L'anticipazione
Il lato ufficiale del terrore nero: gli stragisti con la tessera dell'Msi
Neofascisti, servizi deviati, politici complici. L’inviato de L’Espresso racconta, in un libro, le verità innegabili (dimostrate nei processi) sull’eversione targata Ordine Nuovo. Da Piazza Fontana a Bologna fino alle bombe "fascio-mafiose"
Pubblichiamo un'anticipazione del nuovo libro "La ragazza di Gladio e altre storie nere. La trama nascosta di tutte le stragi” scritto da Paolo Biondani , giornalista de L'Espresso, per la collana Fuoriscena di Rcs Mediagroup: il testo che segue è tratto dal capitolo intitolato "La Fiamma che scotta".
Giancarlo Rognoni è in piedi, vicino alla finestra. Ha i capelli un po’ arruffati, la barba ruvida, nessun segno particolare se non uno sguardo duro, tagliente. Il suo avvocato lo ha convinto a dare la sua prima intervista nel giorno della vittoria: assoluzione in appello, l’unico con formula piena, nell’ultimo processo sulla strage di Piazza Fontana. «Ora finalmente può parlare».
Rognoni è diffidente, ma a poco a poco si scioglie. Racconta gli anni tremendi del terrorismo a Milano. La sua convivente ridotta in fin di vita da un agguato di estremisti di sinistra. L’attentato al treno di Nico Azzi, per cui continua a proclamarsi innocente, nonostante la condanna definitiva come organizzatore e la confessione dello stesso giovane neofascista. Ammette perfino la «soffiata» che gli permise di evitare l’arresto e scappare in Spagna, ma nega che sia arrivata dal Sid. «Ma quali appoggi dei servizi, ho passato il confine a nuoto, ho dovuto raggiungere dalla spiaggia una barca d’appoggio dei camerati, al largo»: lo dice simulando la nuotata ed è l’unica volta che ride.
Del carcere non parla. Non si lamenta. Dice solo: «Ho scontato tutta la pena: 15 anni di reclusione». Sembra un soldato che ha combattuto una guerra e ha perso. E lo conferma. Contesta solo un dato politico: «Continuate a scrivere che ero il capo di Ordine nuovo a Milano, ma non è vero: avevamo il nostro gruppo, stampavamo la nostra rivista, “La Fenice”, conoscevamo anche alcuni ordinovisti, certo, ma noi eravamo del Movimento sociale italiano. Io non sono mai uscito dall’Msi. Qualche parlamentare milanese che oggi finge di non conoscermi, allora era il mio tirapiedi. Giorgio Almirante aveva un’altra statura: non mi ha mai tolto la tessera del partito, neppure dopo la condanna per la bomba di Azzi».
Il camerata Massimo Abbatangelo non è solo. Il famoso «deputato con la nitroglicerina» non è l’unico esponente della destra ufficiale che viene sorpreso a maneggiare esplosivi, mentre è in carica, e non viene espulso neppure dopo la condanna. Abbatangelo, eletto a Napoli nel 1979 e rieletto nel 1983 con migliaia di voti, raccolti con l’aperto appoggio di formazioni neofasciste, era stato coinvolto già nelle prime indagini sull’attentato del 23 dicembre 1984 al treno Rapido 904 (sedici morti, 267 feriti). Assolto in appello dall’accusa di strage, è stato condannato in tutti i gradi di giudizio come fornitore dell’esplosivo, ceduto a un clan della camorra e poi usato dai boss di Cosa Nostra per quell’atto di «terrorismo mafioso». Ricandidato più volte nonostante i verdetti di colpevolezza, è rimasto parlamentare missino fino al 1994.
Carlo Cicuttini, l’organizzatore della strage di Peteano (31 maggio 1972, tre carabinieri uccisi da un’autobomba), era il segretario ufficiale dell’Msi nel suo Comune e noto attivista nella provincia di Gorizia. Segretario di sezione, come un graduato. Quando è scappato per non passare la vita in carcere per terrorismo, i camerati missini hanno raccolto soldi, sia a livello locale che nazionale, non solo per pagargli l’avvocato, ma anche per finanziare la sua latitanza all’estero.
Nando Ferrari, condannato per aver fabbricato la bomba che ha ucciso il suo omonimo Silvio nove giorni prima del massacro di Piazza della Loggia, era un dirigente bresciano del Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile missina. Ai funerali e negli scontri con la polizia c’erano le bandiere del partito con la fiamma tricolore, accanto ai simboli nazisti della disciolta organizzazione stragista Ordine nuovo.
Maurizio Tramonte, condannato come basista degli esecutori della strage di Brescia, è stato attivista del Movimento sociale italiano dagli anni Sessanta fino a tutto il 1972 e ha continuato a frequentare il gruppo missino di Padova anche dopo la strage di Brescia. Nell’ottobre 1973 è stato reclutato come informatore dei servizi segreti (Sid) da un maresciallo che lo pagava proprio per raccogliere notizie «dentro la sezione cittadina dell’Msi», di cui faceva ancora parte l’amico e camerata più fidato del terrorista nero Franco Freda: si tratta di Massimiliano Fachini, che a Padova era consigliere comunale, oltre che rappresentante del Fuan (l’organizzazione universitaria del partito) e della Cisnal (il sindacato di destra).
Carlo Maria Maggi, condannato come pianificatore e organizzatore della strage di Brescia, è stato attivista e tesserato dell’Msi già dagli anni Cinquanta. Fino al 1973 è stato uno dei dirigenti del partito a Venezia e il capo per tre regioni (Veneto, Trentino e Friuli) della corrente capeggiata da Pino Rauti. Nelle sentenze sulle stragi di Milano e di Brescia, si legge che Maggi aveva iniziato già nell’autunno 1969 ad arruolare e armare neofascisti giovanissimi, mandandoli a mettere bombe (almeno tre) a Mestre, Trieste e Gorizia. Quindi anche lui era un terrorista con la tessera. Tra tanti atti acquisiti nei processi, fanno impressione i carteggi amichevoli e gli incontri riservati con Almirante, il leader storico dell’Msi, ancora oggi un mito della destra italiana, per la candidatura di uno come Maggi alle elezioni nazionali del 1972, nella lista del partito con la fiamma.
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Parlamentari missini erano anche i tre politici che, secondo l’ultima sentenza sulla strage di Bologna, hanno procurato un alloggio e fatto avere il brevetto di pilota a un personaggio come Paolo Bellini, mentre era latitante con falso passaporto brasiliano. Grazie all’intercessione di quei deputati e senatori dell’Msi, Bellini è stato ammesso alla scuola di volo dell’aero club di Foligno e ha pure ottenuto la licenza di portavalori e il porto d’armi. Interrogati dopo il suo arresto, i tre parlamentari si sono rimpallati l’uno con l’altro la responsabilità di chi fosse stato il primo di loro a proporre di aiutare il finto brasiliano, giurando comunque che ignoravano di avere di fronte un neofascista italiano. Secondo i giudici, hanno mentito platealmente, per coprire non tanto lui, quanto i loro stessi rapporti con i servizi deviati di cui Bellini era una pedina. Nell’ultimo processo sulla strage di Bologna, Paolo Bellini è stato condannato in primo grado, ma si proclama innocente. Dopo ripetuti arresti ha invece confessato di aver commesso più di dieci omicidi, tra il 1975 e il 1999, prima come killer neofascista e poi come sicario della ’ndrangheta.
In generale, tutte le sentenze sulle stragi nere concordano nel descrivere Ordine nuovo come un’organizzazione apertamente neofascista, che a partire dal 1969 è passata al terrorismo in almeno tre regioni: da Venezia e Mestre a Padova, Treviso, Verona e Rovigo; da Udine a Trieste e Gorizia; da Milano a Brescia. Nel successivo quinquennio i gruppi ordinovisti di quelle città sono stati la fucina di decine di bombe. Le sentenze definitive fanno notare che Ordine nuovo non era un’organizzazione occulta: era una corrente dell’Msi. Le Brigate rosse, Prima linea e le altre bande criminali di terroristi di sinistra erano gruppi armati clandestini, che agivano segretamente, fuori e contro tutti i partiti rappresentati in Parlamento, a cominciare dal Pci di Berlinguer. Il terrorismo nero, invece, è nato dentro il partito ufficiale della destra italiana. I suoi leader migliori se ne sono resi conto, purtroppo, solo tra il 1973 e il 1974, dopo cinque anni di bombe sui treni e nelle piazze. E i loro eredi non ne parlano.