Le elezioni Europee saranno decisive per gli equilibri dentro le coalizioni. Il Pd stanzia 1,5 milioni di euro e prova un modello americano di micro-donazioni. I 5S sfruttano il 2x1000. Fdi ha tanti soldi, e spenderà 3 milioni. Forza Italia si regge sulll'aiuto della famiglia Berlusconi e di Letizia Moratti. Salvini si gioca tutto: ogni eletto dovrà versare 30.000 euro

Queste elezioni europee sanno di elezioni politiche. Il tema non è mica l’Unione europea, ci mancherebbe, non osiamo scherzarci su. E nemmeno la competizione fra le coalizioni di centrosinistra (quale?) e centrodestra. Il tema, anzi i temi sono endogeni: chi prevarrà fra il Pd di Elly Schlein e i Cinque Stelle di Giuseppe Conte; chi sarà il secondo azionista di governo fra la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Antonio Tajani più famiglia Berlusconi; in che direzione spira il consenso per Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Tutti presupposti che impongono una campagna elettorale in grande stile o comunque con grandi spese. Dopo un decennio di morigeratezza, è il dato nuovo, i partiti tornano a investire molti soldi per la propaganda. Anche quella classica, ormai vintage, dispiegata su piazze, manifesti, cartelloni. Ovviamente qui parliamo di decine di milioni di euro non di centinaia com’era abitudine, debiti mostruosi compresi, prima che il governo Letta abrogasse i rimborsi pubblici (2013). Il meccanismo delle donazioni attraverso il due per mille con la dichiarazione dei redditi, introdotto dal medesimo governo Letta, è sempre più diffuso e incisivo. Nel 2015 valeva 11,7 milioni di euro. Lo scorso anno ha superato i 24 milioni.

 

Le risorse per la politica sono in crescita. Con una precisazione: i partiti non possono e non vogliono supportare la campagna elettorale dei candidati europei, tranne in rari casi non offrono servizi o dislocano personale (che peraltro non esiste). Il candidato ideale è Letizia Moratti che, oltre a contribuire al partito nazionale, e di recente l’ha fatto pure il figlio Gabriele, può pagarsi l’intera campagna elettorale. Il limite di legge è 52 mila euro a candidato più 0,01 euro per gli abitanti residenti nella circoscrizione. Per esempio per la campagna nel Nord-Ovest con Forza Italia, l’ex sindaca e ministra potrebbe utilizzare altri 160 mila euro per un totale di 212 mila. Questo vuol dire che i segretari di partito dovrebbero vagliare i candidati secondo canoni politici e anche, forse soprattutto, finanziari. Per censo.

 

Fratelli d’Italia è il partito con più vantaggi: è giovane e di governo. In cassa c’erano 3 milioni di euro secondo l’ultimo bilancio. Più o meno la stessa cifra usata per le Politiche ’22 e stanziata per le Europee ’24. Non ci sono problemi di liquidità. Gli introiti aumentano perché aumenta il numero degli eletti. Il partito fondato da Meloni ha saputo sfruttare il due per mille e ogni anno migliora le adesioni: 3,1 milioni di euro nel ’22, 4,8 milioni nel ’23. La Lega di Salvini ha imboccato un percorso uguale, ma di senso opposto. La decrescita è infelice. Quanto inarrestabile.

 

La coppia di Leghe, la Salvini premier e il vecchio Carroccio, non arriva a 1,5 milioni con il due per mille. La dispendiosa propaganda del ’22, varata da Salvini per cercare un recupero su Meloni, è costata 5,5 milioni di euro e non ha esaurito i suoi effetti sui conti di Lega Salvini premier: lo scorso anno il disavanzo era di 4 milioni, quest’anno si balla sulla linea del pareggio dopo un massiccio taglio dei costi. Però Salvini non ha rinunciato a una possente campagna elettorale, è in gioco la sua carriera politica, e dunque la Lega ha chiesto un contributo straordinario agli eletti di 30 mila euro. Non è l’obolo da 3.000 euro mensili che i 95 parlamentari in carica destinano al partito, ma è una forma eccezionale che coinvolge anche i parlamentari europei uscenti e che potrebbe generare ricavi per circa 3,5 milioni di euro. In teoria. Perché la Lega non applica sanzioni ai parlamentari scarsamente generosi o diversamente salviniani. S’è detto che per Forza Italia il modello è Letizia Moratti. La candidata munifica. Autosufficiente. Non s’è detto che la famiglia Berlusconi, che ha in dote 90 milioni di euro di debito su 100 complessivi, verserà al partito 700/800 mila euro con bonifici individuali dei cinque figli di Silvio più il fratello Paolo e la capogruppo Fininvest. Anche la quasi moglie Marta Fascina, deputata, è chiamata a foraggiare il partito e un mese fa ha versato 40 mila euro (ricordiamo che il tetto fissato dalla legge è di 100 mila euro per i soggetti fisici e 200 mila per i soggetti giuridici). I parlamentari di Forza Italia lasciano una mancia al partito, 900 euro, e non sempre se ne ricordano. Per Forza Italia è il primo voto senza Berlusconi, la sopravvivenza non è più in discussione, ma il comando di Tajani lo è costantemente, perciò si riprende la propaganda sul serio. Tant’è che il partito ha prenotato schermi e spazi nelle stazioni per una comunicazione anni Novanta e ha fregato la concorrenza.

 

Il tesoriere dem Michele Fina si è ritrovato con due grosse questioni da fronteggiare: i debiti passati e i dipendenti. Le rate per la campagna referendaria di Matteo Renzi (otto anni fa!) terminano tra pochi mesi. I dipendenti rimasti sono 107 (di cui 75 a carico, 5 in distacco, 27 in aspettativa) e, dopo una lunga fase in cassa integrazione, sono con stipendi di solidarietà. Al Nazareno potrebbero assorbire presto a stipendio pieno 60 dei 75. Il bilancio dem è migliorato e la sua base è solida perché proviene dal due per mille (8,1 milioni). Per la campagna elettorale ci sono 1,5 milioni di euro a disposizione. È una previsione assai cauta. Sarà rivelatore un possibile esperimento con micro-donazioni all’americana, una raccolta fondi tramite l’indirizzario di posta elettronica del Pd che vanta più di 4 milioni di iscritti. I Cinque Stelle vanno alle urne con una struttura da partito. Conte potrà verificare l’efficacia dei responsabili locali e attingere dal serbatoio due per mille. Alle Politiche il comitato elettorale del Movimento aveva dichiarato 417 mila euro di entrate e 379 mila di uscite, numeri minuscoli, senz’altro un residuo del periodo francescano. Adesso ci sono 1,8 milioni di euro ottenuti col due per mille.

 

La tendenza per i partiti, senza particolari distinzioni, è spendere di più. S’è capito che per fare politica servono soldi. Altrimenti gli interessi non sono altri, ma di altri. Agli Stati generali del finanziamento alla politica italiana, un evento promosso da The Good Lobby e Transparency International, è stato presentato uno studio che fotografa perfettamente questa tendenza: «Nel 2022 il mondo della politica – i partiti e i soggetti terzi collegati – ha ricevuto un totale di 32,172 milioni di euro tramite il meccanismo delle donazioni private. Un incremento significativo – pari al 47,78% – rispetto al 2021, quando la somma totale era di 21,774 milioni di euro. Nel 2020 sono stati donati 23,404 milioni di euro, mentre nel 2019 il totale delle erogazioni ricevute era di 27,155 milioni di euro. Nel 2022 la tendenza al calo dei finanziamenti, registrata dal 2019 al 2021, si è invertita. Nel periodo di rilevamento dei dati, che va dal 2018 al 2022, i contributi ricevuti dai soggetti politici ammontano a circa 128,036 milioni».

 

Nei bilanci dei partiti si risente la mano statale col due per mille. I partiti vogliono che questa mano sia sempre più accudente. I cittadini se ne accorgono di rado e quindi non protestano. Non funzionano le donazioni dei privati, che siano di militanti o di aziende. Il cortocircuito democratico, invece, è causato dai candidati ricchi che poi diventato eletti ricchi. Come dimostra lo studio i partiti sono degli eletti o, meglio, dell’oligarchia che li seleziona: «Nel 2022 circa il 61,38% dei contributi ricevuti (19,747 milioni di euro) è rappresentato dalle rimesse dei politici eletti. La sostenibilità del sistema, come negli anni precedenti, continua a rimanere appesa alle entrate dei contributi dei parlamentari già eletti in Parlamento. Nel 2022 le donazioni fatte dalle persone fisiche (alcuni imprenditori) ammontavano a 7,13 milioni di euro (22,16%). Le società private hanno donato 4,613 milioni di euro (14,34 %)». Esaurita la stagione populista-pauperista e fallito il soccorso dei privati (timidi) e dei militanti (spariti), i partiti sono pronti a rincasare. La politica è pronta a saltare alla casella di partenza. Viva lo Stato.