l’inchiesta
Il mistero della vendita del Milan: nessuno sa ancora chi siano i veri finanziatori dell’operazione
Silvio Berlusconi è uscito indenne dall’ultima indagine sulla cessione del club rossonero. Ma l’origine dei soldi versati dall’imprenditore cinese Yonghong Li, a cui è subentrato il fondo americano Elliott, rimane oscura. Tra offshore e paradisi fiscali
Ultima inchiesta, ultima vittoria, ultimo mistero. Dalla lunga istruttoria della Procura di Milano sulla vendita del Milan a società estere, Silvio Berlusconi è uscito senza alcuna accusa, senza essere mai stato neppure indagato. Dopo anni di verifiche bancarie e rogatorie internazionali, l’unico indiziato per un’ipotesi di false comunicazioni sociali rimane Yonghong Li, l’imprenditore cinese che aveva firmato i contratti e versato più di metà del prezzo di acquisto della società rossonera, ma non ha poi trovato i soldi finali per chiudere l’affare.
Secondo fonti giudiziarie, anche per lui potrebbe arrivare una richiesta di archiviazione. Con una motivazione in negativo, però, che denuncia l’impossibilità di risalire ai veri finanziatori dell’operazione gestita da quel mancato compratore cinese, ma poi conclusa dal fondo americano Elliott. Che nel 2022 ha rivenduto il Milan all’attuale proprietaria, la società RedBird del magnate statunitense Gerry Cardinale.
Yonghong Li è stato il perno di un complicato affare internazionale, che tra il 2016 e il 2018, come risultato finale, ha portato nelle casse della Fininvest oltre 700 milioni di euro. Nonostante il suo ruolo dichiarato di protagonista, in realtà sembra non averci messo un soldo di tasca sua. Secondo una serie di documenti esaminati da L’Espresso, che fanno luce anche sulle sue società-cassaforte di Hong Kong, l’unica persona fisica identificata come investitore, con nome e indirizzo, è sua moglie, Huang Qingbo.
La signora ha sborsato almeno 11 milioni, facendo anche da garante per i primi prestiti. Tutti gli altri soldi sono arrivati da fondi e società anonime con base in paradisi fiscali inaccessibili, come le Isole Cayman. Si tratta di oltre 400 milioni che sono entrati e usciti dalle tesorerie ufficiali di Li con un vortice di bonifici a saldo zero. L’effettiva provenienza di tutti quei soldi resta un mistero perfino per le autorità cinesi.
Le carte visionate da L’Espresso mostrano che le trattative per la vendita del Milan sono state avviate dalla Fininvest già dieci anni fa. Il primo incarico alla banca d’affari Lazard risale alla fine del 2013. Per Berlusconi era un periodo difficile: il primo agosto 2013 la Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna per frode fiscale. Proprio in quei mesi parte l’operazione «Project Dragon», che all’inizio coinvolge tre diversi imprenditori cinesi, tra cui s’inserisce Li. Pochi mesi dopo gli altri due partner si ritirano, mettendo in dubbio la sua solidità finanziaria.
Nel 2015 inizia una trattativa parallela con il thailandese Bee Taechaubol, che in autunno esce di scena all’improvviso. Nel 2016 riappare Li, che questa volta dichiara di rappresentare una cordata di nove investitori, riuniti nella Sino-Europe Sports, finanziata dalla sua capogruppo cinese, Jie Ande, da due banche di Hong Kong e dal gruppo finanziario Huarong. Il contratto preliminare con la Fininvest viene firmato il 5 agosto 2016. La valutazione del Milan è di 740 milioni, compresi 220 di debiti passati. La cordata cinese acquista il club italiano tramite una società lussemburghese, controllata da una holding e da una tesoreria di Hong Kong.
La struttura del gruppo, però, continua a cambiare anche dopo l’accordo. La catena di comando si sposta alle British Virgin Islands, dove ha sede la Rossoneri Advanced Company Limited, costituita il 30 settembre 2016 da Chen Huashan, il braccio destro di Li. Tutti i successivi pagamenti sembrano dribbling ubriacanti tra paradisi fiscali, società che nascono e muoiono in pochi mesi, finanziatori che restano anonimi.
La prima caparra di 100 milioni viene versata tra agosto e settembre 2016. Gli 11,5 milioni iniziali ce li mette la moglie di Li. Altri 3,5 arrivano da un finanziamento, garantito sempre dalla signora, concesso da una società di Hong Kong con un nome da cambiavalute: Great Luck Money Exchange. Gli altri 85 milioni vengono prestati da due banche: China Minsheng di Hong Kong e Luso International di Macao, un altro paradiso fiscale asiatico.
Il 23 settembre 2016, la Fininvest, in risposta allo «stillicidio di rumour» su Li, «ribadisce con forza la solidità finanziaria degli acquirenti, confermata dal pagamento in anticipo della caparra». Alla scadenza di fine anno, però, Li chiede di rinviare a marzo il saldo finale e in cambio versa una seconda caparra di 100 milioni, incassati dalla Fininvest il 13 dicembre 2016. Questo bonifico parte dal conto della Rossoneri Champion, la tesoreria di Li a Hong Kong. Che in realtà si è fatto prestare i soldi di corsa, come risulta dalle carte interne, da una offshore nata in giugno nelle Isole Vergini Britanniche e denominata Willy Shine, con obbligo di rimborso entro il 31 dicembre: cioè in meno di 20 giorni.
Ma chi ci ha messo i soldi? Willy Shine risulta gestita dal gruppo Huarong, che il 23 gennaio scrive di aver recuperato l’intero prestito «con interessi su base annua del 19 per cento». Nessun documento interno chiarisce chi li abbia rimborsati. La tesoreria di Li ne ha versati meno di metà. Il resto è arrivato da ignoti finanziatori, che non hanno usato normali bonifici, ma pagamenti «non tracciati».
A marzo si registra un nuovo rinvio, che la Fininvest giustifica con «l’atteggiamento critico delle autorità cinesi verso gli investimenti nel calcio» e una «stretta valutaria che impedisce all’acquirente di esportare i capitali». Quindi Li deve versare una terza caparra di 50 milioni, che arriva alla Fininvest il 24 marzo. A procurare i soldi questa volta è la General Fantasy Limited, una società di Hong Kong con una sola azione che però si è fatta finanziare, in via riservata, da una offshore delle Isole Vergini: Future Galaxy Asia, creata nel novembre 2016 dal solito gruppo Huarong.
Anche questo è un prestito corsaro, da rimborsare entro 90 giorni, con due paracadute per il creditore: il pegno sulle azioni di Li e una garanzia firmata da sua moglie. Puntualmente, il 9 giugno 2017, Huarong annota che anche questo prestito è stato rimborsato totalmente, «con interessi su base annua del 18 per cento». Anche in questo caso, neppure i documenti di Hong Kong bastano a chiarire da dove siano arrivati i soldi.
In Italia, intanto, i consulenti di Lazard chiedono nuove verifiche su Li. A rassicurarli è un dirigente italiano della Rothschild che trasmette un resoconto di tutte le attività controllate dall’imprenditore cinese, riconfermandone la solidità. Tra la banca d’affari e il Milan, anche in quei mesi, c’è un legame di altissimo livello: Paolo Scaroni, presidente della società rossonera, è stato il numero due di Rothschild fino al maggio scorso, quando il governo Meloni lo ha nominato al vertice dell’Enel.
La rassicurazione regge fino al 13 aprile 2017, la data fissata per il saldo. Li riesce a versare 140 milioni, recuperati attraverso la Rossoneri Advanced. Chi ce li ha messi? Sono stati prestati il 27 febbraio da cinque fondi anonimi delle Isole Cayman, tutti appena costituiti, che hanno acquistato bond emessi dalla offshore di Li e da altre due società «condebitrici»: si chiamano Rosen Hong Kong e Rosen Luxembourg, ma non compaiono in alcun registro internazionale, per cui è dubbia la loro stessa esistenza. Come azionista dei fondi compare una finanziaria di Huarong, ma non si sa chi siano i suoi clienti ed effettivi investitori.
Le tesorerie di Li a Hong Kong hanno ricevuto fondi minori da molte altre società anonime, ma solo da sei persone fisiche: l’unica identificata è sua moglie. Conclusione: Li ha fatto un’operazione totalmente a debito, girando al Milan soldi provenienti da altri. Il grosso, almeno 325 milioni, gli è stato prestato dal gruppo Huarong, poi rimborsato con fondi anonimi.
La crisi si apre già nel marzo 2017, quando Li si vede costretto a chiedere un prestito al fondo Elliott per il saldo finale. Il colosso americano interviene attraverso una società lussemburghese, Project RedBlack, che aveva come primi azionisti due italiani, Gianluca D’Avanzo e Salvatore Cerchione, titolari della società Blue Skye (che oggi è in lite giudiziaria con Elliott).
Il fondo americano stanzia 308 milioni per Li: 180 per il saldo, al tasso dell’11,5 per cento; e due bond usati dal Milan per restituire alla Fininvest un prestito di 73 milioni e per investirne altri 54 in acquisti di calciatori. In cambio, Elliott prende in pegno le azioni rossonere e impone una clausola che obbliga Li a partecipare agli aumenti di capitale, altrimenti dovrà rimborsare subito i bond. La sua sorte è ormai segnata, tanto che il fondo, tramite la Project RedBlack, versa i propri prestiti non alle società di Li, ma direttamente alla Fininvest, che il 13 aprile incassa così il saldo finale di 253 milioni.
Nei mesi successivi il patron cinese partecipa agli aumenti di capitale del Milan, sborsando in totale altri 87 milioni. Il sipario si chiude il 27 giugno 2018, quando Li non paga la quota in scadenza dell’ultimo aumento: gli mancano 32 milioni. Al suo posto interviene il fondo Elliott, che fa scattare la clausola. A Li restano solo dieci giorni lavorativi per ripagare i bond. Questa volta è una missione impossibile. Il 9 luglio Elliott fa valere il pegno sulle azioni. E il Milan cinese diventa americano.