Il pistolero di Capodanno. Le braccia tese. Chi inneggia a Mussolini e chi a Hitler. Chi ferma i treni. E poi condannati, indagati, pasticcioni. Questa è la classe dirigente che circonda la premier. Che finge che non siano un problema

Non fosse stato per il pistolero di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo, Rosazza non sarebbe mai entrato nel Guinness dei primati. Trovatelo, se siete capaci, un altro posto così. Un posto dove la notte di Capodanno entra alla proloco del Comune un deputato con in tasca una calibro 22 che ferisce il genero di un agente della scorta di un sottosegretario fratello della sindaca. Tutti dello stesso partito. E senza che si sappia, prima di una settimana dal fattaccio, chi ha premuto il grilletto.

 

Rosazza è un paese di un pugno di anime in provincia di Biella. Prende il nome dal senatore mazziniano e massone Federico Rosazza, suo feudatario ottocentesco. Ma se oggi decidessero di dargli un altro nome non potrebbe che essere Delmastro. I padroni di Rosazza, adesso, sono loro.

 

Emanuele Pozzolo

 

Il 3 ottobre 2021 Francesca Delmastro Delle Vedove è riconfermata sindaca con il 100 per cento. Vanno alle urne in 57 e su 56 schede c’è la croce col suo nome. Una è bianca. L’avversario Mirko Marangon rimane a secco. Non prende, evidentemente, neppure il suo voto.

 

La sindaca di Rosazza è una Sorella d’Italia e fa l’avvocato. Separazioni, incidenti stradali, successioni, un po’ di tutto. Segue la medesima strada di papà Sandro, avvocato e parlamentare di Alleanza nazionale per dieci anni, dal 1996 al 2006. Anche il fratello di Francesca è figlio d’arte, avvocato e politico. Fratello d’Italia. Andrea Delmastro Delle Vedove è così legato alla sorella da mettersi in affari con lei. Il 19 gennaio 2023 va dal notaio assieme a Francesca, e con un’avvocata di Biella, Erica Vasta, costituisce una società di assistenza legale. Denominazione: «Delmastro-Vasta srl società fra avvocati». Andrea Delmastro ha il 33 per cento, sua sorella sindaca di Rosazza il 17 per cento e l’avvocata Vasta l’altra metà del capitale.

 

Andrea Delmastro Delle Vedove

 

Le società fra professionisti sono ormai un classico. Tanti avvocati le fanno, sono uno strumento comodo e semplificano la vita. Qui c’è però un dettaglio non insignificante. E cioè che il 19 gennaio 2023 Andrea Delmastro è un deputato della Repubblica con un incarico di governo. Sottosegretario alla Giustizia, per giunta. Con tanto di scorta, che la notte della bravata di Pozzolo è alla proloco di Rosazza con lui e la sorella socia. Intendiamoci: nessuna legge vieta a un politico avvocato di costituire una srl nel proprio campo d’azione istituzionale, anche se (e mentre) è al governo. Ma che sia il massimo dell’estetica, proprio no. Eppure nessuno storce il naso.

 

Il fatto è che Andrea Delmastro è molto più potente di quanto dica il suo incarico. Al ministero ha il compito di marcare stretto il ministro Carlo Nordio, che avrà pure messo lì la premier Giorgia Meloni, ma con il partito non c’entra un fico secco. Sta nell’associazione Luca Coscioni, quella del suicidio assistito che fa drizzare i capelli in testa a tutto il centrodestra, e ha tifato pure per Marco Pannella. Meglio tenergli le briglie corte, e chi meglio dell’avvocato Andrea Delmastro?

 

Nel cerchio magico di Giorgia è fra quelli più vicini al centro di gravità. Le rispettive date di nascita distano 85 giorni. A 15 anni militano nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione dei balilla missini senza più i calzoni corti. E dopo la svolta di Fiuggi scalano Azione Giovani. Finché il 28 marzo 2004, nel palazzetto dello sport di Viterbo, arriva il momento della verità. La partita, che con la presidenza dei giovani di Alleanza nazionale vale una investitura per il futuro, oppone due tesi: «Figli d’Italia» di Giorgia Meloni, a «Una scelta d’amore» di Carlo Fidanza da San Benedetto del Tronto, classe 1976. Vince Giorgia Meloni. E vince anche perché ha il sostegno di Delmastro, che nell’organizzazione giovanile (si fa per dire, visto che i vertici hanno già passato i 27 anni) di An non è uno qualsiasi. Fidanza si deve rassegnare al ruolo di vice. Ma non porta rancore.

 

Carlo Fidanza

 

Fidanza gravita ormai in Lombardia, consigliere comunale a Milano. Nel 2016 però eccolo comparire a Rosazza, il feudo di Francesca Delmastro. Pure lui. Per cinque anni fa il consigliere comunale. La ragione per cui Fidanza da Milano si ritrovi a Rosazza è indecifrabile. La mozione degli affetti, o chissà che altro. Di sicuro, al suo coetaneo Delmastro (sono nati a un mese di distanza nell’autunno 1976) è molto legato anche per via della vecchia militanza comune.

 

Il suo bacino di pesca resta però Milano. Lì è stato eletto al Parlamento europeo, dove in un baleno diventa capo delegazione di Fratelli d’Italia. Nonché membro dell’ufficio di presidenza del gruppo dei conservatori e riformisti europei. È il partito europeo casa comune delle formazioni euroscettiche e sovraniste. Presidente: Giorgia Meloni.

 

Ed è lì, a Milano, che finisce nella trappola di Fanpage. Nel settembre del 2021, con un bravo cronista che si spaccia da manager di una grossa società disposta a contribuire alla campagna elettorale di Fratelli d’Italia per il Comune, il giornale online napoletano porta a casa un video sensazionale. Parlando con lui Fidanza fa balenare l’ipotesi di aiutini al partito, in nero. E salta fuori un sodalizio di ferro fra il capo della delegazione di FdI a Strasburgo e un certo Roberto Jonghi Lavarini, condannato a due anni per apologia di fascismo. Nickname: «Barone nero». Ignaro del fatto che c’è una telecamera nascosta a riprenderlo, il «Barone nero» dice che lui, cioè Fidanza, «è il nostro riferimento in Fratelli d’Italia». Dove «nostro» sarebbe di un non meglio precisato giro di inquietanti personaggi che vanno da amici del Kgb fino agli ammiratori di Adolf Hitler. Il tutto condito da un tripudio di saluti romani, appellativi camerateschi e allusioni alla birreria di Monaco da cui parte la criminale avventura nazista.

 

Fidanza si autosospende dalla carica di capo delegazione mentre partono le inchieste. Che presto finiscono in una bolla di sapone. Non ci sono prove. Solo chiacchiere. Nel frattempo capita un altro guaio. Ma stavolta, stando sempre ai magistrati, non sono chiacchiere. Nel giugno 2021 un consigliere comunale di Brescia eletto con Fratelli d’Italia si dimette. Al suo posto va Giangiacomo Calovini, il primo dei non eletti. Fa l’assistente parlamentare del senatore Giampietro Maffoni, entrato al senato nel 2018 dopo essere stato trombato alle elezioni due volte consecutive, grazie al forfait della sciatrice Lara Magoni che al seggio di Palazzo Madama preferisce l’incarico di assessore al Turismo in Lombardia.

 

A dispetto della funzione apparentemente modesta (li chiamano «portaborse») Calovini è uno che pesa nel partito perché è della cordata di Fidanza. Però è perseguitato dalla sfortuna. Alle Politiche del 2018, come Maffoni, anche lui viene trombato. Poi trombato pure alle regionali della Lombardia. E infine trombato alle comunali di Brescia. Bisogna rimediare alla sfiga. In che modo? Il consigliere che ha vinto le elezioni lascia il posto in Comune a Calovini. E in compenso Fidanza assume nel proprio staff il figlio (diciassettenne) del dimissionario: contratto part-time da 795 euro lordi, specifica il Corriere della Calabria.

 

La faccenda finisce in Procura, con Fidanza che rigetta tutte le accuse. Ma per evitare scocciature peggiori, lo scorso giugno sia lui sia l’onorevole Calovini patteggiano una condanna a un anno e quattro mesi. Confermata dal Tribunale di Milano il 27 ottobre 2023. Perché alla fine Calovini, dopo tutte quelle trombature, ce l’ha fatta a entrare alla Camera: candidato da indagato. E pazienza per la successiva condanna penale patteggiata. Cosa volete che sia? Forse Augusta Montaruli non è nella stessa situazione e continua a stare al suo posto alla Camera? E Fidanza, chi lo smuove dall’Europarlamento?

 

L’avvocato sottosegretario alla Giustizia Delmastro, invece, è ancora sotto processo. Rinviato a giudizio con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio per aver passato delle carte a un suo collega di partito che ha usato quelle informazioni per attaccare politicamente il Pd sulla vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito al 41 bis. Il pubblico ministero chiede l’archiviazione ma il gup è contrario, causando lo «stupore» di Giorgia Meloni.

 

Giovanni Donzelli

 

Nome del collega: Giovanni Donzelli da Firenze, classe 1975, deputato e coordinatore di FdI, titolo di studio maturità scientifica per via di una giovinezza tutta dedicata alla politica. Proprio come Giorgia Meloni (1977), terzo premier dell’Italia unita senza laurea, dopo Benito Mussolini e Massimo D’Alema. Donzelli è un altro ex balilla del Movimento Sociale della leva di Giorgia Meloni e di sua sorella Arianna (1975). Ariete della destra sui social e nei talk show, non prova imbarazzo a difendere il generale Roberto Vannacci, autore del libro “Il mondo al contrario” dai contenuti apertamente omofobi e razzisti. Proclamando tuttavia: «Non abbiamo nulla a che fare con il fascismo».

 

Donzelli è un esponente di spicco di quella generazione alla soglia dei cinquanta che ha preso in mano le redini del più grande partito italiano chiudendo definitivamente l’era delle suggestioni moderate ed europeiste di Gianfranco Fini(1952) per riabilitare con «orgoglio» le radici profonde. Così profonde che «non gelano mai», per dirla con una frase dello scrittore J. R. R. Tolkien stampata su un manifesto di Forza Nuova e sulle magliette prodotte dalla società incaricata da Fratelli d’Italia di vendere i propri gadget. Si chiama Italica solution e fa capo a Martin Avaro, ex dirigente, guarda un po’, di Forza Nuova.

 

Dei 24 membri dell’esecutivo del partito, ben 19 provengono dal Fronte della Gioventù. E otto di loro, i più influenti se si eccettua il presidente del Senato Ignazio La Russa, classe 1947, che custodisce orgogliosamente cimeli del fascismo e sostiene che «nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo», sono tutti nati dopo il 1970. Ovvero, durante i cosiddetti anni di piombo. Ci sono Giorgia Meloni, Diego Petrucci, Andrea Delmastro, Giovanni Donzelli, Mauro Rotelli e il tesoriere Roberto Carlo Mele. Ma anche il sottosegretario alla Presidenza Giovanbattista Fazzolari, la persona più potente a Palazzo Chigi dopo la premier, e Francesco Lollobrigida: ministro della Sovranità alimentare e compagno di Arianna Meloni. Che si è detta pubblicamente «fiera» del gesto del cognato della premier, capace di far fermare a Ciampino un Frecciarossa diretto a Napoli perché in ritardo a un impegno istituzionale.

 

Il presidente del Senato Ignazio La Russa.

 

Quasi metà dei membri dell’esecutivo FdI occupa una poltrona del governo: la presidente del Consiglio, quattro ministri, un viceministro e cinque sottosegretari, due dei quali alla presidenza. Nemmeno fossimo al tempo della “Balena bianca”. Hanno responsabilità istituzionali enormi ma non sempre sembrano rendersene conto. I pasticci, tipo il caso Delmastro-Donzelli, sono all’ordine del giorno.

 

Ma poi bastassero quelli: è una generazione che non s’imbarazza ad accogliere nel partito e candidare al Parlamento personaggi come Pozzolo, 38 anni da Vercelli, stesso bacino elettorale e politico dei Delmastro, da papà Sandro ai figli Andrea e Francesca. Così lo ricorda Fini in una intervista al Foglio: «Quando ero presidente di An lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare». Un «violento estremista verbale» no vax che non esita a definire Benito Mussolini «uno dei migliori statisti che abbia avuto l’Europa» aggiungendo, come ha documentato Dagospia, di non offendersi sentendosi definire «intollerante, reazionario e fascista». E gira con la pistola «per difesa personale». Nonostante tutto questo viene invitato da Andrea Delmastro, uno dei dirigenti più importanti del partito cui la premier affida un ruolo cruciale nel suo governo, al veglione di Capodanno nella proloco di Rosazza del quale sua sorella è sindaca. Dove gli parte un colpo dal revolver in mezzo ai bambini. Se questi sono gli amici…

 

Fini dice che i soggetti così, fra i 181 parlamentari di Fratelli d’Italia, «saranno cinque o sei». Ma se pure fosse, basta e avanza. Anche perché a quanto pare le contromisure scattano con estrema difficoltà. Un episodio? A inizio 2023 la premier manda alla presidenza di 3-i, società candidata a gestire tutta l’informatica pubblica, un certo Claudio Anastasio. La nomina spetta per legge al presidente del Consiglio, e questo signore, un protetto di Rachele Mussolini, nipote di Benito ed esponente di Fratelli d’Italia, è stato gestore del sito nostalgico Mussolini.net. Potrebbe evitare di farlo ricordare. Invece nel discorso d’insediamento ripete per filo e per segno le parole pronunciate nel 1924 dal duce alla Camera per rivendicare politicamente l’assassinio di Giacomo Matteotti. E ovviamente salta.

 

Ci vuole tanto a capire che in quel partito c’è un problema da risolvere e che, sebbene Giorgia Meloni continui a negarlo, riguarda proprio la sua classe dirigente?