La denuncia
Baraccopoli di Messina, il diritto alla casa sepolto tra degrado e lentezze burocratiche
Alcuni accampamenti risalgono al terremoto del 1908. Ancora oggi ci vivono, in condizioni indecorose e sotto scacco del racket delle occupazioni, oltre 1.800 famiglie. Anche se i soldi per il risanamento non mancano, sono stati assegnati pochissimi alloggi
Quando, il 12 gennaio scorso, i familiari della signora Santina Parisi non hanno potuto salutarla per l’ultima volta nella sua casa, avranno pensato che non è vero, come recita l’articolo 3 della Costituzione, che tutti i cittadini hanno «pari dignità sociale». Il motivo per cui non è stato possibile far sostare la salma dentro la dimora – si legge in una nota diffusa dalla sua avvocata Annalisa Giacobbe – è che la bara era troppo grande per entrare in questa baracca del quartiere Giostra, a Messina, dove la donna di 66 anni viveva con il figlio. Immunodepressa per via di un trapianto di fegato, aveva contratto qui, contagiata dai topi, la toxoplasmosi. Ed è morta in attesa di una casa vera.
La sua vicenda non è isolata: a fare i conti con umidità, muffa, infiltrazioni d’acqua, impianti elettrici fatiscenti, ratti, fogne a cielo aperto e tetti in amianto (nel 2018, su una superficie di circa 240 mila metri quadrati di baraccopoli, l’amianto occupava un’area di 50 mila metri quadrati) sono oggi oltre 1.800 nuclei familiari per un totale di 72 accampamenti, alcuni a due passi dal municipio e dal Palazzo di Giustizia. C’è chi in quelle baracche vive dal 1975. Come un signore ipovedente, la cui moglie è morta dopo innumerevoli ricoveri per problemi polmonari causati dall’umidità; è successo, in passato, che al pronto soccorso non potessero nemmeno trasportarla in barella e si arrangiassero con un lenzuolo.
Ma come si è arrivati a tanto? A Messina, alcune baraccopoli risalgono al 1908, anno in cui un terremoto distrusse la città. Altre, invece, sono più recenti. Il fenomeno della costruzione e della vendita delle baracche è durato fino al 2014, quando il Comune consentiva ancora di fissarvi la residenza. «È più facile fare il ponte sullo Stretto che demolire le baraccopoli», dice Marcello Scurria, subcommissario per il risanamento su nomina del presidente della Regione siciliana Renato Schifani e attualmente commissario straordinario. Il suo mandato scadrà il 31 dicembre 2024. «Se il problema esiste ancora, la colpa è di quello che dalla prima legge speciale, la n. 10 del 1990, non è stato fatto: in 30 anni sono stati assegnati pochissimi alloggi rispetto a un fabbisogno enorme».
Scurria ha ora in cassa 83 milioni di euro, che eredita dal commissario precedente, la prefetta Cosima Di Stani. I soldi per la dismissione e il risanamento non sembrano mancare. La politica regionale ha garantito 235 milioni di euro, a cui si aggiungono 100 milioni stanziati dal governo nel 2021 e i soldi messi a disposizione, sempre dal governo, con il progetto Pinqua: 145 milioni da spendere entro il 2026. «Dopo lo sbaraccamento di Rione Catanoso, è toccato a Camaro Sottomontagna», assicura Scurria. Qui, a fine giugno, è divampato l’ennesimo incendio. Come ha riportato la Gazzetta del Sud, tra aprile e metà luglio 2023, sono state circa 60 le famiglie liberate dai tuguri nei due quartieri. Intanto, Scurria fa sapere che i primi in lista ad avere alloggi saranno i soggetti fragili, le famiglie con bambini e i malati terminali.
Il subcommissario ha dalla sua la conoscenza del territorio: prima di questo incarico, è stato presidente di A.Ris.Mé, agenzia per il risanamento e la riqualificazione urbana di Messina che, sotto la vigilanza del Comune, reperisce sul mercato immobiliare gli alloggi e ricostruisce le zone sbaraccate. In questa vicenda intricata, l’agenzia svolge un ruolo cruciale. Dopo anni di immobilismo, nazionale e regionale, è stata istituita nel 2018 dall’ex sindaco Cateno De Luca e da allora ha sbaraccato sette aree, consegnando alloggi a 200 famiglie.
Nel 2020 è stata, invece, la deputata messinese Matilde Siracusano, ora sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento, a depositare con il sostegno dell’allora capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini, una proposta di legge sulle baraccopoli, dove si prevedeva la nomina di un commissario straordinario e la concessione di poteri speciali per accelerare le procedure. L’anno successivo, però, è cambiata la regia del risanamento: «Prima A.Ris.Mé operava in sinergia con De Luca e si gestiva tutto con fondi comunali e regionali. Poi, quando è stato assegnato il ruolo di commissario straordinario alla prefetta Di Stani, il processo si è arenato perché lei, nonostante avesse a disposizione i poteri speciali, ha scelto di non usarli», spiega l’avvocato Vincenzo La Cava, subentrato alla guida di A.Ris.Mé.
Poteri che sarebbero stati fondamentali, ad esempio, per garantire delle priorità nell’assegnazione degli alloggi. Ora Scurria assicura che si volterà pagina: «Stiamo lavorando con l’Azienda sanitaria provinciale di Messina per censire le famiglie con minori, disabili o invalidi». Su questo punto, però, l’avvocata Giacobbe tiene a precisare che già dal 2012 esiste un regolamento comunale che prevede le cosiddette assegnazioni in deroga alla graduatoria di edilizia residenziale pubblica: i soggetti che ne hanno diritto possono presentare al Comune un’istanza per ricevere con priorità un alloggio. Nel 2018, a tal proposito, l’Asp aveva già effettuato uno screening sanitario, segnalando la presenza di 90 persone in assistenza domiciliare integrata e di dieci sottoposte a cure palliative domiciliari.
Come spiega anche La Cava, il risanamento è una gatta da pelare e il reperimento degli alloggi sul mercato è difficoltoso: per soddisfare tutti servono minimo 800-1.000 immobili. Inoltre, una volta individuati, molti di questi sono in condizioni disastrose e qui entra in gioco Invitalia, con il compito di ristrutturarli. L’iter funziona così: A.Ris.Mé individua gli immobili liberi, li propone al subcommissario, che finanzia l’acquisto, mentre Invitalia li rinnova. Alle famiglie viene proposto un contratto di locazione e dopo un anno si può riscattare la casa per diventarne proprietari.
«Durante l’ex amministrazione De Luca, è stata istituita la partecipata Patrimonio spa con l’obiettivo di mappare il patrimonio immobiliare effettivo del Comune», spiega il sindaco attuale di Messina, Federico Basile. Messa in liquidazione dal consiglio comunale precedente, la società da qualche mese è tornata in bonis e il sindaco ha aperto un albo alla ricerca di tecnici per la mappatura degli immobili liberi.
Ma, oltre che abitativa, l’emergenza è anche sociale: nel contesto degradato prolifera la criminalità, con un autentico racket che per anni ha alimentato l’occupazione a pagamento delle baracche. Un ricatto in cui incappano in molti, considerato che la maggior parte di queste persone vive grazie al reddito di cittadinanza. La gestione Scurria ha posto, quindi, una condizione tassativa: se in attesa del nuovo alloggio si vende abusivamente la propria baracca, si perde il diritto alla casa.
Perciò, nel 2017, è nato, con un co-finanziamento governativo di 18 milioni di euro nell’ambito del Programma straordinario di Riqualificazione e Sicurezza delle Periferie urbane, il progetto “Capacity”. Sotto la guida di Gaetano Giunta, segretario generale della Fondazione di Comunità di Messina, in quattro anni ha permesso il risanamento di due baraccopoli, con 151 nuclei familiari sotto la soglia della povertà che hanno ricevuto un’abitazione.
«Si procedeva in due modi. Il Comune acquistava le case per poi assegnarle in locazione secondo graduatoria, ma con una modalità partecipativa. Oppure permetteva alle persone di acquistare una casa di proprietà attraverso un grant chiamato capitale personale di capacitazione». Un contributo a fondo perduto che aveva un valore pari al 75% del prezzo lordo d’acquisto della casa, con un massimale che non poteva superare gli 80 mila euro. Per accedere a questo beneficio le persone non dovevano avere precedenti per mafia e, se nei dieci anni successivi all’acquisto della casa venivano condannati, perdevano la proprietà.
Oggi questa formula non è più applicabile. «Ed è un peccato», commenta Scurria: «Avrebbe accelerato il risanamento. Tuttavia, i 100 milioni messi a disposizione dal governo sono solo per gli investimenti e non possono essere utilizzati, in quanto fondi europei, per una soluzione che costituisce spesa corrente». E su una cosa tutte le parti coinvolte sono d’accordo: entro il 2024 non si riuscirà a risolvere il problema. «Non ho la bacchetta magica», ammette Scurria. Non sarà nemmeno facile recuperare la fiducia delle persone, che dopo una vita in baracca si sentono come pedine in balìa delle prossime campagne elettorali: «Abbiamo creduto a tante promesse, ma nulla è cambiato».