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Daniela Santanchè: la ministra dei fallimenti. Storia di un'imprenditrice di profondo insuccesso

di Paolo Biondani, Fabio Pavesi e Gloria Riva   25 marzo 2024

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L'ultima è la chiusura delle indagini per truffa ai danni dello Stato, che se fosse confermata le imporrebbe le dimissioni. Ma la sua intera carriera è segnata da aziende che hanno prodotto solo perdite. Ma non importa: con il suo dicastero gestisce milioni pubblici

Imprenditrice sì, ma di profondo insuccesso. La ministra del Turismo, Daniela Santanché fa politica da più di vent’anni, è entrata e uscita da diversi partiti diventando un personaggio simbolo della destra, a ottobre 2022 è stata rieletta senatrice di Fratelli d’Italia e nominata ministra del governo in carica, però ama pensarsi e descriversi così: «Io sono un’imprenditrice». Donna d’affari prestata alla politica. Daniela Santanchè lo ripete come un mantra. Eppure, a guardare da vicino la sua storia economica, balza all’occhio una costante: imprenditrice sì, ma di grande insuccesso.

 

L'ultima certificazione del suo insuccesso imprenditoriale viene dalla Procura di Milano che venerdì, ha notificato l'avviso di conclusione dell'indagine sull'utilizzo della cassa integrazione Covid concessa a Visibilia, l'azienda della ministra. Chiamando in causa proprio Santanché, insieme al compagno Dimitri Kunz d'Asburgo e Paolo Giuseppe Concordia, responsabile delle tesoreria del gruppo Visibilia, per truffa ai danni dello Stato: la cifra esatta, oltre ai contributi covid, comprende anche più di 120mila euro di contributi previdenziali dovuti all'Inps e mai versati per i 13 dipendenti.

 

Quasi contemporaneamente, è giunta la notizia che la Guardia di Finanza di Milano sta indagando per riciclaggio sui flussi di denaro e la destinazione della plusvalenza di un milione ottenuta dalla compravendita della villa Alberoni in Versilia. Insomma, un'altra tegola per la ministra. La villa in questione è stata acquistata dal compagno di Santanché, Dimitri Kunz, e dalla moglie di Ignazio La Russa, Laura De Cicco, per 2,45 milioni di euro e rivenduta un'ora dopo per 3,45 milioni all'imprenditore Antonio Rapisarda. Ora la Gdf sta indagando per capire se parte della somma sia servita per coprire i debiti di Visibilia.
 

Un caso isolato? Non proprio. Tutte le società che ha gestito nell’ultimo decennio, dalla galassia Visibilia (editoria e pubblicità) a Bioera e Ki Group (prodotti biologici), sono in crisi profonda, travolte dalle perdite, con i debiti alle stelle e il capitale evaporato. La settimana scorsa il tribunale fallimentare di Milano ha preso atto del tracollo anche dell’ultima azienda, Umbria srl, che aveva un ruolo fondamentale per puntellare tutta la traballante architettura dei bilanci collegati. Non è un problema eccezionale o temporaneo: le prime verifiche giudiziarie portano a concludere che nessuna delle sue società ha mai realizzato utili. Almeno negli ultimi dieci anni l’imprenditrice Santanchè ha prodotto solo perdite. Che in alcuni casi sono state dichiarate, mentre in altri risultano coperte con attivi ipotetici, ora contestati dai magistrati, dai periti e dagli avvocati dei danneggiati.

 

 

A questa manager dei disastri aziendali, la politica ha portato in dote il ministero del Turismo, un settore strategico dell’economia italiana, che secondo l’Istat sviluppa un giro d’affari di oltre cento miliardi l’anno. Un incarico diventato doppiamente importante con l’attuale esecutivo, perché la ministra Santanchè ha convinto la premier Giorgia Meloni a raddoppiare il personale del suo dicastero: nell’agosto 2023 il governo ha infatti approvato una riforma che raddoppia il numero dei dipendenti e (soprattutto) dei dirigenti. Secondo l’analisi previsionale dei tecnici dell’Economia, il budget amministrato da Santanchè per la sola macchina ministeriale sale così a 397 milioni di euro, da sommare ai fondi speciali per lo sviluppo turistico e ai tre miliardi assegnati dal Pnrr. Il primo risultato visibile della sua gestione è un’indagine della Corte dei Conti sull’ormai leggendaria campagna pubblicitaria “Open to Meraviglia”, con la Venere di Botticelli trasformata in influencer, gli strafalcioni di traduzione e le spese divise in più fatture, secondo l’accusa, tenute sotto la soglia che avrebbe imposto una gara d’appalto.

 

I primi controlli esterni sulle sue imprese private sono iniziati con l’indagine per falso in bilancio aperta dalla Procura di Milano nel 2022, prima che lei diventasse ministra, su denuncia di un gruppo di piccoli azionisti di Visibilia Editore spa, la società quotata in Borsa, che raccoglieva soldi tra i risparmiatori. Quei nove soci avevano comprato circa il 6 per cento delle azioni e nel giugno 2022 hanno denunciato di aver perso quasi tutto l’investimento: «Il 99,9 per cento in cinque anni». Dopo le verifiche della Guardia di Finanza, i pubblici ministeri hanno convinto il tribunale civile a disporre prima un’ispezione e poi il commissariamento: a gestire la crisi ora è un amministratore giudiziario. Da quella società quotata, gli accertamenti si sono allargati a tutto l’intreccio di imprese collegate, con nomi simili e molti scambi interni. Ora la storia completa del gruppo Visibilia è ricostruita nelle perizie di due esperti commercialisti: Nicola Pecchiari, docente della Bocconi e consulente tecnico della Procura, e Daniela Ortelli, che ha firmato la relazione ispettiva per il tribunale civile.

 

L’impresa di Santanchè nasce come venditrice di spazi pubblicitari per Il Giornale della famiglia Berlusconi, a margine dell’attività politica. Da lì inizia l’avventura nell’editoria: nel 2013 compra da Mondadori la prima testata, Ville & Giardini, a cui si aggiungono Ciak, Pc Professionale e poi altre riviste come Novella 2000 e Visto. La Visibilia Editore sbarca in Borsa nel 2014 (tramite una “fusione inversa” con una società già quotata, Pms): entra nel listino dell’Aim, riservato alle piccole imprese, e iscrive un avviamento da 4,2 milioni come valore di bilancio delle sue testate. Ma la partenza è in salita: il primo esercizio si chiude con perdite per 2,6 milioni su un giro d’affari inferiore a 2. E non è una parentesi infelice: in tutta la sua storia, la società editoriale non ha mai generato un solo euro di utili. Nei bilanci, dal 2014 al 2021, si sommano le perdite, fino a 11 milioni, mentre il fatturato è fermo attorno a quota quattro.

 

Secondo le perizie di Pecchiari, la società avrebbe dovuto dichiarare lo stato di crisi già nel 2016, invece ha utilizzato una serie di magie contabili per restare in attività e raccogliere ancora soldi in Borsa e prestiti dalle banche. Il primo problema è il famoso avviamento da 4,2 milioni, che puntella i bilanci degli anni successivi. Viste le perdite, spiegano le perizie, si sarebbe dovuto svalutarlo per intero ancora nel 2016. Ciò avrebbe portato ad azzerare già allora il patrimonio netto. Invece l’avviamento, che vale da solo metà dell’attivo di bilancio, è stato svalutato in parte, per 2,7 milioni, e solo nel settembre 2021.

 

Un’altra posta contestata sono i crediti per le cosiddette imposte anticipate: in caso di perdite, la legge consente di ridurre (in gergo, compensare) le tasse sugli utili successivi; nell’attesa, si può iscriverle come crediti, ma solo se è assolutamente ragionevole aspettarsi profitti futuri. Essendo però «già manifesta dal 2016» una «irreversibile crisi reddituale», scrive il docente della Bocconi, la società avrebbe dovuto azzerare quei presunti crediti da 429 mila euro. Ma «posto che il patrimonio di Visibilia Editore era sceso a 293 mila», quella rettifica, unita alla svalutazione dell’avviamento, «avrebbero da sole provocato un deficit patrimoniale per poco meno di quattro milioni». Visibilia Editore, insomma, era moribonda già otto anni fa. Ma ha continuato a operare, finendo per azzerare il suo valore di Borsa e bruciare i soldi degli azionisti di minoranza, che ora si sentono ingannati dai «piani industriali», che ogni anno prospettavano futuri aumenti di ricavi e profitti, mentre la società produceva sempre e solo perdite.

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Questo modus operandi di aggiustare i conti per non far emergere lo stato di crisi, secondo gli esperti, viene replicato in tutta la catena di controllo del gruppo: da Visibilia Holding a Visibilia srl, da tempo in liquidazione, che nel 2019 conferisce le sue attività alla neocostituita Visibilia Concessionaria.

 

Anche Visibilia srl, in particolare, chiude i bilanci sempre in perdita, ma viene tenuta in vita con altre acrobazie contabili: note di credito ancora da ricevere e fatture non ancora emesse. Rettificando gli importi risultati «inesistenti» e «da azzerare», le perizie concludono che Visibilia srl in realtà aveva un patrimonio netto negativo per oltre 5 milioni già nel 2014. Anche in questo caso, invece di aprire la crisi, l’azienda resta attiva. E nel 2019 trasferisce le sue attività a Visibilia Concessionaria, appena creata. Con questo passaggio, la prima società registra una plusvalenza di 2,9 milioni e fa iscrivere un avviamento di pari importo alla seconda. Un giochino win-win, dove tutte e due ci guadagnano. Il consulente della Procura la descrive però come un’operazione paradossale, chiedendosi come sia possibile dichiarare una plusvalenza di 2,9 milioni, quando il patrimonio netto rettificato di Visibilia srl era ormai sceso, quell’anno, a meno 8,2 milioni.

 

Per evitare i rischi di una procedura fallimentare, la società Visibilia srl in liquidazione ha presentato un piano di ristrutturazione dei debiti, che va approvato e omologato dal tribunale. A garanzia dei creditori, Daniela Santanchè ha offerto una proprietà personale: la sua villa in centro a Milano, valutata 6 milioni di euro con atto di stima notarile. Ma la coperta resta troppo corta. Nella relazione ispettiva del 31 gennaio 2024, la commercialista Ortelli segnala ai giudici che «il vincolo di destinazione» dell’immobile vale solo a favore dei creditori di quella società, mentre per altre aziende del gruppo «piuttosto che costituire una garanzia, in realtà l’ha ridotta».

 

Visibilia Concessionaria è l’unica società del gruppo ancora operativa, ma anch’essa è in seria difficoltà finanziaria. Nonostante il bilancio 2022 non sia stato ancora depositato, secondo i dati delle perizie avrebbe chiuso in perdita per 3,6 milioni, con ricavi lordi per 4,2 e costi quasi doppi. Il patrimonio netto, grazie a una ricapitalizzazione, risulta di 1,1 milioni. Ma i dubbi sollevati sull’avviamento (e sui crediti verso Visibilia srl) porterebbero a correggere quel valore in negativo: meno 2,9 milioni. Se non arriverà denaro fresco, dunque, anche l’ultima fortezza societaria sembra destinata a cadere: solo con le banche ci sono debiti per 3,9 milioni e altri 1,1 con il fisco.

 

 

Proprio le casse dello Stato sono le più danneggiate dalle imprese della ministra, come fra l'altro indica la chiusura indagini della Procura avvenuta venerdì. Per il professor Pecchiari, questi sono i dati più allarmanti: «Particolarmente rilevante appare l’andamento temporale dei debiti tributari e previdenziali, che evidenza la sostanziale incapacità della società di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni». Le perizie dicono che alla fine del 2020 Visibilia Editore aveva un passivo con il fisco per oltre due milioni e con l’Inps per altri 797 mila euro. Stessa situazione per Visibilia Editrice srl, che nel 2022 risulta avere 1,6 milioni di debiti tributari e 683 mila previdenziali. In quello stesso anno, anche Visibilia Concessionaria è in rosso con l’erario per più di un milione. Un ulteriore carico fiscale da 1,2 milioni pesa su Visibilia srl in liquidazione, che però nell’agosto 2023 ha ottenuto il via libera alla rottamazione: potrà pagare in cinque anni, sempre che qualcuno ci metta i soldi.

 

Non sarà facile però ottenere altri prestiti dalle banche, in passato assai generose con la ministra, ma rimaste scottate. Ad esempio Banca Intesa, che era esposta per 4,5 milioni su Visibilia srl in liquidazione, ha ceduto il suo credito a Prelios, che sta provando a riscuoterlo, almeno in parte. Mentre la società quotata, ora in amministrazione giudiziaria, ha tuttora debiti per un milione con Bpm, Creval e Popolare di Sondrio: in origine erano 2,6 milioni, per i quali già nel 2016 erano state chieste dilazioni dei tempi di rimborso fino al 2026.

 

Daniela Santanchè è uscita dal gruppo Visibilia poco prima del tracollo, con grande tempismo. Fino al 2021 era registrata come azionista di controllo di tutte le società. Nell’arco del 2022, mentre emergeva la crisi, ha progressivamente diluito la sua quota, anche per effetto di un discusso prestito convertibile, concesso dal fondo arabo Negma in cambio di un ricco margine di guadagno, molto contestato dagli azionisti di minoranza. La senatrice è sparita dai radar il 17 ottobre del 2022, poco prima della nomina a ministra del Turismo, quando è scesa sotto il 5 per cento, per poi azzerare la propria quota. Sia le perizie che la relazione ispettiva concludono però che la società quotata aveva un patrimonio netto negativo già sotto la sua gestione, almeno dal 2021.

 

L’ultimo tentativo di salvataggio ha avuto un epilogo tragico. Nell’estate 2022 entra in scena un ricco imprenditore, Luca Ruffino, titolare della Sif, società quotata di amministrazioni condominiali, che inizia a comprare azioni in Borsa fino ad acquisire il controllo di Visibilia Editore. Ciononostante, continua a rastrellare quote come persona fisica, senza comunicarlo alla Consob. Ruffino si uccide con un colpo di pistola la sera del 5 agosto 2022. La Procura indaga sulle ragioni del suicidio, che al momento rimangono misteriose. Resta anche inspiegabile perché Ruffino abbia continuato a comprare personalmente azioni di Visibilia, che era già sotto il suo controllo tramite la Sif, fino a poche ore prima di morire. Gli eredi dell’imprenditore si sono poi rifiutati di rifinanziare Visibilia. Quindi la Sif ha comunicato di voler uscire dalla società, registrando gravi perdite.

 

Oltre all’editoria, Daniela Santanchè si è lanciata anche nel mercato dei prodotti biologici, assieme all’ex compagno Canio Mazzaro. Dal 2012, per dieci anni, è stata nel Consiglio d’amministrazione di Bioera, diventandone presidente fino all’inizio del 2022, quando ha lasciato la carica. Con Mazzaro, che è il dominus di questo gruppo, ha acquisito anche il controllo e la gestione di Ki Group, un altro gioiellino verde, con industrie e numerosi dipendenti soprattutto in Piemonte. Negli anni d’oro, le due società erano arrivate a produrre, come si legge nelle memorie difensive, oltre mille prodotti, soprattutto alimenti biologici e cosmetici naturali. Ma anche qui, sotto la gestione di Santanchè e Mazzaro, si replica il copione di Visibilia.

 

La Ki Group, anch’essa quotata in Borsa nel listino Aim, inizia a naufragare già a partire dal 2015, quando i ricavi cominciano pericolosamente a flettere da 56 milioni fino agli 11 registrati nel 2020. La società di revisione Rsm boccia il bilancio del 2021, che chiude con perdite dichiarate per 3,6 milioni, un patrimonio pressoché azzerato e molti debiti scaduti. Il titolo brucia il suo valore, prima di essere sospeso e poi escluso dalla Borsa.

 

Nel maggio 2023 una squadra di civilisti guidata dall’avvocato Salvatore Sanzo tenta un salvataggio in extremis, con una richiesta di «concordato semplificato». La società ammette di non riuscire più a saldare la massa dei debiti e, per evitare il crac, s’impegna a pagare totalmente i dipendenti, i professionisti esterni e gli altri creditori tutelati (da ipoteche e privilegi legali). E solo loro. Alle banche offre il 28 per cento dei finanziamenti già garantiti dallo Stato, agli altri creditori, in particolare ai fornitori, quote comprese tra un decimo e un quarto delle somme dovute. Per la società statale Invitalia, che «durante la pandemia ha concesso un prestito non garantito di 2,7 milioni» alla società di Santanchè e Mazzaro, «non è previsto alcun soddisfacimento». Zero. E chissà se la controllata pubblica Amco, che gestisce i crediti deteriorati, riuscirà a farsi restituire i cinque milioni del vecchio prestito concesso da Mps alla galassia Bioera, mai ripagato.

 

I pochi soldi disponibili per il concordato arrivano da una società collegata, anch’essa quotata: è Bioera spa, infatti, a offrire 1 milione e 562 mila euro, in 18 rate mensili, in cambio di tutti i marchi di Ki Group e della sua controllata Verde&Bio. Sempre Bioera s’impegna a trovare altre somme cancellando una sua ipoteca da 1,1 milioni, per poter vendere un immobile di Ki Group a Perugia. Ma il problema è che l’aspirante salvatrice è a sua volta in crisi. Il bilancio 2022 di Bioera è stato bocciato dalla Consob. L’autorità di controllo della Borsa ha contestato una fondamentale operazione di «de-consolidamento» decisa l’anno precedente: Bioera si era formalmente separata dalla società Umbria srl, che controllava proprio Ki Group. In realtà, secondo la Consob, Umbria è rimasta sotto il controllo effettivo di Bioera. Quella manovra aveva consentito a quest’ultima società di mettere a bilancio ricavi (presunti) per 18,7 milioni. In quel modo Bioera, che nei dieci anni precedenti aveva sempre chiuso in perdita, cumulando oltre 20 milioni di passivo, nel 2021 ha registrato per la prima volta un risultato positivo per 15,3 milioni.

 

L’impresa biologica presieduta dalla senatrice Santanchè, insomma, ha potuto dichiarare i primi profitti della sua decennale gestione solo grazie a un’operazione poi demolita dalla Consob, che riguardava la moribonda Ki Group. Quindi il tribunale fallimentare ha respinto il concordato. E nel gennaio scorso, su richiesta della Procura, ha emesso una sentenza di «liquidazione giudiziale» (il nuovo nome della dichiarazione di fallimento) di Ki Group. A quel punto, anche la controllante Ki Group Holding e la stessa Bioera spa si sono scoperte in crisi. E hanno chiesto al tribunale le «misure protettive», per difendersi dagli attacchi legali dei creditori.

 

La società operativa Ki Group sta ora contestando con un reclamo la sentenza del tribunale. Ma intanto è entrata in crisi anche Umbria srl. La Procura ha chiesto la liquidazione giudiziale anche di quest’ultima presunta salvatrice del gruppo, il tribunale fallimentare ha fissato l’udienza decisiva per la scorsa settimana, ma incredibilmente nessun avvocato si è presentato a difendere la società. Game over, il gioco è finito, almeno fino alla prossima casella del domino societario.

 

Tutte le notizie di questo articolo sono state anticipate già lunedì 18 marzo, con domande dettagliate, ai legali di Daniela Santanchè, ma la nostra email è rimasta senza risposta. Santanché, invece, ha ritenuto opportuno rilasciare una dichiarazione in seguito alla chiusura delle indagini preliminari per truffa ai danni dello Stato. La ministra, sostanzialmente, prende tempo, si definisce «sorpresa» e dice «di aver fiducia nella giustizia». Ora i suoi avvocati produrranno una memoria difensiva e confida che tutto si possa concludere con «l'archiviazione da parte del pm o con il giudizio del gup» che, nell'udienza preliminare, decide sulle ragioni dell'accusa e della difesa. Alle opposizioni che le chiedono di dimettersi, la ministra risponde: «Attendo le decisioni del giudice».