Scuola

Fiere, brochure e open day, benvenuti nel business del (dis)orientamento universitario

di Gloria Riva   14 settembre 2023

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Il salone dello studente di Torino

Il Pnrr destina 250milioni per l'orientamento, ma spende quei soldi per fare marketing anziché aiutare per davvero i giovani a trovare la propria strada fra atenei, formazione e mondo del lavoro

Accecati dalle luci al neon dei saloni espositivi e confusi dalle temperature tropicali, tipiche dei locali ad alta concentrazione umana, i ragazzi provano a tenere alta l’attenzione sul bombardamento di informazioni provenienti dalla sterminata offerta didattica snocciolata agli stand. Un guru del counselling offre consigli su come scegliere - senza margine di errore - la facoltà più giusta, un ingegnere (uomo) magnifica le bellezze della professione e una laureanda (donna) in Scienze delle Formazione racconta con entusiasmo la promessa di una carriera di educatrice. Benvenuti alla fiera dell’orientamento, in teoria un ossimoro, mentre nella pratica pare che le due parole si sposino benissimo. Almeno dal punto di vista del business. Le fiere dedicate all’orientamento universitario sono un buon affare, per chi le organizza.

 

Nell’ultimo bilancio la Campus Editori srl, società del gruppo Class che gestisce i Saloni dello Studente, presenti in molte città universitarie, scrive: «Le attività continuano positivamente, incidendo su un segmento di mercato dove la concorrenza è molto debole», e chiude il 2022 in utile, con due milioni e mezzo di ricavi. La concorrenza viene dalla fiera di Verona, che organizza l’esposizione Job&Orienta e attira 45mila giovani e oltre 400mila università. Altro grande player è l'associazione palermitana Aster, che spadroneggia al Sud. L’ingresso è gratuito per i ragazzi e i finanziatori sono le università e gli enti che vi partecipano, che attingono dai finanziamenti pubblici messi a disposizione del ministero dell’Università e della Ricerca: quest’anno ha messo sul piatto 15milioni di euro per l’orientamento e il tutorato, altri 9 milioni per il piano Lauree Specialistiche e un prezioso tesoro da 250 milioni del Pnrr. Altri 40 milioni sono stati stanziati con decreto ministeriale nel 2021 per le attività di orientamento.

 

Resta da capire quanto giova tutto questo agli studenti: poco, stando ai dati pubblicati da Anvur, Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, nel report di luglio (il precedente risale a cinque anni fa), dove sollecita «la definizione di politiche di orientamento universitario diverse e specifiche» e ritiene necessario «porre attenzione non solo all’orientamento in ingresso ma anche a politiche e azioni di tutorato nel corso di tutto il ciclo di studi». Questo perché negli ultimi dieci anni la percentuale di diplomati che si immatricola all’università è ferma al 59 per cento, con tassi di abbandono nei primi due anni al 14,5 per cento. «Dati indubbiamente preoccupanti», commenta l’Anvur, che suggerisce politiche mirate, essendo i numeri più desolanti al Sud e per chi arriva da istituti tecnici e professionali. Tuttavia il metodo fieristico non offre grandi opportunità di diversificazione. Se n’era parlato, dell’opportunità di una riforma dell’orientamento, su basi scientifiche e non sul marketing promozionale, all’inizio del 2022, quando c’era da capire come meglio spendere i 250 milioni del Pnrr.

 

All’epoca Pierpaolo Limone, ex rettore dell’Università di Foggia e coordinatore della Commissione di Orientamento della Crui, Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, aveva invitato la Società Italiana per l'Orientamento (Sio), un ente composto da psicologi, sociologi, economisti e docenti universitari con alta specializzazione, a partecipare ai lavori della commissione stessa per creare un nuovo modello a sostegno dei giovani e basato su evidenze scientifiche. Tuttavia, l’anno successivo, con la fuoriuscita di Limone dalla Crui, la collaborazione si è interrotta e ben poco di quel lavoro è stato tenuto in considerazione. Risultato: i 250milioni di euro per l’orientamento saranno spesi per coinvolgere un milione di studenti degli ultimi anni delle scuole superiori in corsi di transizione scuola-università. «Ma il modello sarà ancora quello degli open day, delle fiere, delle presentazioni. Così non si offre ai giovani coscienza critica e una visione di futuro. Perché l'orientamento è tutt’altra cosa rispetto al marketing», avverte Laura Nota, docente di Psicologia dell’Orientamento all’Università di Padova e presidente della Sio: «L’Italia ignora una vasta letteratura scientifica sul tema, e continua ad affidare l'orientamento a docenti privi di una specifica formazione, sprecando l’opportunità di ridurre il dilagante fenomeno delle disuguaglianze».

 

Secondo gli analisti i giovani decisi hanno già scelto sulla base di variabili familiari, sociali ed economiche mentre chi è indeciso dovrebbe prima mettere a fuoco ciò che considera importante per il proprio futuro: «L’orientamento deve creare le condizioni affinché le persone riescano a fronteggiare le sfide dell’epoca attuale, caratterizzate da crescenti disuguaglianze, massicci cambiamenti nel mondo del lavoro e una diminuzione del senso di coesione in molte delle nostre comunità», scrive la docente di Educational Psychology Maureen Kenny del Boston College. Il 76,5 per cento dei giovani della scuola superiore, intervistati da Almalaurea, confermano che i servizi di orientamento attuali sono poco utili o inutili.

 

Dal canto suo, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, potrebbe rispondere che in questi giorni è online la piattaforma telematica OrientaMenti, riservata ai 56mila docenti candidati al ruolo di tutor. I contenuti del corso, che sarà virtuale e realizzato dall’ente ministeriale Indire, sono però criticati da chi si occupa di alta formazione: «Servono master post laurea, dalle 120 alle 300 ore di insegnamento frontale, a cui aggiungere studio e sperimentazione. Appare evidente quanto lontana sia l’offerta di venti ore proposta dal ministero. Rispetto ai contenuti, siamo al solito modello di matching, in adesione al solo dettato imprenditoriale, senza tuttavia fare i conti con un mondo del lavoro e una società in rapido cambiamento e con una generazione di giovani gravemente colpita da ansia e atteggiamento depressivo nei confronti di un futuro che, semplicemente, non riescono a vedere», dice Nota.

 

La soluzione - per favorire il ripopolamento delle aule universitarie (dacché l'Italia è in fondo alla classifica europea) - non è né semplice né immediata, ma la Sio spiega che si sarebbe potuto fare di più con i 250 milioni del Pnrr, finanziando un servizio di orientamento dalle scuole dell'infanzia al dottorato, che coinvolgesse educatori, insegnanti e docenti, di carattere preventivo ed educativo, offrendo percorsi innovativi di sensibilizzazione per docenti, genitori, divulgatori e facendo perno su quei laboratori e dipartimenti universitari italiani che già oggi svolgono ricerca in materia di orientamento. Dicevamo, un percorso complesso. Più semplice farsi un giro in fiera e sperare che il futuro non sia poi così male.