblicana che sia, fondata letteralmente sul conflitto d’interessi.

 

Certo, c’è stato pure chi si è volontariamente sottratto a questo gioco. Presidente del Consiglio dopo la tragica sconfitta di Caporetto, Vittorio Emanuele Orlando resse il governo per quasi due anni. Lasciato il timone a Francesco Saverio Nitti tornò alla professione di avvocato: non prima di aver avvertito per lettera i suoi clienti che non avrebbe più patrocinato cause in contrasto con gli interessi dello Stato. Una mosca bianca, purtroppo.