L'inchiesta

Dall'Arabia Saudita all'Azerbaigian, l'Italia vende sempre più armi ai regimi del mondo

di Carlo Tecce   29 marzo 2024

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Con i venti di guerra, il volume delle esportazioni degli armamenti prodotti nel nostro Paese continua a crescere. Tra i clienti più preziosi Riad, Baku e anche Algeria e Ungheria

Questa è la terza e ultima puntata in versione estesa dell'inchiesta sul mercato della armi in Italia, pubblicata la scorsa settimana nel numero in edicola. Il servizio esclusivo de L’Espresso si basa su documenti riservati e fonti istituzionali. 

 

La compravendita di materiale di armamento in Italia, lo scorso anno, ha generato affari per 7,562 miliardi di euro, incede con passo fermo, regolare, di un +25 per cento. Le esportazioni autorizzate hanno registrato 6,311 miliardi di euro (+19 per cento). Le importazioni non conteggiano le operazioni italiane in Europa, in gran parte provengono dagli Stati Uniti, ma sono comunque in rapida crescita: 1,250 miliardi di euro, il 618 per cento (non è un refuso) in più rispetto a tre anni fa.

 

Amici del gas. La diversificazione energetica di Roma per sottrarsi al cappio russo, che i governi di centrodestra e centrosinistra hanno stretto in vent’anni, mostra i primi successi. In cambio del metano, come più volte segnalato da L’Espresso, l’Italia offre armi con una certa disinvoltura. Così l’inquieta Algeria, che ha una solida cooperazione militare con Mosca, ha ricevuto materiale bellico tricolore per 22,5 milioni di euro. Il triennio precedente non arrivava a 4 milioni. Verso l’Azerbaigian del presidente Ilham Aliyev, che a febbraio ha celebrato il quinto mandato consecutivo senza avversari, e siamo al settimo per la famiglia considerando i due del padre, l’Italia ha impacchettato armi per 157 milioni di euro. Proprio lo scorso autunno, con la resa degli armeni e decine di migliaia di profughi, l’esercito azero ha conquistato il territorio conteso del Nagorno Karabakh e smantellato la repubblica dell’Artsakh. La legge ancora in vigore, si perdoni la pedanteria, impedisce di armare Paesi in guerra. Allora l’esecutivo italiano in che modo ha rilasciato i nullaosta per il regime azero? «C’è stata una riflessione sulla natura della commessa: non erano mezzi da combattimento di terra e di aria, ma dei sottomarini», risponde una fonte del governo. Tra un po' saranno recapitati a Baku i velivoli da trasporto tattico C27J Spartan. Ci vuole pazienza.

 

Il principe e Viktor. Riad ha umiliato Roma nella corsa per l’Esposizione universale, però l’ha rinfrancata con una raffica di ordini di materiale bellico. Ormai le restrizioni sono svanite. Grazie Meloni. L’Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman può sognare sfogliando i cataloghi di bombe Rwm. Peraltro le consegne sono già riprese. Nei 363 milioni di euro sbloccati nel 2023 ci sarà molto altro e molto di più. Il presidente ungherese Viktor Orbán, l’europeo più scettico con le strategie di Kiev, ha una ragione in più per affiancare Meloni nella competizione elettorale europea e avrebbe una ragione in meno per accanirsi contro l'attivista Ilaria Salis detenuta a Budapest. Il governo rinfrescherà con armi made in Italy l’esercito magiaro. Per la prima volta, l’Ungheria è fra i principali clienti di Roma con 154 milioni. Al momento Leonardo ha una voce esile negli elenchi. Il contratto grosso è con la filiale sarda di Rwm. La capogruppo Rheinmetall ha inaugurato in Ungheria un gigantesco stabilimento per i suoi carri corazzati.

 

L’assioma è banale quanto fatale: in tempo di guerra è facile far girare le armi. La riforma della legge 185 del 1990, studiata da Palazzo Chigi e già approvata al Senato, serve proprio a far girare più armi. A snellire i processi, come si spiega in politichese. Snellire: meno trasparenza, meno controlli. Viene azzerata l’Unità per le autorizzazioni (Uama) presso il ministero degli Esteri. Viene accentrato il comando alla presidenza del Consiglio. La politica delle armi è un’arma da politica estera. La politica delle armi trionfa. L’ultimo spenga la miccia.

 

Ps. L'inchiesta de L'Espresso ha ispirato una interrogazione dei Cinque Stelle a Guido Crosetto, il ministro della Difesa. Crosetto ha confermato in aula la vendita al governo di Kiev di armi provenienti da aziende italiane per 417 milioni di euro, e ha aggiunto: «La fornitura di armi a Kiev, che sta esercitando il diritto all’autodifesa, non è vietata dalla legge 185». I Cinque Stelle e alcuni giuristi hanno contestato l'interpretazione di Crosetto (che, va detto, ha precisato che le procedure di vendita sono in capo al ministero degli Esteri e non al ministero della Difesa). Però se il diritto all'autodifesa di Kiev è superiore ai limiti della legge 185, che vieta il transito di materiale bellico verso paesi in guerra, per quale motivo le Camere sono chiamate a prorogare il decreto legge Draghi che, in deroga proprio alla legge 185, permette la cessione all'Ucraina di armi provenienti dal ministero della Difesa? Si tratta dello stesso provvedimento che ha apposto il segreto di Stato alla lista di queste armi inviate a Kiev attraverso otto distinti decreti ministeriali. Il governo Meloni, come già avvenuto altrove in Europa, già domani potrebbe rimuovere il segreto di Stato e far conoscere ai cittadini cosa e quanto è stato impegnato. Non per negare la legittima autodifesa di Kiev, ma per capire se è davvero giustificata la corsa al riarmo delle Forze Armate italiane. 

 

(3. fine)

 

Leggi la prima parte: Il grande affare della armi italiane vendute all'Ucraina: 417 milioni di euro nel 2023
Leggi la seconda parte: «Le consegne di armi italiane a Israele non si sono fermate»: il documento ufficiale smentisce il governo