Devrim Akcadag è un cronista conosciuto in Germania. È finito in carcere a Sassari perché per la Turchia di Erdogan è un terrorista affiliato al Pkk, ma i giudici di Berlino hanno sentenziato per tre volte che si tratta di un'accusa falsa. Ora è stato scarcerato, ma rischia l’estradizione e 15 anni di galera

È il primo agosto 2023. Devrim Akcadag, cittadino tedesco di origine curda, giornalista e traduttore presso l’Università di Berlino, è nella sua camera nell’Hotel Red Sun Village, in provincia di Sassari. Con lui c’è sua figlia, 11 anni. Stanno programmando una giornata di mare nella splendida Calarossa, a due passi dall’albergo. Alle 9.30 il direttore dell’hotel bussa alla porta e gli comunica che devono cambiare immediatamente camera per una perdita nella stanza al piano superiore e così li accompagna nella nuova abitazione: «Non appena la porta è stata aperta, all'interno c'erano tre funzionari della Digos di Sassari – racconta Akcadag -. Hanno detto che c’era una segnalazione dalla Turchia e che dovevamo recarci alla stazione di polizia. Non abbiamo portato nulla con noi, solo i documenti e i telefoni. Mia figlia aveva con sé solo un costume da bagno e una gonna perché ci hanno detto che sarebbe stata una procedura veloce». 

 

Arrivati al commissariato di Cagliari invece, dopo ore di attesa, padre e figlia vengono separati. «Hanno allontanato mia figlia e comunicato che l'avrebbero portata in un centro di accoglienza» – prosegue Devrim -. «La bambina era terrorizzata. Nel frattempo hanno anche riferito che avrebbero informato mia moglie, ma non l'hanno fatto. Mia figlia è riuscita a chiamare la madre soltanto due giorni dopo, e solo in questo modo lei ha scoperto dove si trovava». 

 

Akcadag invece finisce nel carcere di Bancali, nella sezione dei detenuti in attesa di giudizio, in isolamento. «Non riuscivo a credere a quello che mi stava succedendo. La mattina ero in un albergo sul mare e ora mi trovavo in una cella. Non potevo credere di aver subito un simile trattamento in un Paese europeo. Non capivo perché l'Italia fosse stata coinvolta su richiesta della Turchia».  Il 3 agosto, dopo la prima udienza online, Devrim Akcadag viene trasferito in una nuova sezione all’interno dello stesso carcere: «la chiamano ‘sezione del terrore, principalmente per la presenza di militanti islamici radicali, compresi membri dell'ISIS. Mentre mi spostavano mi hanno detto di non parlare con nessuno perché si trattava di persone molto pericolose», conclude l’uomo. Tuttavia, la prima parte di questa odissea finisce il giorno dopo, quando vengono concessi a Devrim gli arresti domiciliari presso l’ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione) di Selargius. Mentre scriviamo, però, la Corte D’Assise di Cagliari, sezione di Sassari, ha appena concesso al giornalista tedesco la libertà. Ma il caso non è chiuso, e la richiesta di estradizione della Turchia, così, è ancora pendente. 

 

Il caso giudiziario
La questione giudiziaria è tutta esplicitata in un lungo carteggio che l’avvocato dell’uomo, Nicola Canestrini, ha inviato qualche giorno fa al Ministero della Giustizia per chiedere l’immediata scarcerazione di Akcadag in ragione del concreto rischio di persecuzione politica in caso di consegna. L’accusa che la Turchia muove, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, è quella di «partecipazione ad associazione terroristica», previsto dagli articoli 314/2,53,58/9 del codice penale turco e puniti con la pena massima di anni 15 di reclusione. In sostanza si accusa Akcadag di essere affiliato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e di aver svolto per l’organizzazione che nello stato dell’antica Anatolia è considerata terroristica: «attività di hacker, aver prodotto comunicazioni criptate e aver presenziato in un programma televisivo nell’interesse del partito».

 

Nella realtà, invece, come dimostrato da Canestrini con ampia documentazione, l’uomo si è recato spesso come giornalista nei teatri di guerra del Medio Oriente, nell’Iraq del Nord, in particolare, dove ha girato diversi servizi televisivi anche per la Bbc, l’agenzia Reuters e Al Jazeera, oltre che per emittenti televisive belghe e tedesche. Di più: Devrim è entrato ed è uscito più volte dalla Turchia. Fino a quando il permesso gli è stato revocato e, dal 2013, è cominciato per lui un lungo calvario giudiziario. Prima in Germania, dove le indagini per terrorismo richieste da Ankara a Berlino sono state archiviate per ben tre volte, perché non è stato accertato che avesse legami con il Pkk o che fosse stato inviato in Europa dall’organizzazione, come ha riconosciuto nell’ultima sentenza di archiviazione il procuratore capo di Berlino. Dal 2021, di nuovo, le stesse accuse, quelle messe nero su bianco dalla Red Notice dell’Interpol che è alla base della richiesta di estradizione. 

 

Ma cos’è una Red Notice?  
Una Red Notice è un avviso diffuso dall’Interpol su richiesta di una forza di polizia di uno Stato che serve a individuare ed arrestare una persona ricercata da un determinato paese per metterla a disposizione dell’autorità giudiziaria in attesa di una richiesta di estradizione. «È incredibile che l’Italia non riconosca l'Interpol Abuse, cioè la strumentalizzazione della cooperazione di polizia, continuando ad eseguire Red Notices emesse in stati autoritari in automatico senza alcun vaglio politico, che pure è previsto nella materia estradizionale», spiega a L’Espresso l’avvocato di Ackadag, Nicola Canestrini: «In altri paesi c’è una verifica preventiva che tenta di evitare la persecuzione politica per via giudiziaria: ecco perché abbiamo scritto al ministro chiedendo un suo immediato intervento». Infatti, nella sola materia estradizionale, il ministro ha il potere di ordinare l’immediata liberazione. Anche perché, conclude il legale: «La Turchia purtroppo da tempo ormai non dà alcun affidamento circa il rispetto dei diritti fondamentali, come la stessa Cassazione meritevolmente sottolinea da anni». La Corte di Cassazione infatti con la sentenza 54467/2016, ribadita poi con sentenza 31588/2023, si riferisce alle sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo turco anche attraverso lo strumento della persecuzione politica degli oppositori attuata dall’emissione di Red Notice Interpol. 

 

Il silenzio della politica 
In casi di questo tipo, secondo il codice di procedura penale italiano, il ministro della giustizia avrebbe il potere di rifiutare l’estradizione, “tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell’interessato”. L'Espresso ha chiesto al guardasigilli Carlo Nordio, e anche al ministero degli Esteri Antonio Tajani, come intendano procedere e quali sono i termini degli accordi con la Turchia in materia di cooperazione giudiziaria. Ma da entrambi i dicasteri abbiamo ricevuto silenzio. Così l’avvocato di Devrim, che rimarca l’assenza della politica in questa storia che si tinge con i contorni del giallo: «Risponde il tribunale e non il Ministro che aveva tutte le prerogative per farlo», dice ancora il legale. Che intanto dovrà tornare tra qualche settimana in aula con il suo assistito, perché la procedura di estradizione, nonostante la liberazione dell’uomo, è ancora in piedi.