Il caso

La guerra del governo Meloni alla cannabis: vietati anche gli oli. «Così si distrugge un intero settore industriale»

di Rita Rapisardi   20 settembre 2023

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Cannabis

È entrato in vigore l'obbligo di ricetta medica per tutti i prodotti con CBD, la molecola non psicotropa e che non crea dipendenza contenuta nella pianta. Che invece ora sarà equiparata alle sostanze stupefacenti a rischio abuso. Anche se la scienza dice tutt'altro

Made in Italy, piccola e media impresa, settore agricolo italiano. Dal suo insediamento il governo Meloni ripete ossessivamente queste parole d'ordine, in continui spot tra ministeri appositi e comparsate nelle fiere di settore: eppure pare esserseli dimenticati. È infatti nella direzione opposta che viaggia il nuovo decreto firmato Schillaci che inserisce il cannabidiolo (CBD), molecola non psicotropa e che non crea dipendenza, contenuta nella pianta di cannabis, quando destinata ad uso medico, tra le sostanze stupefacenti a rischio di abuso

 

Una decisione che va a toccare nel vivo l’intero settore della canapa industriale italiana che oggi conta 12mila occupati (senza contare l’indotto) e con un'alta percentuale di under 35 al suo interno, e che cambia dall’oggi al domani la vita lavorativa di migliaia di persone. Infatti inquadrando una qualsiasi sostanza tra quelle a rischio d'abuso si entra in pieno conflitto con la commercializzazione dello stesso per altre destinazioni lecite come quella cosmetica e in prospettiva come integratori alimentari “novel food”. 

 

«Tra pochi giorni festeggeremo un anno di attività, siamo ottimisti, ma sappiamo che è dura, certe mattine è veramente difficile», racconta Erika Pozzetti, che con i suoi due fratelli ha fondato la Treepoties, un’azienda specializzata in Canapa che prende ispirazione da una lunga tradizione familiare di attività nella cosmesi naturale e negli integratori. «Abbiamo deciso di concentrarci sulla canapa, per i benefici della pianta a tutti i livelli, e per entrare in un mercato innovativo e tanto richiesto in Europa. Ma anche per combattere un pregiudizio, con la voglia di fare divulgazione». Sono infatti sempre di più le persone che valutano alternative a farmaci “pesanti” e che trovano la risposta nel CBD che ha proprietà antinfiammatorie, antiepilettiche e antiemetiche. «Si mette in ginocchio un settore e le persone che nel CBD hanno trovato una risposta migliore e che per esempio per dormire meglio usano l’olio di CBD per non prendere le benzodiazepine che creano dipendenza», conclude Pozzetti. 

 

In pratica con l'entrata in vigore del decreto, per acquistare l’olio a base di CBD servirà una ricetta medica (non ripetibile) come avviene nei farmaci considerati pericolosi ed alto rischio abuso, come gli ansiolitici e gli antidepressivi. «È qualcosa che non avremmo permesso per nessun altro settore, pensiamo ai tassisti che tengono in mano il paese, per chi lavora la canapa invece, neppure una parola. Una spallata a un intero settore, senza una proposta alternativa - commenta Antonella Soldo di Meglio Legale - persone che hanno investito soldi e preparazione in aziende, creato posti di lavoro e innovazione, che pagano le tasse». 

 

Le mire proibizioniste del governo sono note, ma quello che non torna nella decisione presa da Schillaci, e che in realtà riesuma un decreto approvato per la prima volta dal ministro Speranza nel 2020, poi sospeso, è la valutazione scientifica del tutto sbagliata sul CBD: «Il vero problema è dove è stato inserito il CBD, cioè tra le sostanze psicotrope, quando questa non lo è. Questo inquadramento tra le droghe a rischio di abuso non ha nessuna prova scientifica. Legalizzare o meno la cannabis è una scelta politica, antiproibizionista o no, ma scientificamente qui non c’è valore», spiega Mattia Cusani di Canapa Sativa Italia, un’associazione nazionale di settore che si sta già muovendo per fermare il decreto. «Abbiamo già scritto ad Aifa e al ministero della Salute a riguardo e speriamo venga ritirato o corretto, ad esempio inserendo il CBD nei farmaci senza prescrizione medica e divieti di pubblicità, ma se ciò non avvenisse abbiamo già in mente di ricorrere al Tar ed eventualmente alla Commissione Europea». La regolazione del CBD infatti è di competenza europea e la sua commercializzazione è consentita proprio perché è una sostanza sicura.  

 

La decisione del governo Meloni va completamente in direzione opposta rispetto a quanto avviene in Europa, dove da tempo è stato avviato un percorso per una normativa comunitaria sui cosiddetti “novel food”. Un percorso, quello europeo, che legittima la libera circolazione del CBD per i cosmetici e gli integratori alimentari e non si fa alcuna menzione del rischio di abuso. Di più, alcuni paesi stanno andando oltre. La Francia ha approvato una legge per considerare il CBD un integratore: il Senato ha stimato un mercato che potrebbe fatturare fino a 2,5 miliardi di euro all’anno. 

 

«Qual è lo scopo di questo decreto, dare i soldi alle aziende straniere? Un prodotto da 100 ml da noi il consumatore lo paga 250 euro iva inclusa, con una ricetta non ripetibile come farmaco stupefacente invece, lo Stato, e quindi tutto noi, pagherà 1700 euro senza iva da una società britannica », commenta Costantino Gianfrancesco di Green Labs, che produce prodotti a base di CBD, venduti anche nelle farmacie, come burro cacao, creme antiage e oli per massaggi; unica azienda specializzata in Molise e che conosce bene la repressione ideologica nei confronti del settore: da anni infatti subisce controlli indiscriminati come se agisse nell’illegalità. Come lui centinaia di aziende: processi vinti nella totalità dei casi, secondo i dati di Meglio Legale, ma che risultano assai onerosi per l’industria spesso privata della materia prima sottoposta a sequestro. «Dopo che per anni ci hanno tenuti sospesi in assenza di una normativa chiara sull’uso tecnico, ora questo. Registreremo il prodotto per il solo uso cosmetico, ma così non possiamo usare l’estratto. Devo andare ad aprire il mio laboratorio altrove? In Germania o Repubblica Ceca? Così si crea ansia e disagio a un intero settore che da tempo dimostra di fare bene». 

 

«Mentre il settore vinicolo non si tocca, anzi sembra esserci un incentivo di stato all’abuso, come l’iniziativa del ministro Salvini che propone i taxi fuori dalle discoteche si fa una guerra morale e non scientifica - conclude Soldo - Non è un caso che dove le democrazie sono traballanti le leggi sulle sostanze sono pesanti».