Poltrone d’oro
Così i meloniani hanno messo le mani sull'Agenzia del Farmaco
Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato impera dentro al ministero. Farmacista e membro di spicco di FdI, è sua la mano dietro alla riforma dell’Aifa e alla nomina del nuovo presidente
Del governo di Giorgia Meloni una cosa non si può dire: che manchino le competenze. Un esempio? Per sovrintendere al servizio farmaceutico, 20 miliardi di euro di spesa pubblica l’anno, chi meglio di un farmacista? Il suo nome è Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute. Classe 1972, barese, ex missino, è un Fratello d’Italia della prima ora. La farmacia Gemmato è a Terlizzi. Marcello la divide con i fratelli maggiori Nicola e Maurizio Rocco. Il primo, detto Ninni, è stato in passato anche il sindaco, stesso partito, della cittadina di 26 mila abitanti a pochi chilometri da Bari. Mentre il nipote ventenne Alberto ha ricevuto or ora l’investitura di portavoce cittadino di Gioventù nazionale.
Responsabile Sanità del partito, durante l’emergenza Covid-19 Marcello Gemmato ha proposto di somministrare i vaccini nelle farmacie e di fare fronte alla carenza utilizzando lo Sputnik V russo. Distinguendosi anche per il suo scetticismo sul Green Pass e sull’obbligo di vaccinazione per i sanitari, in perfetta coerenza con i vertici del partito. Nel cerchio magico della premier non è uno degli ultimi: ha un posto fra i 24 dell’esecutivo di FdI e la sua autorità è indiscutibile. Ma non solo in Puglia, dov’è stato incaricato di commissariare il partito.
Per capire di chi si parla, il ruolo di Marcello Gemmato al ministero è la fotocopia di quello che ha un altro del cerchio magico meloniano, l’avvocato Andrea Delmastro Delle Vedove, al ministero della Giustizia di Carlo Nordio. Cioè marcare stretto il ministro. Che sia l’uomo forte si capisce dalle deleghe che Meloni gli ha affidato. Oltre alle «competenze in materia di servizio farmaceutico» e sulle professioni di odontoiatri e farmacisti (compresi quindi sé stesso e i suoi fratelli), rappresenta il ministero alle Camere e partecipa alle Conferenze unificate dove si prendono tutte le decisioni cruciali. Soprattutto «coadiuva il ministro nei rapporti con gli enti vigilati». Tipo l’Aifa, l’Agenzia italiana del Farmaco. Finita chiaramente sotto l’influenza del potente sottosegretario farmacista.
Alla fine di febbraio il presidente dell’Aifa, il virologo Giorgio Palù, se n’è andato improvvisamente in polemica con il ministro Orazio Schillaci, che l’aveva appena rinnovato a termine soltanto per un anno. E il suo posto, grazie al nuovo regolamento dell’Agenzia pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 15 gennaio, è stato temporaneamente affidato al componente del Consiglio di amministrazione dell’Aifa nominato dal ministro della Salute. Trattasi di Francesco Fera, classe 1978, barese come Gemmato e buon amico del sottosegretario. Per qualche mese, nel 2011, è stato fra i consulenti del ministero della Gioventù di Meloni nella fase finale dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Ancora prima, nel 2002, il giovane Fera era stato nominato nell’esecutivo barese di Alleanza nazionale, assieme al futuro sindaco di Terlizzi Nicola Gemmato.
Fera è un dirigente dell’Agenzia regionale pugliese per la Salute e arriva nel Cda dell’Aifa dopo la riforma diventata operativa nei mesi scorsi. Che ha rivoluzionato l’ente. La direzione generale è stata soppressa e il suo responsabile mandato a casa. Nicola Magrini, che appena nominato a gennaio 2020 ha dovuto affrontare con la pandemia la prova più difficile, considera le dimissioni di Palù «la conclusione spiacevole di un percorso di riforma andato male». Interpellato da “Quotidiano Sanità”, l’ex direttore dell’Aifa punta il dito su un passaggio della riforma: la soppressione delle due commissioni che gestivano il servizio farmaceutico pubblico. La prima era una commissione tecnico-scientifica con il compito di esaminare e indicare i farmaci rimborsabili. La seconda, la commissione Prezzi e Rimborsi, aveva invece il compito di negoziare con le case farmaceutiche il costo delle medicine a carico dello Stato. Le due commissioni, che erano coordinate dall’ex direttore generale, ora sono state fuse in una sola composta da dieci persone. «Sono in maggioranza funzionari e non esperti indipendenti di alta qualificazione in analisi critica e metodologia degli studi clinici. Inoltre è evidente come la nuova commissione non abbia tutte le competenze specialistiche per svolgere l’enorme mole di lavoro che l’attende», dice Magrini, prefigurando il rischio che, eliminato il filtro tecnico, la spesa farmaceutica possa decollare in modo incontrollato. Già ora, del resto, la tendenza non è proprio rassicurante. Nei primi otto mesi del 2023 la spesa farmaceutica ha sfiorato i 15 miliardi, superando di 2,1 miliardi il tetto previsto dal fondo sanitario nazionale.
Ma è il modo in cui l’operazione è stata condotta in porto che fa discutere. Magrini parla di un «colpo di mano». E per come sono andate le cose non sembra un’esagerazione. La fusione delle due commissioni è frutto di un emendamento approvato al Senato in commissione. Il bello è che il provvedimento emendato è un decreto legge riguardante il personale militare Nato, la sanità calabrese, le bande musicali della polizia e, dulcis in fundo, anche l’Aifa. E chi è l’autore dell’emendamento? Il senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Zullo da Bitritto, due passi da Bari: eletto quattro volte consigliere regionale della Puglia e capogruppo del partito, di professione medico, legato anch’egli a Gemmato, con cui presenta l’11 settembre 2022, in piena campagna elettorale, le proposte del partito di Meloni per la sanità nella Regione.
Il decreto viene presentato l’8 novembre 2022, a due settimane dall’insediamento del governo Meloni. Un mese dopo è già legge, prima ancora del decreto sui rave party. Mai riforma è stata più fulminea. E poi a tempo di record si fanno anche i decreti attuativi e subito partono le nomine. Palù viene affiancato da Fera e dal consigliere regionale della Lombardia, Emanuele Monti, leghista. La conferenza Stato-Regioni, che deve nominare gli altri due componenti del cda dell’Aifa, indica l’assessore alla Sanità della Liguria di Giovanni Toti, Angelo Gratarola, e il dirigente della Regione Puglia di Michele Emiliano, Vito Montanaro.
Poi è la volta della discussa commissione unica. Una marmellata apparentemente senza capo né coda. C’è una professoressa di Economia politica di Messina, già ricercatrice a Tor Vergata, l’Università della quale è stato rettore il ministro Schillaci, che della commissione dei farmaci sarà presidente: è nel consiglio direttivo dell’Associazione italiana economia sanitaria, ma insegna anche Economia dei sistemi turistici. C’è il sindacalista dei medici di famiglia. C’è un funzionario della Regione Lombardia del leghista Attilio Fontana. Ma c’è innanzitutto il giubilo dal presidente della Fofi, la Federazione degli ordini dei farmacisti, Andrea Mandelli, che sottolinea come quattro componenti su dieci siano «colleghi». Uno di questi, nominato dal ministero della Salute, è Vincenzo Danilo Lozupone. Farmacista anch’egli di Bari e amico di Gemmato. Che si risente a proposito delle chiacchiere che girano sull’amichettismo farmacistico: «Ma essere laureati in Farmacia non è un titolo? Dovremmo nominare un laureato in Agraria?».