Inchiesta

La gigantesca rete di potere di Ignazio La Russa, il ras della Lombardia

di Gloria Riva   1 marzo 2024

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Il presidente del Senato è potentissimo nella regione del Nord, anche grazie a una serie di rapporti consolidati dalla sua famiglia nel corso di mezzo secolo. Dalla spartizione di poltrone al controllo del potere economico e politico, ecco come funziona questo cerchio nero

Il riscaldamento climatico è comunista. Sconquassata dall’inquinamento, madre natura s’aggira in Clarks ed eschimo e scaglia arance di grandine su scuole, parchi e tetti di Comuni di destra. Scientemente risparmia le auto parcheggiate nei municipi rossi. Dev’essere così. Altrimenti non si spiega perché l’assessorato alla Sicurezza e Protezione civile della Regione Lombardia, guidato da Romano La Russa, sia riuscito ad assegnare il 70 per cento dei fondi per i danni causati dai nubifragi eccezionali di luglio scorso a Comuni guidati da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. L’unica altra spiegazione è che le risorse siano state assegnate per colore politico. Gli appassionati di storia ricorderanno che anche Benito Mussolini, all’inizio del Ventennio, distribuiva ricchezze pubbliche in base alla collocazione e all’affiliazione corporativa: da lì al fascismo il passo è stato brevissimo. Del resto, il modus operandi del Ventennio è argomento caro ai La Russa, pur avendo una loro versione di quel periodo: narra una leggenda meneghina che il giovane Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato e seconda carica dello Stato, si adoperasse a stampigliare sulle pagine iniziali del Camera-Fabietti, cioè il più tradizionale dei libri liceali di Storia contemporanea, il timbro «Questo libro dice falsità». Leggende, per l’appunto. Di certo c’è che a Milano e in Lombardia i La Russa hanno tessuto e tessono una fitta rete di potere, occupando poltrone, promettendone altre, ma anche spartendo risorse.

 

Romano La Russa

 

A chi i fondi? A noi!
Torniamo a luglio, quando bombe d’acqua, grandine e violenti temporali sradicano alberi, scoperchiano tetti, distruggono raccolti. La conta dei danni è impietosa: 457 segnalazioni, 1,7 miliardi di danni. La coperta dei ristori è cortissima. Mentre i Comuni in fretta e furia fanno segnalazioni alla Regione Lombardia, sperando di ricevere un po’ di quattrini per sistemare tegole rotte e sgombrare alberi, Romano si prende due settimane per stabilire le regole dell’assegnazione dei fondi: l’8 agosto comunica che i soldi a disposizione sono 6,5 milioni, saranno usati solo per riparare scuole dell’infanzia, elementari e medie e assegnati solo ai Comuni che abbiano presentato una richiesta per «somma urgenza». Che poi, forse, in quel momento l’emergenza era quella di liberare le strade dagli alberi: le scuole in agosto sono notoriamente chiuse. Infatti molti sindaci non presentano una richiesta per «somma urgenza». Molti, ma non tutti: dei 400 Comuni in disgrazia, 183 hanno effettivamente presentato quella specifica richiesta. Lungimiranti. O preveggenti. Il calcolo lo fa il Pd regionale: statisticamente, il 69 per cento dei fondi è finito a Comuni di destra (oltre 2,5 milioni). Si profila un pasticcio politico, tanto più che il sinistrorso Comune di Milano, con 16 milioni di danni sul groppone, totalmente tagliato fuori dai ristori, fa ricorso al Tar «per verificare se la modalità con cui la Regione ha deciso di stanziare i fondi è legittima o meno». Mentre il ridente borgo bresciano di Carpenedolo, 13 mila anime, giunta di destra e sindaco “da remoto” Stefano Tramonti (perché vive stabilmente a Dubai e da lì assegna appalti), ha ricevuto 670 mila euro per le scuole e si appresta alle elezioni di giugno. Simone Negri, capogruppo Pd nella commissione Territorio, racconta del malcontento generale di «moltissimi Comuni a cui non sono arrivati i fondi solo perché i sindaci sono stati più tempestivi della Regione. Infatti hanno presentato una richiesta di aiuto prima che l’assessore La Russa, due settimane dopo, con un provvedimento che pare un ossimoro, indicasse la procedura della somma urgenza». Oltre ai circa tre milioni spesi per la somma urgenza, sono rimasti in cassa 2,6 milioni, a cui si aggiungono 9 milioni stanziati dal governo. Ma come insegna l’Emilia-Romagna, per spendere i soldi provenienti da Roma, serve un commissario e il Pirellone non ha alcuna intenzione di aprire i propri cassetti a estranei. Già la presenza alla Sanità di Guido Bertolaso, formalmente in quota Lega, ma mina impazzita nello scacchiere politico degli equilibri di giunta, sta creando abbastanza guai al governatore leghista Attilio Fontana. Per averlo, Fontana si è giocato due poltrone delle sue: un’implicita ascesa di Fratelli d’Italia che a Milano e in Lombardia sono sinonimo di famiglia La Russa, la quale da un pezzo è in campagna elettorale per le elezioni europee. Su tutti, Ignazio vuole candidare Mario Mantovani, definendolo «uomo onesto, che non si è mai arreso». Mantovani, a 73 anni, è in cerca di riscatto: nel 2015, quando era vicepresidente del Pirellone, viene arrestato per abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione. Nel ’17 l’accusa di abuso d’ufficio va in prescrizione e nel ’22 la Procura non presenta ricorso in Cassazione, contro la sentenza della Corte d’Appello, che ribalta la condanna in primo grado a 5 anni e sei mesi per corruzione e concussione. Insomma, Mantovani ne esce limpido e ora sale sul carro di FdI per Bruxelles.

 

Franco Lucente

 

Il potere politico
Le recenti nomine nella sanità lombarda la dicono lunga sull’espansione di FdI: ad esempio, una poltrona va al neonatologo Fabio Mosca, amico di famiglia dei La Russa. Ignazio, oltre al fratello Romano, ha schierato in Regione gli uomini e le donne a lui più vicini. Alla Cultura la fedelissima Francesca Caruso, già avvocata del potente studio legale fondato da Antonino La Russa, padre di Ignazio. A Romano è sfuggita per un pelo la vicepresidenza: Fontana non se l’è sentita di affidargli un ruolo così delicato all’indomani del video in cui fa il saluto romano al funerale del militante di estrema destra Alberto Stabilini. Romano dice che si trattava di «un saluto militare», per «il cognato e amico di sempre». Lui e Stabilini erano stati arrestati insieme all’indomani degli scontri del 12 aprile del 1973, quando l’Msi organizzò a Milano un corteo non autorizzato culminato con il lancio di bombe a mano che uccisero l’agente Antonio Marino. A fornire le bombe era stato Nico Azzi, tra i capi del neofascismo milanese, scomparso nel 2007: al cui funerale, celebrato nella basilica di Sant’Ambrogio fra croci celtiche e, di nuovo, saluti romani, c’era Ignazio.

 

Dicevamo, a Romano, che chiede al fratello  consiglio su ogni questione, va l’assessorato alla Protezione civile, mentre la vicepresidenza spetta a Marco Alparone, ex Forza Italia, oggi FdI, a cui va anche l’importante assessorato al Bilancio. Una poltrona di peso è per il delfino politico di Ignazio, Franco Lucente: partito da Azione Giovani e arrivato alla guida dei Trasporti. Ha dapprima traballato – soprattutto per la pessima gestione delle tratte ferroviarie di Bergamo e Cremona, che per una decina di chilometri di raddoppio, e per la prima volta nella storia del servizio ferroviario locale, resteranno chiuse tre anni, facendo infuriare studenti, pendolari e l’industria logistica – ma adesso ha sfoderato il bazooka, bocciando il servizio di Trenord, «inaffidabile e foriero di troppi ritardi». L’obiettivo di Lucente è fare man bassa di poltrone nella roccaforte leghista Ferrovie Nord Milano. A breve ci saranno le nomine e l’amministratore delegato, Marco Piuri, potrebbe lasciare il posto a Fulvio Caradonna. Era nel Fronte della Gioventù ed è divenuto famoso perché, da assessore all’Urbanistica di Como, aveva realizzato un muro sul lungolago più invidiato al mondo: 19,7 milioni per costruire l’ecomostro, altri 20 per abbatterlo. Ecco chi guiderà le ferrovie più sovraccariche d’Italia. Si vocifera anche un’altra new entry vicina ai La Russa: Beniamino Lo Presti. È attuale presidente della Milano Serravalle, che gestisce le tangenziali. Di velocità se ne intende: nel video, da lui stesso pubblicato, sfreccia a 150 chilometri all’ora in una strada dove il limite è 90. Nonostante le polemiche, Beniamino è rimasto saldamente al suo posto, forte di un patto del mattone con La Russa.

 

Laura De Cicco e Ignazio La Russa

 

Chi trova un mattone, trova un tesoro
La passione dei La Russa per l’immobiliare parte da lontano, da quando in città non si capiva se a dettare legge fosse l’avvocato Antonino La Russa o l’immobiliarista Salvatore Ligresti. Comunque, il pallino per il mattone è rimasto. Ad esempio, quest’estate la moglie di Ignazio, Laura De Cicco, assieme a Dimitri Kunz, compagno della ministra Daniela Santanchè, ha acquistato e rivenduto in meno di un’ora una villa all’imprenditore Antonio Rapisarda, portando a casa una plusvalenza da un milione. Un affarone all’attenzione della Guardia di finanza. Storicamente i La Russa hanno uno sguardo acuto sulle case popolari, su cui vigilano attraverso Lo Presti, già presidente del collegio sindacale di Aler Milano e liquidatore a tempo indeterminato della Asset srl, una partecipata di Aler, creata nel 2008 per sviluppare progetti edilizi (acquistando immobili da Ligresti ed Enasarco) e che invece ha bruciato un sacco di quattrini. È l’ex governatore Roberto Maroni a sciogliere Asset. Però Lo Presti non resta a piedi: per lui è subito pronta una poltrona alle case popolari di Varese. Aler è anche il luogo in cui professionalmente è cresciuto il parlamentare Marco Osnato, marito di Mariachiara La Russa, figlia di Romano. Nella primavera del ’22 la sezione centrale d’appello della Corte dei Conti ha imposto a Domenico Ippolito (direttore generale di Aler) e a Osnato (ex direttore gestionale Aler) di risarcire 101 mila euro per danno erariale.

 

Marco Osnato

 

Osnato era stato socio in quattro società dell’ex responsabile acquisti di Fiera Milano, Massimo Hallecker, finito nei guai per gli appalti truccati in fiera. A suggerirgli quegli investimenti era stato Silvestro Riceputi, anche lui coinvolto nell’inchiesta e referente di FdI a Cologno Monzese, cintura nord di Milano, ovvero il territorio presidiato da FdI. 

 

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