Strasburgo
Il voto europeo sarà decisivo per il futuro. Ma l’avanzata delle destre potrebbe bloccare tutto
La legislatura che uscirà dalle urne indicherà le prossime mosse su ambiente, diritti e difesa. Una sfida che dovrebbe stare fuori da slogan e polemiche di giornata. Ma in cui sono in gioco due visioni opposte
È mentre 400 milioni di cittadini europei si avvicinano al voto per rinnovare l’Eurocamera che l’Europa sparisce. Persa tra l’ultima dichiarazione del generale Roberto Vannacci e dibattiti sugli pseudonimi comparsi nei manifesti elettorali dei candidati (da “Giorgia” a “Ultimo”). Dettagli marginali, polemiche del giorno di rilievo locale. Il sentimento dominante resta l’indifferenza. Verso l’Europa, che sarebbe il tema in oggetto e invece questa politica non sa far altro che tirare stracci al suo vicino di posto. Uno spettacolo mesto per una delle più importanti istituzioni dell’Unione europea che esercita il potere legislativo assieme al Consiglio dell’Unione europea. E che ha visto il proprio peso crescere notevolmente nel corso del tempo, diventando un attore di rilievo delle istituzioni. «Negli ultimi dieci anni l’Europarlamento ha conquistato una potere decisionale e di controllo», racconta Daniele Viotti, già europarlamentare del Partito democratico e ultimo italiano che può vantare un’esperienza come relatore generale del bilancio annuale dell’Unione europea nel 2019 in rappresentanza del Parlamento europeo. «Si dice spesso che l’Europa conta poco, può fare poco di concreto nella vita dei cittadini ma la pandemia ha segnato un giro di boa ribaltando questo luogo comune e portando il Pe al centro della vita dei cittadini europei. I trattati che fondano l’Unione europea sono trattati che hanno una certa elasticità e durante il periodo Covid lo abbiamo dimostrato creando una politica sanitaria e un indebitamento (con il Recovery Fund) comune. Dicevano che non si potevano fare politiche sanitarie: abbiamo ottenuto un piano vaccinale europeo».
L’Eurocamera grazie al suo ruolo di co-legislatore europeo in un momento doloroso e di piena crisi per il Continente ha abbandonato il ruolo di istituzione di secondo livello al massimo utile a partiti marginali di ottenere successi impensabili nelle arene nazionali. Il tempo in cui il Parlamento europeo veniva bollato come ospizio per politici nazionali consumati o, nella migliore delle ipotesi, palestra politica per politici in formazione è finito. Oggi il Parlamento di Strasburgo assume una centralità indubbia nella politica europea, sia come arena aggiuntiva a disposizione dei partiti per perseguire obiettivi nazionali, sia come vera e propria estensione sovranazionale dei processi politici in atto negli Stati membri. Esercita la funzione legislativa assieme al Consiglio dell’Ue, che riunisce i ministri degli Stati membri competenti in una serie di materie. Alcuni atti legislativi dell’Unione europea, come i regolamenti, sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Per altri, come le direttive, è necessario che ciascun Paese adotti una legge nazionale per adeguarsi.
A differenza dei Parlamenti nazionali, di norma il Parlamento europeo non ha potere di iniziativa legislativa, ossia non può proporre le leggi, compito che invece spetta alla Commissione europea. Nell’ambito del suo ruolo il Parlamento si limita quindi a discutere, modificare ed eventualmente approvare le proposte presentate dalla Commissione. Al Parlamento, così come al Consiglio dell’Ue e ad altre istituzioni comunitarie, spetta comunque un potere di pre-iniziativa legislativa: possono cioè chiedere alla Commissione europea di effettuare studi e presentare eventuali proposte legislative su loro richiesta. Così, dentro questo tempo post pandemico con due conflitti internazionali che ci si stringono addosso Viotti invita a «non sottovalutare l’impatto che una riconfigurazione delle maggioranze del Parlamento europeo avrebbe su dossier legislativi centrali: da quelli sullo stato di diritto in Polonia e Ungheria a quelli sulla transizione verde. Su tutto bisogna tenere gli occhi puntati sull’invasione in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese. L’Europa può incidere laddove abbia un Alto Rappresentante della Politica estera forte, legato a interessi economici che si intrecciano a quelli dell’Europa, basta pensare a quello che ha fatto l’Alta Rappresentante dell’Ue, Federica Mogherini nel 2018 quando siglò l’accordo con l’Iran per la non proliferazione del nucleare. L’Ue può intervenire attraverso iniziative di moral suasion o con i suoi “contributi”, intendo quello che si può dare ai Paesi terzi. Il problema, lo dirò molto chiaramente, è che abbiamo poche risorse e abbiamo una politica estera frammentata con 27 Paesi che difficilmente guardano verso la stessa direzione».
Conviene proprio in questo momento mettere a fuoco la realtà. «Stiamo vivendo degli shock a livello globale tanto quanto è stata la pandemia. Solo che non ci rendiamo conto che hanno una durata più lunga e non c’è un vaccino che risolva la situazione. Lo spettro di una guerra ibrida è tra questi». Servirebbe unità di visione e di azione dunque e saranno i risultati delle urne a concederla o negarla, disegnare l’agenda che verrà. Se la destra più conservatrice dovesse ottenere risultati vittoriosi alle elezioni di giugno, in ascesa nel pallottoliere dei sondaggi, l’aumento dei rispettivi seggi al Pe confermerebbe la tendenza elettorale verso destra e le sue politiche in atto in diversi Paesi dell'Ue. Il progetto di alleanza con i conservatori dell’Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, e la nascita di un fronte post elettorale centrodestra-destra andrà a sostituire nella prossima legislatura la maggioranza che ha governato a Strasburgo in questi cinque anni, ovvero il Ppe, i socialisti (S&d) e i liberali (Renew), con spesso il sostegno dei Verdi. Come annunciano molti analisti, potrebbe cambiare lo sguardo dell’Europa e il suo futuro in particolare sulle misure per il clima e l’ambiente, la protezione dei consumatori. «Sul fronte dei conflitti internazionali», è l’analisi di Viotti, «l’Europa può fare di più quello che pensa. Noi non abbiamo una politica di difesa comune però abbiamo armi e munizioni per un Paese terzo. Vuol dire che una politica di difesa la possiamo fare. Se compriamo un carrarmato dove mettiamo la bandiera dell’Ucraina lo si può fare anche con la bandiera dell’Europa».
Il freno al potere decisionale dell'Europa è puramente tecnico: guarda a una riforma dei Trattati fondativi dell’Unione e a una profonda revisione dei propri meccanismi di funzionamento. Un tema di prospettiva che coinvolge il futuro dell’Europa e ci dice qualcosa nel modo in cui le forze politiche entrano nel dibattito sull’Ue. Francia e Germania hanno già presentato una serie di idee e il Parlamento europeo ha fatto altrettanto chiedendo di ottenere il diritto di iniziativa legislativa, cioè di proporre nuove leggi, prerogativa che a oggi resta in capo alla Commissione europea. Una richiesta da tempo avanzata è che all’Ue siano assegnate maggiori competenze in materia di ambiente, salute, energia, affari esteri e difesa. Tutti, o quasi, sembrano consapevoli che un’Unione già troppo lenta e disunita con 27 Stati membri rischia la paralisi se dovesse arrivare a 32 dopo l’ingresso di Ucraina, Moldavia, Albania, Montenegro e Bosnia. Il Parlamento vorrebbe quindi un peso maggiore nell’adozione di atti legislativi su questi temi che per essere approvati dovranno ricevere il consenso sia del Parlamento europeo sia del Consiglio dell’Unione europea. Al momento, come è successo durante la pandemia, la maggior parte dei provvedimenti segue procedure legislative speciali, che prevedono un coinvolgimento minore da parte dei parlamentari europei. Ci sarebbe poi la questione dell’unanimità prevista da queste procedure: il Consiglio dell’Ue attribuisce a ciascuno dei 27 Stati membri il cosiddetto potere di veto. È proprio così che l’Ungheria ha ostacolato a lungo l’adozione di un pacchetto di aiuti per l’Ucraina del valore di 50 miliardi di euro. Il superamento dell’unanimità è un tema ricorrente nel dibattito sulla riforma dei trattati. Divide anche il nostro Paese e le coalizioni.
La segretaria del Pd, il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia) e la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi hanno detto che bisogna superare il meccanismo del diritto di veto, mentre la Lega è apertamente contraria. Allo stato attuale invece deboli appaiono le direttive adottate negli ultimi anni che hanno portato a discussioni feroci. Sul clima basta ripercorrere brevemente quella sulla Legge sul ripristino della Natura, tassello chiave dell’ambizioso Green Deal europeo che punta a recuperare il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030. Il “no” del Ppe ha tentato di dare una spallata non riuscita che ha portato alla spaccatura del Ppe. Il testo è infatti riuscito a passare anche se il negoziato tra i rappresentanti di Parlamento, Commissione e Consiglio ha portato a un’intesa, con elementi al ribasso che vengono incontro ai critici. Tuttavia il presidente del Ppe Manfred Weber che vede gli imprenditori come propria base elettorale è riuscito a polarizzare il dibattito pro o contro il clima. Presenza fissa ai picchetti degli agroindustriali sotto all’Europarlamento sul fronte opposto di quelli di Greta Thunberg; Weber non ha mai mancato il suo appoggio a Copa Cogeca, la federazione di sindacati agricoli più longeva, importante e influente d’Europa che rappresenta soprattutto gli interessi dei grandi agricoltori industriali e delle cooperative.
Il tema sulle misure per il clima e l’ambiente non è stato l’unico; anche sui diritti civili il Parlamento europeo ha votato la proposta di Regolamento sulla circolazione dello stato di filiazione: i minori nati in un qualsiasi Stato membro, indifferentemente dalle modalità riproduttive e dall’orientamento sessuale dei genitori, dovranno essere riconosciuti come figli dei propri genitori in qualsiasi altro Stato europeo. Ogni Stato continuerà a decidere a livello nazionale quali pratiche per la procreazione ammettere o vietare, anche perché il diritto di famiglia non rientra nelle competenze legislative Ue. Tuttavia, non potrà succedere che le forme di genitorialità legalmente riconosciute in Spagna o in Olanda, siano poi negate in Italia. L’obiettivo di armonizzare il diritto di famiglia nei 27 Paesi Ue per dare ai figli minori di ogni coppia le stesse tutele legali ha origine da una proposta avanzata dalla Commissione europea esattamente un anno fa. Una direttiva ostacolata da Fratelli d’Italia secondo cui la proposta di regolamento europeo non rispetta «i principi di sussidiarietà e di proporzionalità»: cioè sarebbe un’invasione delle istituzioni europee nella politica nazionale. Il passaggio cruciale sarà inoltre l’allargamento dell’Unione, alle porte attendono i candidati all’ingresso: Paesi con sistemi politici e valori molto distanti da quelli dei membri attuali.
La potenziale moltiplicazione di membri politicamente più simili all’Ungheria e alla Slovacchia, o ancora più arretrati politicamente ed economicamente, può produrre nel tempo un completo stravolgimento degli obbiettivi politici e dei valori comuni dell’Unione, finendo per compromettere lo stesso obbiettivo dell’unione politica europea. La sfida, non da oggi, è fuori da slogan e polemiche di giornata, tra due visioni opposte del futuro.