L’interrogatorio integrale del portavoce della Regione Lazio nel processo a Luigi Ciavardini, condannato per la bomba del 2 agosto 1980. Oggi è il capo della comunicazione del governatore Rocca. E difende Fioravanti e tutti i neofascisti condannati. Ma allora giurava: «Dopo Mangiameli, i Nar volevano uccidere anche noi di Terza Posizione»

Pubblico Ministero: «Per quali tipi di reato è stato condannato?»

Coimputato De Angelis Marcello: «Costituzione e direzione di associazione sovversiva e banda armata».

Pubblico Ministero: «Lei ritiene, e riteneva allora, che Terza Posizione fosse effettivamente anche una banda armata? La articolo in questi termini: avevate anche un gruppo che aveva funzioni di attività militare, autofinanziamento ed autodifesa?»

Coimputato De Angelis Marcello: «Avevamo delle armi e avevamo, sì, un gruppo di autodifesa».

 

È uno dei passaggi cruciali del primo e unico interrogatorio di Marcello De Angelis davanti ai giudici della strage di Bologna, nel processo che si è chiuso con la condanna definitiva di un suo amico e camerata, Luigi Ciavardini, neofascista di Terza Posizione, come complice (allora minorenne) dei terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Dopo la sentenza per l'eccidio alla stazione dei treni del 2 agosto 1980. Ciavardini ha sposato la sorella di De Angelis, che oggi ha 63 anni ed è un personaggio che conta nella destra che governa l'Italia: è il portavoce ufficiale di Francesco Rocca, il presidente della Regione Lazio, che lo stipendia con soldi pubblici come direttore della comunicazione istituzionale.

Lo scorso sabato 5 agosto De Angelis ha creato un caso politico pubblicando su Internet un messaggio negazionista: «So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza». La sua certezza interiore, che non ha voluto o potuto documentare e motivare, contrasta con tutte le sentenze, decise da decine di giudici diversi con giurie popolari allargate anche ai cittadini, che in questi 43 anni di indagini e processi hanno dichiarato colpevoli della strage alla stazione cinque terroristi di destra. L'intervento del portavoce politico laziale ha contraddetto anche la presa di posizione del Capo dallo Stato, Sergio Mattarella, che il 2 agosto, in un messaggio ai familiari delle 85 vittime e oltre 200 feriti, aveva appena riconfermato la «matrice neofascista» della bomba, riconosciuta anche dai presidenti del Senato, Ignazio La Russa (Fdi, Milano) e della Camera, Lorenzo Fontana (Lega, Verona), nel silenzio della premier Giorgia Meloni (Fdi, Roma), che invece ha condannato genericamente «il terrorismo», senza fare alcun riferimento alla destra eversiva.

La bomba in stazione
2 agosto, una strage fascista e piduista: la verità su Bologna che la destra rifiuta
1/8/2023

De Angelis è stato interrogato il 9 novembre 1999, quattro anni dopo la sentenza definitiva di condanna di Fioravanti e Mambro, davanti ai giudici del tribunale per i minorenni, dove era in corso il successivo e separato processo a carico di Ciavardini, che aveva solo 17 anni quando fu reclutato dai killer dei Nar per la strage di Bologna e per altri omicidi politici. De Angelis è stato sentito come «coimputato in procedimento connesso», perché all'epoca dell'attentato terroristico era uno dei capi di Terza Posizione, la stessa organizzazione neofascista di cui faceva parte Ciavardini, con base a Roma. In quella veste, i giudici di Bologna gli garantivano il diritto al silenzio, cioè la facoltà di sottrarsi all'interrogatorio, per non rischiare di auto-incriminarsi per qualche reato. De Angelis però ha deciso di rispondere a tutte le domande (rifiutandosi solo una volta di fare il nome di un suo ex camerata, evidentemente mai identificato finora) con l'intenzione dichiarata di aiutare la difesa di Ciavardini: durante l'interrogatorio ha fatto diverse ammissioni, sforzandosi di apparire credibile, e ha ripetuto più volte che non solo lui, ma tutta Terza Posizione era estranea alla strage, che a suo dire, anzi, era «funzionale all'eliminazione del nostro gruppo». De Angelis ha messo a verbale parole durissime, invece, contro «Fioravanti e il suo gruppo armato». Gli stessi che oggi difende nonostante le condanne definitive per la strage e molti altri omicidi.

 

Prima di leggere il lungo verbale d'interrogatorio (62 pagine), di cui riportiamo integralmente i passaggi più importanti, va detto che Marcello De Angelis ha scontato interamente, in carcere, la condanna definitiva che gli era stata inflitta come fondatore e dirigente di Terza Posizione: cinque anni e sei mesi, due dei quali cancellati dall'indulto varato dal governo Andreotti con l'ultima amnistia del 1989.

Lo stesso De Angelis spiega ai giudici che, dopo essere sfuggito all'arresto, nell'agosto 1980, è rimasto latitante all'estero, in particolare a Londra, «fino all'ottobre del 1989», quando si è costituito alle autorità italiane: «Ho espiato tutta la pena e sono uscito dal carcere nell'aprile del 1992». De Angelis quindi è uno dei pochi ex neofascisti che hanno scontato davvero tutta la condanna in carcere.

 

La prima domanda, rivolta dal presidente del tribunale, riguarda un fatto decisivo per le indagini sulla strage di Bologna: l'omicidio di Francesco Mangiameli, il leader di Terza Posizione in Sicilia, che fu ucciso a Roma il 9 settembre 1980 dai suoi ex alleati dei Nar. Un omicidio poi confessato, dopo l'arresto, dagli stessi Fioravanti e Mambro, che nel luglio 1980, mentre preparavano la strage di Bologna, erano stati ospitati a casa sua per due settimane in Sicilia.

Quell'omicidio è strettamente collegato alla bomba nera del 2 agosto 1980: le sentenze definitive hanno accertato e comprovato che Mangiameli fu assassinato da Fioravanti e Mambro (e altri killer dei Nar) proprio perché si era opposto alla strage, che tentò anche di fermare con una trasferta in extremis a Roma, dove è poi ritornato in settembre, quando è stato ucciso. Il corpo di Mangiameli, gettato in fondo a un lago con pesi in piombo per non farlo ritrovare, è invece riemerso l'11 settembre 1980, facendo così scoprire dopo pochi giorni l'omicidio e l'occultamento del cadavere: un errore che ha spiazzato i terroristi neri.

 

De Angelis, davanti ai giudici di Bologna, dichiara di aver capito subito, già allora, che Mangiameli era stato ammazzato dai Nar di Fioravanti. Interrogato dal presidente, rivela: «Noi eravamo già tutti quanti latitanti dal 28 agosto 1980, per quanto fossimo ancora a Roma. Io venni a sapere della trasferta di Mangiameli a Roma tre o quattro giorni dopo l'omicidio, dalla moglie di Mangiameli stessa. Dopo il ritrovamento del cadavere, il giorno dopo, ebbi un incontro totalmente fortuito con la moglie di Francesco (Mangiameli) e con Alberto Volo».

 

Presidente: «Totalmente fortuito?»
De Angelis: «Totalmente fortuito».
Presidente: «Com'è possibile?»
De Angelis: «Per i casi della vita. Avevo un appuntamento con un'altra persona a via Nomentana, a Roma. La moglie di Francesco, dopo essere stata in attesa di notizie del marito per tre o quattro giorni e dopo aver letto che c'era stato questo ritrovamento di un corpo, si era messa in macchina da Palermo con Alberto Volo, che aveva accompagnato Francesco (Mangiameli) a Roma ed era poi ritornato (in Sicilia) senza di lui e senza notizie».

 

Presidente: «Quindi Volo aveva accompagnato Mangiameli a Roma? Per quale motivo erano venuti a Roma? Volo glielo disse?»
De Angelis: «Perché Francesco (Mangiameli) cercava un incontro con Valerio Fioravanti, per chiarire un contenzioso... Lui aveva saputo che Valerio aveva... diciamo un'acrimonia nei suoi confronti e di conseguenza voleva chiarire».
Presidente: «Questo a lei lo disse Volo?»
De Angelis Marcello: «Volo».
Presidente: «Quindi Volo era consapevole del fatto che Mangiameli andasse a Roma per incontrarsi con Valerio Fioravanti e chiarire un contenzioso proprio con lui?»
De Angelis: «Certo».
Presidente: «E il motivo di questa contesa?»
De Angelis: «Il motivo di questa contesa devo dire che tutt'ora, per quanto mi riguarda, non è un granché chiaro. Doveva risalire a discussioni avute da Francesco Mangiameli con Valerio Fioravanti durante una permanenza di Fioravanti a Palermo, ospitato da lui, quando dovevano teoricamente preparare l'evasione di Concutelli... I motivi della contesa, specifici, non li so. Comunque so che Fioravanti, in generale, aveva già da un certo tempo lanciato una campagna piuttosto violenta nei nostri confronti, contro noi di Terza Posizione».

 

Alberto Volo, morto nel 2020, era un neofascista di Palermo di alto livello, che collaborò anche all'istruttoria del giudice Giovanni Falcone sui possibili legami tra terroristi di destra e mafiosi di Cosa Nostra, in particolare per l'esecuzione dell'omicidio di Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), il fratello dell'attuale Presidente della Repubblica. L'ex neofascista, poco prima di morire, ha accettato di testimoniare con i magistrati della Procura generale di Bologna, che dal 2018 avevano riaperto le indagini sulla strage, e ha dichiarato di aver fatto parte di una struttura paramilitare di stampo eversivo più segreta di Gladio, che univa neofascisti, massoni, terroristi neri e ufficiali dei servizi deviati. In quei verbali, rimasti segreti fino alla sua morte, Volo ha parlato anche dei suoi viaggi a Roma nell'estate 1980 con Mangiameli, riconfermando che si era scontrato con Fioravanti e gli altri terroristi dei Nar proprio perché era contrario alla strage.

 

Al processo contro Ciavardini, è il pubblico ministero a chiedere maggiori chiarimenti sull'omicidio Mangiameli. La risposta di De Angelis è dettagliata, ma non convince del tutto i giudici: «Dunque, io avevo un appuntamento con Pasquale Belsito al bar del San Leone Magno, nel quartiere Trieste, all'angolo con via Nomentana. Mentre parlavo con lui, si è fermata una macchina e ne sono scesi la moglie di Francesco (Mangiameli), Sara, e Alberto Volo. Mi sono venuti incontro, a quel punto Belsito si è adombrato, mi ha preso da parte e mi ha detto: “Perché dai appuntamento ad altre persone se hai appuntamento con me?”. Gli dissi che non avevo dato appuntamento a nessuno e che era puramente casuale l'incontro. Belsito se ne andò. Quindi Sara mi fece vedere un pezzo di giornale in cui c'erano tre righe sul ritrovamento del corpo. Era convinta che quel corpo fosse di suo marito. Io le chiesi per quale ragione dovesse pensarlo. Lei mi spiegò che suo marito era sparito da quattro giorni e invitò Alberto Volo a raccontarmi, a spiegarmi del loro viaggio, del tentativo di Mangiameli di mettersi in contatto con Fioravanti».

 

Quindi De Angelis racconta cosa gli rivelò Volo: «Mi disse che lui (Mangiameli) era salito su una macchina con delle persone che lui non conosceva, che si era allontanato in macchina con loro e non era più tornato. Io gli chiesi che tipo di macchina fosse, lui me lo disse ma io non ero in grado di riconoscerla. In quel momento passò, si accostò una macchina analoga, lui me la indicò e mi disse: “Esattamente come quella”. Da questa macchina scese Giorgio Vale, il quale mi aveva visto, ma non aveva riconosciuto Volo e Sara, e mi venne incontro. Sara gli andò incontro inveendo, dicendogli: “Cosa avete fatto a mio marito?”, e cose di questo genere. Vale mi prese sotto braccio e mi portò in disparte, evidentemente scosso, proprio pallido, dicendomi: "Ma cosa dice questa matta, di cosa sta parlando?". Io però in quel momento intuii che molto probabilmente lui era coinvolto, cioè che c'era effettivamente un suo coinvolgimento».

 

Giorgio Vale era uno dei sette «super-killer» dei Nar e ha effettivamente partecipato all'omicidio di Mangiameli (come ad altri delitti) insieme a Fioravanti, Mambro e altri terroristi neri, secondo numerose sentenze definitive e le loro stesse confessioni. È morto nel 1982, dopo altri delitti sanguinari, ucciso dalla polizia in un covo a Roma dove era latitante.

 

A questo punto della deposizione, De Angelis parla di Roberto Fiore, il leader di Terza Posizione (che fa tuttora politica con un nuovo movimento di estrema destra), spiegando ai giudici che i Nar, dopo Mangiameli, volevano uccidere anche loro. Il burrascoso incontro con la moglie del siciliano assassinato, infatti, fu seguito da un altro invito che sembrava una nuova trappola: «Vale a quel punto mi disse che si doveva allontanare e mi chiese di metterlo in contatto al più presto possibile con Roberto Fiore. Io avevo un appuntamento con Fiore un paio d'ore dopo, ma a quel punto, fiutando che c'era qualcosa di strano, gli dissi che era fuori Roma e non sapevo come contattarlo: anch'io ero latitante... Lo rassicurai che comunque lo avrei messo in contatto appena ne avessi avuto modo. Invece, appena lui si allontanò, salii in macchina con Volo e Sara Mangiameli e andai all'appuntamento con Fiore, che nel frattempo aveva comprato l'edizione serale de Il Tempo, su cui c'era effettivamente la fotografia del corpo. Per cui noi dalla fotografia riuscimmo ad avere la prova definitiva che il corpo appartenesse a Francesco Mangiameli».

 

Pubblico Ministero: «Quando voi quattro avete il giornale con la foto del cadavere ritrovato, qualcuno di voi esprime ipotesi su chi possa essere l'autore dell'omicidio di Mangiameli?»

De Angelis: «A quel punto era evidente: se Mangiameli era andato a incontrare Fioravanti e chi l'aveva portato via in macchina era Giorgio Vale, che noi già sapevamo essere divenuto organico al gruppo di Fioravanti, era evidente che era stato Fioravanti».

 

De Angelis racconta ai giudici che la rottura fra Terza Posizione e Nar risaliva all'omicidio di un poliziotto molto bravo e coraggioso, Francesco Evangelista, 37 anni, detto «Serpico», che fu assassinato dal gruppo di fuoco di Fioravanti, il 28 maggio 1980, davanti al liceo Giulio Cesare, nel quartiere Trieste.

 

De Angelis: «All'indomani di quell'omicidio, noi ci ponemmo il problema di arginare questa campagna armata di Fioravanti, ma ci rendemmo conto che non avevamo la capacità militare di farlo».

Presidente: «Per Fioravanti intende solo lui o anche altri attorno a lui?»

De Angelis Marcello: «No, intendo il gruppo di Fioravanti».

Presidente: «E da chi era costituito?»

De Angelis: «Valerio Fioravanti, il fratello Cristiano, Francesca Mambro, Cavallini e Giorgio Vale, che noi fino all'attentato del Giulio Cesare pensavamo fosse dalla parte nostra e poi scoprimmo che faceva il doppio gioco con Fioravanti».

 

Presidente: «Il nome di Luigi Ciavardini le dice qualcosa?»

De Angelis: «Mi dice moltissimo. Luigi Ciavardini fu la persona grazie alla quale noi scoprimmo che c'era questa campagna nei nostri confronti. Io lo incontrai pochi giorni dopo i fatti del Giulio Cesare, lui durante lo scontro a fuoco era stato ferito da Valerio Fioravanti, pare accidentalmente, e abbandonato lungo la strada. Noi allora ritenemmo che, in realtà, anche questo potesse essere stato studiato, nell'eventualità che appunto Ciavardini, che era noto come appartenente a Terza Posizione, fosse arrestato e di conseguenza ricadesse su di noi la colpa dell'attentato...».

Presidente: «Perché lei dice che era noto che Ciavardini appartenesse a Terza Posizione?

De Angelis. «Lui era organico a Terza Posizione».

Presidente: «Quali erano i suoi referenti?»

De Angelis: «Ma anche io stesso, mio fratello Nanni e direttamente Giorgio Vale. Precedentemente Roberto Nistri e dopo il suo arresto Vale. E proprio tramite lui (Ciavardini) io scoprii che Vale stesso, a lui, aveva posto la questione del Giulio Cesare come se fosse una azione concordata tra noi e il gruppo di Fioravanti. (Ciavardini) cadde dalle nuvole quando gli feci presente che invece non ne sapevo nulla. Il che era quantomeno anomalo, soprattutto perché la zona del Giulio Cesare era di mio interesse, diciamo, di mio controllo... E comunque era un omicidio e noi non eravamo interessati a quel tipo di azione... Tre giorni dopo la conversazione con Ciavardini, cercai un contatto con Giorgio Vale, che innanzitutto mi chiese di non farne parola a Roberto Fiore. Il che era la conferma che effettivamente avesse agito alle nostre spalle, facendo appello ad una sorta di meccanismo omertoso».

Presidente: «Quindi lei dice che a fine primavera, inizio estate 1980, c'era già una sorta di contrapposizione tra Nar e Terza Posizione?

De Angelis Marcello: «Una guerra. La definisco una guerra perché alcuni di noi, io in primis, e lo rivendico senza problemi, ritenni che l'unica maniera per arginare questo pericolo fosse l'eliminazione di Fioravanti e di tutto il suo gruppo. Il problema è che noi non avevamo la capacità militare di affrontare una contrapposizione di questo genere».

 

De Angelis nell'interrogatorio definisce la banda di Fioravanti «uno dei gruppi Nar». E precisa: «Nar era una sigla che veniva utilizzata da svariati gruppi scollegati tra di loro e che poi Fioravanti aveva fatto propria. Comunque per noi era il gruppo Fioravanti... della galassia Nar».

De Angelis rivendica anche la diversità di Terza Posizione e la sua azione politica pubblica, non clandestina: «I Nar nascevano con l'intenzione di fare la lotta armata, lo dice il nome stesso: Nuclei Armati Rivoluzionari. Noi invece noi nascevamo con l'intento di fare una politica di piazza, militante, anche con azioni di forza, però strettamente collegata all'attività politica».

 

Di fronte alle obiezioni del pubblico ministero, però, De Angelis ammette che anche Terza Posizione «aveva le armi». E quando gli viene chiesto chi erano i capi del loro gruppo armato, e in particolare chi deteneva e controllava le armi di Terza Posizione, fa tre nomi: «Giuseppe Dimitri e Roberto Nistri, poi Giorgio Vale».

 

Dimitri, morto nel 2009, fu arrestato nel dicembre 1979 mentre prelevava un carico di armi e bombe a mano da un covo neofascista in via Alessandria 129 a Roma. Nelle sentenze di Bologna si legge che era un grosso arsenale, con numerose armi anche da guerra e diversi chili di esplosivo, custodito «in uno scantinato di pertinenza dell'agenzia assicurativa di Adriano Tilgher, una figura di spicco di Avanguardia nazionale, dove era ubicata anche la redazione, direzione e amministrazione di un periodico, Confidentiel, fra i cui redattori figurava lo stesso Tilgher». I giudici annotano che «il direttore del giornale era il padre, Mario Tilgher, risultato iscritto alla loggia massonica P2».

 

L'interrogatorio si chiude con altre domande sull'omicidio Mangiameli. Secondo De Angelis, lui e gli altri dirigenti di Terza Posizione lo interpretarono come «il primo atto di una campagna di eliminazione nei nostri confronti, che poi si palesò anche nei giorni seguenti. Io stesso sfuggii ad un tentativo di sequestro da parte del gruppo di Fioravanti». A tendergli la trappola fu il solito Vale, che gli chiese un incontro. Ma De Angelis non ci andò: «Ci mandai un'altra persona, che appunto si trovò fronteggiata da Vale, con una macchina con altre persone. Vale si innervosì moltissimo, lo aggredì verbalmente, gli chiese perché non ero andato io. Lui disse che ero stato trattenuto altrove, che però comunque non c'erano problemi». De Angelis non rivela il nome di quel camerata. Ma aggiunge: «Poi ebbi un ultimo incontro con Vale, che mi chiese in maniera piuttosto aggressiva se avessi paura di lui. Gli dissi di no... Dopodichè, molto tempo dopo, a Londra, venni a sapere che c'era questa intenzione di interrogarmi, diciamo, per farmi dire dove si trovassero Fiore e Adinolfi».

 

Davanti al tribunale De Angelis conferma anche di essere stato uno degli autori di un famoso volantino di Terza Posizione, che definiva Mangiameli come l'ultima «vittima della strage di Bologna», evidenziando così il legame tra il suo omicidio e l'attentato terroristico del 2 agosto.

Presidente: «Ha contribuito all'elaborazione di questo volantino?»

De Angelis: «Certo».

Presidente: «Per quale motivo avete definito Mangiameli una vittima della strage?»

De Angelis: «Perché ritenevamo che la strage di Bologna fosse stata compiuta da apparati dello Stato per dare una motivazione alla repressione totale di tutti quanti i gruppi esterni al Movimento Sociale Italiano, a destra, e ritenevamo che all'interno di questo disegno di eliminazione dell'antagonismo di destra rientrasse anche l'aggressione armata nei nostri confronti da parte di Valerio Fioravanti».

Il presidente del tribunale obietta che «ci sono due salti logici in quello che dice»: il volantino indica come vittima «la persona di Mangiameli, non tutta Terza Posizione». Mentre i rapporti tra i Nar e Terza Posizione sono proseguiti almeno fino al luglio 1980, alla vigilia della strage, quando Fioravanti e Mambro furono ospiti di Mangiameli in Sicilia: la rottura, osserva il presidente, avvenne solo in settembre, proprio quando Mangiameli fu ucciso. E quell'omicidio, secondo le sentenze definitive, fu deciso da Fioravanti solo dopo la scoperta il leader siciliano di Terza Posizione aveva parlato della strategia stragista dei Nar con un ufficiale dei servizi segreti.

Nonostante le obiezioni, De Angelis riconferma che «il volantino si riferiva a tutta Terza Posizione». Ma aggiunge che in effetti l'omicidio Mangiameli «per noi era un atto alla Fioravanti, era perfettamente nella logica di Fioravanti, che aveva intrapreso una via che per noi era banditesca e si comportava come un mafioso».

De Angelis inoltre conferma che, come emerge da altri atti, lui e gli altri latitanti di Terza Posizione, dopo la fuga a Londra, iniziarono a definire il gruppo di Fioravanti «i sette pazzi».

Per la strage di Bologna, Ciavardini si è sempre proclamato innocente, come Fioravanti, Mambro e Gilberto Cavallini, il killer, armiere e tesoriere dei Nar, condannato in primo grado nel 2020 e ora in attesa della sentenza d’appello.

Ciavardini ha invece confessato, dopo l’arresto, di aver partecipato all'omicidio del pubblico ministero romano Mario Amato. Il magistrato, che era senza scorta, fu ucciso per strada da Cavallini il 23 giugno 1980, cinque settimane prima della strage, con la complicità di Ciavardini, che guidava la moto. Amato era l'unico pm di Roma che indagava sul terrorismo neofascista e in quei mesi di solitudine aveva scoperto i legami dei Nar con la Banda della Magliana, i boss della mafia siciliana a Roma, i servizi segreti deviati e la loggia P2, all’epoca ancora segreta e potentissima.